La valigia rossa

Il giorno della laurea era stato uno dei più importanti della sua giovane vita. Il coronamento di un sogno. Avrebbe potuto, finalmente, partecipare ai concorsi per entrare in un’orchestra, a suonare il pianoforte. La musica, sin da piccola, era stata la sua unica, grande passione. Qualcuno le aveva proposto di diventare una modella. Avrebbe guadagnato bene, sarebbe diventata famosa. Le foto, con i suoi occhi grandi e lo sguardo penetrante, avrebbe catturato l’attenzione, bucando le copertine dei giornali.

Lei, però, era una ragazza riservata e, per quanto le dicessero, in tanti, quanto fosse bella, lei si sarebbe vergognata di sfilare, di mettersi in mostra davanti a una platea, con movenze sensuali. O di scoprire, con pochi o senza veli, il suo corpo in primo piano, davanti al fotografo che le avevano presentato; il quale aveva come obiettivo di suscitare desideri e fantasie, con i suoi scatti osé. Conosceva le pose richieste alle modelle, per i servizi fotografici di Bob Red, l’Americano che pubblicava le sue foto sulla rivista The New Style. Lei non solo era  timida, ma anche poco interessata alla moda. Un jeans e una maglietta; mai nulla di stravagante. Il suo unico sogno non era quello di apparire; anzi, i primi tempi avrebbe preferito scomparire dietro il pianoforte, lasciando rapiti i suoi ascoltatori, grazie al magico potere della musica.

Sperava di confondersi, diventando un tutt’uno con lo strumento che la sovrastava, in mezzo a tanti altri musicisti. Anche tra loro aveva molti ammiratori. Il primo violino era uno dei corteggiatori più insistenti. Per festeggiare il loro primo concerto importante Leon aveva comprato una bottiglia di Spumante Kokur e un’altra di Porto Bianco Surozh. Avevano brindato più volte, chiusi nella stanza di un piccolo appartamento che lui divideva con altri studenti del conservatorio.

La loro storia era finita dopo pochi mesi. Lei aspettava un bambino. Lui non lo voleva. Anastasia, per provvedere a suo figlio, aveva cominciato a dare lezioni di musica in privato. La sera lavorava come cameriera al Casa Mori, un piccolo ristorante italiano. La notte, a fine turno, un collega straniero che aveva girato mezzo mondo, si offriva di accompagnarla a casa. Lei giovane ventenne ancora ingenua; lui più grande  di vent’anni, scaltro e pressante, l’aveva convinta a diventare sua moglie. 

Il bambino aveva appena compiuto due anni quando era scoppiata la guerra. Avevano dovuto lasciare Kiev. Anastasia aveva dovuto riempire un trolley color amaranto con tutto il necessario.

Dopo un lungo viaggio su strade in gran parte minate, con boati che provenivano da diverse direzioni e sotto un cielo minaccioso, lei, il marito e il bambino, erano arrivati sani e salvi in Italia.

Li avevano accolti, insieme ad altri rifugiati ucraini, in una bella  città sulla costa adriatica, dove avevano  trovato alloggio e lavoro.

Anastasia era stata assunta “Da Peppe”, un ristorante rinomato per la buona cucina tradizionale, varia e abbondante. La crescia fogliata (un dolce tipico), che distribuiva come dessert ai tavoli dei clienti, unita al sorriso e alla dolcezza del suo sguardo, era una delizia per il palato, che scaldava anche il cuore. I colleghi le volevano bene e tutte le mance le riservavano a lei, per aiutarla a crescere il suo malen’ka dytyna.* La notte, per farlo addormentare, gli cantava la canzone dei Kalush Orchestra. […] Madre cantami la ninna nanna/ Voglio sentire la tua parola/ Mi cullava da piccolo […] Troverò sempre la strada di casa, anche se tutte le strade sono distrutte. […] 

Quando pronunciava quelle parole, Anastasia sentiva gli occhi che le bruciavano, di lacrime amare, al pensiero di Kiev e di tutto il suo Paese martoriato dalle armi di un nemico gelido e spietato. Ogni volta che tardava ad avere notizie dei suoi famigliari temeva di averli perduti per sempre. I telegiornali, a tutte le ore, continuavano a trasmettere immagini di distruzione e morte, senza alcuna speranza di pace in vista. La notte quelle immagini diventavano incubi che la risvegliavano di soprassalto, togliendole il sonno.

