
LA VENERE STRABICA
Era nuovamente giunto l’atteso sabato sera ed io e mio fratello maggiore sgomitavamo davanti allo specchio per prepararci al meglio; lui mettendo in evidenza ogni tratto del suo aspetto aitante ed io tentando di mascherare quei cazzo di brufoli che mi punteggiavano il viso da adolescente.
Mio fratello Max, di circa cinque anni più vecchio di me, malgrado la differenza d’età e due caratteri completamente diversi, mi voleva un gran bene e mi trattava come se fossi un suo coetaneo.
Anche io lo stimavo, perché impavido di fronte al pericolo accettava di lavorare in svariati cantieri esteri e di tanto in tanto spariva per svariati mesi lasciandomi solo con le ansie dei nostri genitori.
Quando partiva, per quei paesi lontani, mi mancava molto e ogni tanto mi consolavo rovistando tra le sue cianfrusaglie sparse nei suoi cassetti tra le tante fotografie.
L’unica nota positiva era che in quei lunghi periodi di trasferta avevo la cameretta tutta per me; anche se a dirla tutta spesso non c’era nemmeno quando c’era.
Quando eravamo insieme a volte, portandomi al rossore, si divertiva a pizzicarmi con piccanti battute che abilmente elucubrava ogniqualvolta ci capitava d’incrociare quella che disinvolta sapeva ondeggiarsi tra i succinti lembi di tela.
Come al solito, anche quel sabato, la serata partiva dall’unico bar del paese, dove le variegate compagnie si ritrovavano per l’inizio della febbrile serata.
Anche quel giorno, mio fratello mi accompagnò in paese con la macchina di papà.
Era una vecchia Citroen Pallas che nel pomeriggio Max aveva perfettamente ripulito per ogni evenienza.
Parcheggiammo in piazza e raggiunto il sottostante bar, ci calammo tra le perdute genti che al cigolio della porta, come tanti suricati, girarono la testa per vedere chi fosse entrato.
A quel punto le nostre strade si separarono ed ognuno di noi rientrò nei ranghi della propria compagnia.
Io me ne stavo con il mio solito gruppo di sfigati ma anche mio fratello, a quanto pare, non era da meno.
Ogni tanto lo guardavo e mi sembrava di vedere uno squalo nuotare in un piccolo acquario, mentre là fuori era abituato all’oceano.
Spesso si alzava dal tavolo della sua compagnia e come un’ape in cerca di nuovo nettare, rimbalzava da un tavolo all’altro per poi soffermarsi al bancone, tentando vanamente di parlare alla bella barista che di certo, in quel casino non aveva il tempo di starlo a sentire.
Onestamente non so perché Max perdesse il suo tempo con quella, non aveva proprio speranze; Melissa era risaputamene lesbica.
Le lancette, del grosso orologio appeso ad una parete, scorrevano veloci almeno quanto scorrevano gli alcolici sui tavolini e tra lo stridulo gracchiare di quelle incipriate cornacchie e un aulico bergamasco, che grave rimbombava nel salone, la mezzanotte ormai era alle porte.
A quell’ora iniziava sempre un acceso e logorante dibattito sul proseguo della serata e fu proprio in quel momento che vidi mio fratello salutare, pagare e lasciarsi la porta del bar e l’inferno alle spalle.
Quando uscii con i miei amici per prendere le macchine alla volta di un locale nel paese limitrofo, il posto dove avevamo parcheggiato era vuoto e di mio fratello e del Pallas non c’era più traccia.
Rincasai verso le due del mattino e ovviamente Max non c’era, ma questa per me non era una novità.
Presi sonno molto faticosamente perché il frastuono dei locali e la birra mi avevano dato alla testa.
Mi svegliò un insolito rumore e aprendo gli occhi vidi mio fratello adagiato sul suo letto,
La luce del comodino era accesa e lui stranamente stava scrivendo qualcosa sul diario.
Dalla grata della finestra filtravano i primi raggi di sole e lo sguardo mi cadde sulla sveglia che segnava le sette.
Gli dissi:
«Max, ma cosa stai facendo? »
«Spegni la luce e lasciami dormire!»
Lui era talmente assorto nella scrittura che non mi diede neppure retta.
