l’addio di Alessandro e Rufo

Serie: Parole di Dio, voci di uomini


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ogni episodio di questa serie è un tassello di un mosaico di volti che emerge dalle pagine bibliche. Storie di donne e uomini di tempi remoti, le cui voci potrebbero essere le nostre.

Due uomini scesero le strette scale che conducevano alle celle. Si muovevano velocemente, tendendo verso i gradini la torcia fiammeggiante per illuminare il buio insidioso dei gradini di pietra. Fuori dalle strette feritoie si vedeva uno scuro cielo notturno senza stelle.

«Vedi di fare in fretta» disse il soldato romano non appena arrivarono all’ultimo gradino. «La cella è infondo al corridoio.»

Gli lasciò la torcia e prese a risalire le scale.

Alessandro prese ad attraversare il buio corridoio di pietra, sperando che quel soldato non lo tradisse. Superò alcune celle che dovevano essere vuote o con alcuni prigionieri dormienti che non si erano accorti del suo passaggio. Provò ad avvicinare la torcia alle sbarre di ferro per vedere se una di quelle fosse la cella giusta, ma il buio era tale che la fiaccola poteva illuminare solo a breve distanza.

«Rufo!» iniziò a chiamare a bassa voce, mentre il cuore batteva al punto da soffocargli la voce. «Rufo, sei qui?»

«Chi c’è?» udì una voce poco più avanti.

«Rufo?» chiamò ancora seguendo la voce.

«Alessandro, sei tu?»

Riconobbe la voce di Gaio, piena di una stanca gioia. Si accostò alle sbarre della cella da cui veniva la voce, cercando il volto dell’amico con gli occhi ancora ridotti a due fessure, non abituati a quell’oscurità.

«Guardate, è Alessandro» disse la voce di Gaio rivolgendosi ad altri nella cella. Dal buio spuntarono alla luce della fiaccola numerose mani che si tesero con tenerezza oltre le sbarre verso Alessandro. Gli afferravano le braccia, gli accarezzavano il viso e il collo, provavano a cingergli i fianchi come per abbracciarlo oltre il ferro che li separava.

Nella cella dovevano esserci sei o sette uomini, cristiani della comunità di Roma incarcerati negli ultimi due giorni per ordine di Nerone. Alessandro riconobbe subito i volti di Gaio, Antonio e Valerio e sorrise trattenendo a stento le lacrime. Tutti lo salutavano con affetto e parlando uno sull’altro.

«Alessandro, cosa fai qui?», «Che bello vederti», «Cosa è successo agli altri della comunità? Stanno bene?» chiedevano senza sosta.

«È qui Rufo?» chiese Alessandro ignorando le domande degli amici. Ma prima che potesse finire di parlare le braccia di suo fratello minore si protesero dalle sbarre verso Alessandro e il volto di Rufo comparve alla luce del fuoco.

«Alessandro, come hai fatto ad entrare?» chiese.

«Ho pagato un paio di guardie. Mi hanno concesso un po’ di tempo».

«È vero quello che dicono?» intervenne Gaio. «È vero quello che hanno fatto a Paolo?»

Alessandro abbassò lo sguardo senza rispondere.

Valerio sospirò. «Prima Pietro e ora anche Paolo. Che cosa ci sta capitando?»

«La comunità si sta disperdendo» spiegò Alessandro con voce agitata. «In molti hanno già lasciato Roma. Aquila e Priscilla sono ancora qui. Stiamo provando a nascondere gli altri e a trovare dei passaggi sicuri per lasciare la città. Di alcuni abbiamo perso le tracce. Molti sono stati giustiziati.»

Alessandro si interruppe, rabbrividendo.

«Lo sappiamo, Alessandro» lo anticipò Gaio. «Sappiamo che domani toccherà a noi.»

L’uomo si sentì salire le lacrime agli occhi ed ebbe la disperata sensazione che le cose stessero inesorabilmente scivolando dal suo controllo. «Possiamo ancora liberarvi. Possiamo trovare un modo per farvi uscire. Sono riuscito a corrompere ben due guardie.»