Nel giorno di chiusura del ristorante Anastasia si confortava con la musica. Aveva ricominciato ad impartire lezioni di pianoforte presso il teatro comunale.

I ragazzi riuscivano a distrarla. Quando dedicava tutta la sua attenzione a quei giovani che condividevano la sua stessa passione, con i loro tentativi, più o meno maldestri, nel cercare di emularla, la intenerivano. Il grosso magone che portava dentro un po’ si scioglieva.

Un altro conflitto, tra le mura del nuovo alloggio, in uno stabile assegnato dall’Amministrazione Comunale alla comunità dei profughi, diventava, intanto, ogni giorno più pesante. Suo marito era diventato irascibile, possessivo e morbosamente geloso. Le scenate erano cominciate quando stavano ancora in Ucraina, perciò lei aveva già espresso la richiesta di separazione. Lui, però, si era opposto. Aveva cercato di lusingarla con i dolcetti, come si fa con i bambini o con gli zuccherini che si danno ai cavalli. Poi aveva ricominciato a essere aggressivo. Le vessazioni per i soliti deliri erano diventate insopportabili. Anastasia, dopo lunghi mesi  di sopportazione, non aveva retto più, aveva sporto denuncia per maltrattamenti ai carabinieri e aveva deciso di andarsene. Un amico e collega aveva ospitato lei e il bambino. Nessuna misura preventiva da parte delle autorità, nei confronti del marito aguzzino. Né sorveglianza, né allontanamento forzato dall’appartamento assegnato, e neppure un braccialetto elettronico.

Quando aveva deciso di rientrare in quella casa a prendere alcuni indumenti, Anastasia era convinta che lui non ci fosse. A quell’ora doveva essere fuori per lavoro, per le consegne con il furgone dei surgelati.

In realtà, da quando lei era andata via, la seguiva in continuazione, infischiandosene di essere puntuale nelle consegne, senza preoccuparsi di un ennesimo richiamo e di rischiare il posto di lavoro.

Il trolley color amaranto era stato ritrovato vicino al rio Vò, in località Santa Rita. Conteneva il corpo della giovane donna senza vita, trafitto da varie coltellate.

Le guerre di Anastasia, le sue tribolazioni e le sue conquiste legate alla passione per la musica, erano finite per sempre dentro una valigia. Per il suo bambino la dura lotta nel mondo era appena cominciata. Bisognava rintracciare i parenti, qualcuno che si prendesse cura di lui. Bisognava verificare che i nonni o la zia fossero ancora vivi. E poi spiegargli, con la consulenza di psicologi, assistenti sociali o altre figure di sostegno, che non avrebbe visto mai più il viso dolce e lo sguardo amorevole di sua madre. Avrebbero provato a confortarlo, cercando di farlo addormentare, senza sentire la sua voce, che intonava la ninna nanna con la canzone dei Kalush Orchestra. E non ci sarebbero state parole giuste, parole perfette o innocue, per evitare il trauma dovuto a quella separazione atroce.

E non sarebbero bastate le  fiaccolate organizzate dai cittadini, con le preghiere e le note musicali preferite dalla vittima, per evitare il prossimo, ennesimo, imperdonabile lutto.

*malen’ka dytyna: bambino piccolo

PS: Oggi, 25 novembre, ho voluto raccontare la mia versione di questo delitto, ispirandomi a un recente femminicidio (con numerose variazioni e integrazioni non corrispondenti al fatto di cronaca), in occasione della Giornata Internazionale dedicata al ricordo delle vittime e alla lotta della violenza contro le donne. I carnefici sono uomini che dicevano di amarle e che, molto spesso, avevano preso l’impegno di rispettarle e di proteggerle, nella buona e nella cattiva sorte. Donne che, invece, sono state massacrate di botte, o bruciate con l’acido, o stroncate con armi da fuoco, o strozzate, o accoltellate…

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Discussioni

  1. Cara Maria Luisa, hai detto tutto tu nella splendida nota finale. Mi unisco a te, auspicando che le Istituzioni agiscano in modo concreto al di là delle campagne di sensibilizzazione: mancano leggi capaci di proteggere gli indifesi (indifferentemente, penso alla bocciatura della legge Zan salutata da applausi insulsi).

    1. Ciao Micol, grazie per la condivisione e la tua puntuale attenzione. Purtroppo nel nostro Paese, oltre i pregiudizi, l’ ignoranza e l’ opportunismo politico legato agli interessi individuali o di partito, c’e` anche tanta ipocrisia, che porta a negare, a rfiutare o a ignorare una realta`, per alcuni forse anche scomoda da gestire. O che, spesso, i nostri rappresentati istituzionali, non sono neppure in grado di affrontare in modo adeguato.

