
L’amore è nell’aria
Sonia mi guarda con i suoi occhioni azzurri, colmi di vari stati d’animo: disperazione, paura, odio, senso di colpa. Anche un pizzico di curiosità, perché non credo abbia capito fino in fondo il destino che le ho riservato. La stronza se ne sta sull’erba umida del cimitero, legata mani e piedi con un robusto nastro isolante e imbavagliata con un pezzo di corda. Devo dire che il mio amico Igor ci sa proprio fare, coi rapimenti.
Igor è l’armadio umano dinanzi a me, intento a spostare, silenzioso ed efficiente come un robot, chili e chili di terra fuori da una fossa: la sua sagoma nera è ancora più imponente, avvolta dalle tenebre e illuminata solo dalla luce di una torcia. Sinceramente dubito si chiami davvero Igor, ma il suo vero nome non mi interessa. Avevo avuto il suo contatto anni fa, quando un mio ex aveva iniziato a stalkizzarmi: non che io sia una ragazza debole e indifesa ma Igor è stato molto convincente e ha persuaso questo mio ex a lasciarmi stare, regalandogli anche un soggiorno in ospedale.
Il lavoro che sta facendo Igor per me adesso è di tutt’altro tipo. Ha quasi finito di scavare la fossa, come vi dicevo, e poi passerà alla fase due. E la fase due comprenderà anche la bastarda impacchettata ai miei piedi, che fa ondeggiare la sua coda di cavallo bionda mentre si dimena inutilmente come un pesce su un marciapiede. Ma forse devo fare un passo indietro.
Sonia si ritrova in questa spiacevole situazione per un motivo ben preciso. Era fidanzata con Andrea, un mio amico che conosco dall’infanzia e che amo da altrettanto tempo. Non fraintendete, non sono una ragazza timida e insicura che non si è mai dichiarata al Grande Amore della sua vita: semplicemente, per una serie di motivi che non menzionerò per non annoiarvi, tra me e Andrea non avrebbe mai potuto funzionare, quindi siamo sempre stati solo grandi amici. E anche il suo fidanzamento con Sonia mi andava bene: non covavo rancore o gelosia, se Andrea era felice, per me la fanciulla era a posto. Fino al giorno in cui Andrea si è ammazzato.
Il mio amico, il mio Grande Amore, si è tagliato i polsi nella sua auto, la sera di un mercoledì di novembre. Prima di uccidersi mi ha mandato un messaggio vocale in cui spiegava il motivo del gesto. A farla breve, aveva beccato Sonia a casa sua con un altro e non era una scopata occasionale: martellando i due di domande aveva capito che era una relazione clandestina che andava avanti da mesi. In una situazione del genere ognuno reagisce secondo il proprio carattere: chi facendo una scenata, chi pestando l’amante, chi buttando entrambi fuori di casa. Ma Andrea era troppo buono, troppo gentile. Troppo fragile, e troppo innamorato di Sonia.
Se ne era andato, semplicemente. Letteralmente. Forse aveva girovagato un po’ da solo, forse si era ubriacato, questo non lo so. So che a un certo punto si era fermato e aveva deciso di ammazzarsi. Quando ho ascoltato il messaggio vocale l’ho tempestato di telefonate, presa dal panico, ma era tardi. E delle ultime parole di Andrea non ne ho parlato con nessuno, sapete perché? Perché la zoccola dai capelli biondi non ha detto a nessuno della sua relazione segreta e di cosa era successo quella sera. Da quel giorno ho avuto decine di volte la tentazione di andare da Sonia, affrontarla e spaccarle la faccia, d’altronde 12 anni di boxe servono pur a qualcosa. Ma poi ho avuto un’idea migliore, e mi è venuto in mente Igor.
Ho aspettato. Aspettato. Giorni. Settimane. Mesi. Ho contattato il gigante silenzioso, spiegandogli il mio piano, e mi ha risposto che per la cifra che gli avevo proposto si sarebbe occupato lui di tutto: di rapire Sonia, di legarla per bene, di portarla in un cimitero isolato e di trovare un lotto non occupato, dove piazzare una bara con la puttanella dentro. Eccoci qua dunque.
Igor esce dalla fossa e si pulisce le mani su uno straccio mentre mi dice che ora è profonda quanto basta, poi afferra la bara vuota e la piazza all’interno della tomba, aperta. Sonia, che a quel punto ha capito di sicuro cosa la aspetta, inizia ad agitarsi ancora di più. Io sorrido.
Mi accovaccio vicino alla puttana e inizio a sussurrarle in un orecchio. Le parlo di Andrea, del mio amore per lui, del messaggio vocale. Di tutte le volte che avrei voluto andare a casa sua e pestarla. Di tutti i modi che mi sono venuti in mente per farla soffrire. E del momento in cui mi è venuto in mente che secondo numerosi psicologi, la paura di essere sepolti vivi è una delle più ancestrali nell’essere umano. Ed è la fine perfetta per te, tesoro, le sussurro lentamente.
Quando ho finito di parlare Sonia è pietrificata dal terrore. Faccio un gesto a Igor che quasi senza sforzo la solleva e la piazza nella bara vuota. Mentre la guardo dal bordo della fossa dico al mio efficiente amico: le dita delle mani. Spezzagliele, poi toglile il bavaglio. Igor mi guarda per un attimo, poi ubbidisce: spezza un dito per volta alla bastarda, che a ogni crack inizia a piangere sempre di più, tanto che quando ha la bocca libera dal bavaglio non riesce neanche a urlare.
Per favore, cerca di abituarti al dolore, dico alla puttana. Vorrei sentirti urlare, dopo che il mio amico avrà sigillato la tua tomba. Dovrebbe venirti abbastanza naturale.
Passo il coperchio di legno a Igor che chiude la bara e lentamente la sigilla con martello e chiodi. I singhiozzi di Sonia si trasformano velocemente in grida, sempre più forti mano a mano che il mio grosso amico ricomincia a usare la pala, questa volta per coprire l’ultima dimora della stronza. E io resto in ascolto, e le sue urla sono musica. Quando Igor ha finito le urla di Sonia sono flebili, e ci allontaniamo verso le auto.
Il mio fedele aiutante mi dice che l’aria in quella bara terrà in vita Sonia per qualche ora. Sorrido, soddisfatta. Prima di separarci Igor mi chiede perché le dita. Gli rispondo che in un film avevo visto la protagonista uscire da una bara dopo che era stata sepolta viva, dando dei pugni al coperchio.
Il gigante sorride: Kill Bill, mi dice. Già, replico io. Meglio non correre rischi, no?
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Letto. Ora ti dico
L’orrore di questa storia è un orrore puro, semplice, scaturito dalle descrizioni crude fatte senza peli sulla lingua. Pur non essendo il tipo di horror più nelle mie corde, è riuscito comunque a tenermi incollato fino al termine. Coinvolgente quanto “il mio caro amico”, complimenti!
Gabriele, gentilissimo! Ti ringrazio!
Tensione alle stelle e ritmo serrato ci accompagnano fino alla tomba. A me, al pensiero della poverina chiusa là dentro, manca un po’ il fiato. Molto bravo!
Grazie mille!
Indagare l’oscurità umana, quella nascosta in ognuno di noi, è un tema che mi affascina. Di solito, perdonami la mancanza di fantasia nel citare questo detto, “l’acqua più cheta è anche la più profonda”. Altro ottimo racconto, benvenuto nel dark side di EO ;D
Grazie mille Micol!