Alessandro sembrava parlare più con sé stesso, mentre i compagni lo guardavano rassegnati e commossi. Rufo afferrò il braccio del fratello.

«Alessandro. Se provi a corrompere altri soldati potrebbero prendere anche te. E allora chi penserà a tua moglie e ai tuoi figli. Hanno bisogno di te ora.»

«Rufo, non dirmi che me ne devo semplicemente andare e lasciarvi andare a morire, perché ti spacco il naso anche attraverso queste sbarre.»

I compagni risero lievemente nel riconoscere ancora una volta la tempra del loro amico, ma Rufo guardò il fratello con il volto sereno appena illuminato dalla torcia che in mano ad Alessandro iniziava ad affievolirsi.

«Io ho fatto la mia scelta, fratello mio. Non voglio rinnegare quello in cui credo solo perché un piccolo uomo come Nerone vuole costringermi a considerarlo un Dio. Non dopo quello che abbiamo visto.»

«Ma ti uccideranno, Rufo!» sbottò Alessandro.

«E come potrei vivere poi se lo faccio, se sputo su tutto quello per cui ho vissuto? Non puoi chiedermelo, Alessandro. Non puoi domandarmi anche solo di fingere di rifiutare il Signore. Devi lasciarmi andare.»

Alessandro rise nervosamente. «Ti ricordi quando eravamo piccoli? Quando abba fu costretto ad aiutare il Signore a portare la croce, quel giorno a Gerusalemme?»

«Non me lo ricordo. Ero troppo piccolo. Ma talvolta credo di vederlo, tante sono state le volte che tu e abba me lo avete raccontato.»

«Quando abba fu costretto dai soldati romani a portare quella croce ero terrorizzato» disse Alessandro. «Era come se anche lui andasse a quel patibolo insieme a quello sconosciuto. Ero convinto che sarei rimasto orfano.»

«Eri solo un bambino» disse Rufo.

«Piansi lungo tutto quel calvario. Ma tu…» Alessandro rise e le lacrime iniziarono a scendergli lungo le pieghe del viso. «Tu continuavi a correre verso abba. Pensavo fosse per raggiungerlo, invece ti gettavi su quella croce e con le tue minuscole braccia provavi a sollevarla. Volevi aiutare. Volevi partecipare anche tu di quella fatica. Io provavo a fermarti, ma tu continuavi a dirmi di lasciarti andare e sgattaiolavi via. Quando abba ti riprese in braccio non avevi una lacrima e i tuoi occhi erano tutti per il Signore su quella croce. Noi vedevamo solo un povero condannato. Tu invece lo guardavi con meraviglia, come un bambino guarderebbe Dio stesso che splende nei Cieli.»

«Non me l’avevi mai raccontato» disse Rufo e sorrise. Alessandro allora vide sul volto del fratellino ormai adulto la stessa meraviglia di quel giorno, quando erano solo due bambini su una collina fuori da Gerusalemme, davanti a un uomo in croce.

Rufo mise una mano sulla spalla di Alessandro e con l’altra gli accarezzò il viso. «Proseguo sulla via dietro al Signore. Lasciami andare, fratello mio.»

«Cristiano!» chiamò il soldato dalle scale. «Devi andartene. Per quel che mi hai pagato, sei stato fin troppo.»

«Vai, Alessandro. Che il Signore ti benedica» salutarono sorridendo gli amici.

Alessandro guardò Rufo per l’ultima volta alla luce del fuoco e si incamminò verso le scale. Appena prima di salirle si voltò ancora una volta verso il corridoio appena illuminato e vide dalla cella spuntare l’esile mano di Rufo in un tenero gesto di saluto.

Alessandro sospirò. «Ti lascio andare, fratello mio» disse. 

Continua...

Serie: Parole di Dio, voci di uomini


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