  2. Grazie Maria Luisa per questo bellissimo “racconto” che ho fatto leggere anche ai miei figli. Una testimonianza molto toccante che ci narra la triste vicenda di una delle tante Anastasia che ci sono nel mondo. Ho un figlio maschio che ho cercato di crescere nella dolcezza e nelle coccole perchè fosse una persona gentile e una filgia che sto cercando di crescere nella consapevolezza del proprio valore pieno e della propria forza. Impresa non certamente facile nella società in cui viviamo, ma bisogna mettercela tutta.

    1. Grazie a te Cristiana, per essere una madre cosi` consapevole e attenta a certe problematiche che feriscono la nostra societa`. Leggendo cio` che hai scritto sul rapporto con i tuoi figli mi hai commosso. Un abbraccio.

  3. Ho visto che il libroCK lo hai inserito nella categoria horror. In effetti la realtà a volte supera la fantasia. Hai reso bene il dramma nel dramma: la guerra in Ucraina ed il femminicidio che non conosce confini. Anastasia mi ha fatto venire in mente Lola Astanova, prototipo di pianista sexi che suona Chopin con i tacchi a spillo. Un appunto da un pianista dilettante: Anastasia ha ottenuto il diploma e non la laurea. Traguardo che per me si è rivelato irraggiungibile.

    1. Ciao Fabius, non sapevo che fra i tuoi talenti ci fosse anche quello della musica, come pianista. Avrei dovuto capirlo, con tutti i riferimenti dei tuoi racconti ai tasti del pianiforte. Forse l’ hai gia` pensato: io sono un po’ lenta in tutto, anche di comprendonio. Per questo motivo mi “nutro” volentieri delle parole di chi, volente o nolente, ha qualcosa da insegnarmi. Grazie Fabius.

    1. Si, Kenji, mi sono ispirata a uno dei tanti, troppi, fatti di cronaca nera che colpiscono la nostra societa` che definiamo civile. C’ era l’ imbarazzo della scelta sul delitto di genere da cui attingere. Anche quest’ anno – dicono i giornalisti – piu` di 120. Ho tenuto come riferimento uno dei casi piu` recenti, di donne che hanno vissuto il doppio conflitto: quello della guerra e quello coniugale. Non c’e` giorno che passa in cui sia possibile ignorare la prima e neppure la seconda piaga, della violenza sulle donne.
      Grazie Kenji. Un abbraccio😘

  4. Ciao Maria Luisa, un racconto bellissimo pieno di molti drammi attuali che mi hanno suscitato diverse emozioni. Fino all’ultimo volevo sperare che non fosse come era intuibile all’inizio ma purtroppo la realtà è quella che è e hai fatto bene a non omettere nulla, hai anzi reso giustizia alle donne (mio piccolo pensiero). Vorrei ringraziarti anche per aver citato la guerra in Ucraina che continua a martoriare 30 milioni di persone senza riscaldamento ed energia elettrica. Sullo stile non posso non ripetere i commenti sui precedenti racconti, ho letto come se fosse una melodia drammatica, una specie di “Chiaro di Luna” di Beethoven, che trasmette, quantomeno a me, una struggente passione malinconica e di nostalgia. E proprio sulla musica vorrei soffermarmi. La protagonista, sia come pianista che come carattere mi ha ricordato una mia vecchia amica delle medie che ho rincontrato anni dopo. Hai reso molto bene quel senso di appartenenza, di tutt’uno con lo strumento che si instaura in un musicista. Brava e a presto!

    1. Ciao Carlo, il tuo commento mi ha commosso e mi ha consolato. In un mondo fatto di uomini e donne malvagi, perversi, psicopatici e di carnefici per lo piu` di genere maschile, mi conforta constatare regolarmente che ci siano tante persone come te, che tengono alto il livello umano dei maschi.
      Purtroppo questo racconto non ha un lieto fine e neppure una prospettiva di speranza. Di solito preferisco essere positiva, ma sul dramma del famminicidio non mi riesce. Inutile raccontare favole su una realta` che, direttamente o indirettamente, ci ferisce quasi ogni giorno.
      Grazie ancora Carlo, per la sensibilita` e il rispetto che dimostri con le parole dei tuoi commenti verso tutte noi.