Era strano perché al contrario di sempre aveva un viso sereno e rilassato e la penna danzava sul foglio e come impazzita emetteva nel silenzio quello strano fruscio che mi aveva svegliato.
Misi la testa sotto il cuscino e mi riaddormentai.
Al mio risveglio Max non c’era già più e con probabilità, essendo una bella giornata, era già partito per scalare qualche nuova vetta.
Era incredibile, gli bastavano due ore di sonno per rigenerarsi e ripartire verso chi sa quale meta e lungi da lui programmare qualche cosa anticipatamente.
Amava la libertà così tanto da esserne persino prigioniero.
Tra uno sbadiglio e l’altro mi ripresi e aprii la persiana e nel tentativo di sistemare pure il letto di Max, mi cadde l’occhio sul diario rimasto sul comodino.
Ero troppo curioso per non aprirlo e per la prima volta lo feci.
Andai all’ultima pagina scritta e poi sfogliai all’indietro alla ricerca dell’inizio di quanto aveva scritto quella mattina, fino a che incontrai un titolo e presi a leggere:
LA VENERE STRABICA
Caro diario, ma che notte sensazionale che mi è capitata!
Anche ieri mi son ritrovato al bar con chi ormai non mi ci trovo più.
Tutti che parlavano senza mai ascoltare, tutti che desideravano andarsene senza mai partire.
Lo so che è colpa mia e non la loro!
Questi continui viaggi mi hanno cambiato, mentre loro sono rimasti gli stessi.
Io in quelle loro storie non ci sono più e nemmeno loro nelle mie.
È pazzesco! Ogni volta che mi assento per interi mesi è come se fossi entrato in coma e non ho ricordi condivisi e nemmeno condivisibile è il ricordo delle mie avventure dall’altro lato del mondo.
Ho tentato di fermare sulle fotografie il mio vissuto, ma che senso ha quando un povero stronzo te le gira tra le dita come fossero le pagine di un giornaletto porno; che senso ha se non sente, se non annusa e non tocca!
In quel bar di paese non sopportavo più quel bailamme fatto di nulla e me ne sono andato.
Ho vagato con la macchina per una buona oretta cercando di rilassarmi sentendo musica, poi un’insegna luminosa lungo una strada provinciale che non avevo mai percorso, ha attirato la mia attenzione e mi sono fermato.
Davanti all’insegna pulsante c’era una porta di cristallo scuro che rifletteva al reverse CRYSTAL NIGHT CLUB, ed io come un fantasma ho oltrepassato quel vetro portando dentro anche il contrario di me stesso.
In quel locale la luce era soffusa e la musica jazz mi accarezzava le orecchie.
Anche se il club non era affollato, mi sono seduto sull’ultimo sgabello del bar cercando di stare ben lontano da tutti; e subito ho ordinato una birra.
Tentando di non risultare indiscreto, avvalendomi dello sgabello girevole, roteando pian piano mi sono guardato un po’ in giro e tra il rosso velluto delle poltroncine, luccicanti vestiti osé davano retta ad altrettante ombre.
Il mio sguardo poi si è fermato sull’altro lato del bancone, dove su di un altro sgabello sedeva sola una statuaria ragazza che prima non cera.
Non potevo vedere il suo viso, perché coperto dai lunghi capelli biondi che le cascavano fin sotto le nude spalle, ma un fisico così equilibrato e perfetto non lo avevo mai visto prima.
Quando accennava a voltarsi verso di me, rapidamente il mio sguardo tornava vago sulle bottiglie del bar e il mio sbriciolato riflesso si mescolava col suo in uno stroboscopico ballo dettato dalle luci della piccola pista da ballo.
Dentro di me non capivo perché una ragazza così attraente fosse li tutta sola; forse era timida o alle prime armi o forse troppo esosa per le tasche di quelle ombre che avevano ripiegato su altre ragazze.
Mentre rimanevo perso in questi pensieri e nervoso con l’unghia del pollice destro rigavo la carta argentata del collo della Beck’s, lei mi si fece vicino.
In preda ad una certa eccitante agitazione, partendo dalla punta dei suoi tacchi ho alzatolo il mio sguardo lungo le retate gambe; poi attraverso il legaccio della giarrettiera fissata a chissà che sorta di reggi calze, ho risalito i bellissimi fianchi fino a lambire le coppette che cullavano il generoso seno e poi ancora su fino ad incrociare il suo sguardo.
Il cielo e due stelle, il silenzio, il bagliore di una stella che cade, il silenzio, il cielo e due stelle.
Aveva un viso che sotto quella pelle d’alabastro bianco sembrava scolpito direttamente dalla mano di Dio; ma i suoi occhi…
Non avevo mai visto niente di più bello, due splendidi smeraldi mi disorientavano in quella miscela di fumo, luci, musica e alcool.
Immediatamente, nella consapevolezza d’avermi folgorato, lei ha abbassato il suo sguardo come se davanti ad un giudice fosse stata colpevole di chi sa quale delitto.
Istintivamente ho portato il mio indice sotto al suo mento e alzandogli il viso e guardando quella meraviglia le ho chiesto: «Come ti chiami?».
E lei in una sorta di disagio:
«Inna».
Completamente stregato da quella imperfezione che forse Dio le aveva dato per non innamorarsene, le ho detto:
«Sei bellissima!»
Abbiamo parlato tutta la notte fino alla chiusura; poi nel Pallas mi ha regalato il resto di sé stessa.
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e invece spesso sono i difetti, piccoli ma evidenti, a incantarci. La perfezione può essere davvero noiosa.
Esatto Francesca tutto è relativo e soggettivo un bel fiore può essere velenoso come un rospo trasformarsi in principe. Grazie per la lettura
Mi è particolarmente piaciuta la figura del fratello e come hai enfatizzato il rapporto fra i due. È piuttosto raro quindi, quando succede che ci sia quel particolare feeling, è bello parlarne.
Si soprattutto quando hai due sorelle più piccole haha
Bello Giulio, molto bello. Accattivante e coinvolgente con uno stile narrativo asciutto tanto quanto lo è la nostra provincia che è fatta di gente rude, grandi lavoratori e grandi cervelli usati male o comunque sprecati. L’idea che uno diventi un eroe e soprattutto che scriva è geniale, come a voler parlare di quello che ce l’ha fatta. Quello che si è distinto e che nella provincia non si è fermato. Un po’ come in una canzone di Ligabue. Il finale è molto ben riuscito perché quello che ce l’ha fatta, si distingue proprio perché è diverso e da diverso cerca l’unicità. La trova in quegli occhi che un altro paio non ce n’è. Io personalmente, ma io non sono te, avrei enfatizzato meno le doti fisiche della Venere e mi sarei soffermata maggiormente sul suo particolare sguardo e sull’incontro fra i loro occhi. Però questa è solo una cosa mia. Bravo
Grazie Cristina. Purtroppo il limite delle 1500 parole mi ha precluso molto nella seconda parte.
Oh, cavoli! Molto bello
Grazie Kenji
“Amava la libertà così tanto da esserne persino prigioniero” difficile non soffermarsi su questo concetto che sembra banale ma che non lo è affatto.
“Completamente stregato da quella imperfezione che forse Dio le aveva dato per non innamorarsene” piccolo gioiello questa frase, poi me la rovini con “gli” anziché “le” accidenti! Anche sopra hai usato il pronome in maniera errata. Non prenderla come critica ma come pungolo a stare più attento. Un abbraccio.
Grazie giuseppe sia per l’apprezzamento sia per la caziata. Attenderò altri errori per fare una correzione di massa.
“ed io come un fantasma ho oltrepassato quel vetro portando dentro anche il contrario di me stesso”
Una frase molto bella ed evocativa. Il contrario di sé stesso, quello riflesso “al reverse” come la scritta. Complimenti.👏
Grazie Giancarlo! Volevo mettere la scritta CRYSTAL NIGHT CLUB al contrario ma non ci sono riuscito.
“Tutti che parlavano senza mai ascoltare, tutti che desideravano andarsene senza mai partire.”
👍
Quante volte, in un’ infinita` di luoghi.
A partire dai nostri politici 😉
“Ho tentato di fermare sulle fotografie il mio vissuto, ma che senso ha quando un povero stronzo te le gira tra le dita come fossero le pagine di un giornaletto porno; che senso ha se non sente, se non annusa e non tocca”
Fantastica immagine
Hai uno stile narrativo accattivante.
Mi lusinghi! Grazie Roberto
“Amava la libertà così tanto da esserne persino prigioniero.”
Molto efficace