
L’Archivio
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: FILO SOTTILE
- Episodio 5: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 6: LA SCELTA
STAGIONE 1
«Non è una punizione. È un compromesso. Meglio l’archivio che un consiglio di classe straordinario, no?»
La bibliotecaria lo disse senza voltarsi, spingendo il carrello dei faldoni tra gli scaffali come una bara piena di segreti. Occhiali spessi, dita secche, uno sguardo che — quando lo posava su qualcuno — pareva sapere già tutto, anche quello che tu stesso non avevi ancora capito di te.
«D’altra parte, se ti prendi a pugni nell’androne alle otto del mattino…» aggiunse, lasciando la frase sospesa. Gli adulti facevano sempre così: lasciavano un buco apposta, perché tu lo riempissi da solo, trovandoti la colpa in bocca.
Andrea Ludovico Riva non disse nulla. Alzò appena le spalle. Sedici anni. Occhi fermi, mascella in avanti. Un corpo che sembrava troppo largo per i corridoi del liceo, come se dovesse spingere via l’aria per passare. Camminava con l’andatura di chi ha imparato presto che occupare spazio può salvarti.
Spinse la porta dell’archivio.
Un odore di carta stanca, di colla vecchia e di umidità appiccicata ai muri lo accolse come una coperta sporca. Faldoni storti, etichette ingiallite, scaffali che pendevano di lato come vecchi soldati stanchi. Un neon malato diffondeva una luce lattiginosa, incapace di scaldare. E quel silenzio… non era pace. Era abbandono.
Chiuse la porta dietro di sé. Il mondo fuori diventò ovattato, come se avesse infilato la testa sott’acqua.
Il telefono vibrò. Due notifiche.
Edo: «Sei vivo o ti sei impiccato agli scaffali?»
Livia: «Ti aspetto fuori. Dobbiamo finire quel discorso.» Tre cuoricini.
Li ignorò.
Lasciò cadere lo zaino vicino a un tavolo zoppo. Si sedette a terra, la schiena contro lo scaffale che gli sembrava meno instabile. Portò la mano alla nocca: gonfia, calda, la pelle che tirava come una benda troppo stretta. Aveva colpito Samir con tutta la rabbia che aveva in corpo. Un pugno secco, pieno. Lui aveva solo alzato le braccia per difendersi, ma ormai il danno era fatto.
Frugò nello zaino. Estrasse una mezza canna, piccola, marrone. La rigirò tra le dita, come si gira un pensiero pericoloso. Poi la rimise via. L’odore sarebbe stato troppo. E la bibliotecaria — quella strega — aveva un fiuto per i peccati che arrivava prima ancora che li commettessi.
Chiuse gli occhi. Provò a lasciare che il tempo scivolasse.
Poi, qualcosa. Un dettaglio stonato.
In basso, alla base dello scaffale, una tavola fuori posto.
Si piegò, infilò la mano nello spazio. Le dita incontrarono pelle ruvida.
Un taccuino.
Piccola agenda blu, l’elastico spezzato, gli angoli mangiati dal tempo. Non sembrava dimenticata. Sembrava nascosta. O peggio: lasciata lì in attesa di qualcuno.
Andrea la aprì.
La prima pagina era vergata in un corsivo ordinato: «Or poserai per sempre, stanco mio cor. Perì l’inganno estremo…»
Leopardi. Lo ricordava. Il prof l’aveva letto in classe, una volta, e lui aveva pensato che fosse roba morta. Ora no. Ora quelle parole gli arrivavano come uno schiaffo lento.
Girò pagina.
«Vorrei tanto essere tutta un’altra cosa!»
Scrollò le spalle. Uno che si fa domande.
In alto, una data: 23 ottobre 1975.
La voce che leggeva non sembrava né di un ragazzino né di un adulto. Non diceva “caro diario”. Non era una confessione. Parlava come se l’altro fosse già lì, ad ascoltare.
«Oggi ho deciso di iniziare a scrivere il mio diario, così posso raccontare a qualcuno quello che provo. Più che un diario, credo di desiderare un amico…»
Andrea fece una smorfia.
Un amico immaginario. Bene.
Stava per chiuderlo, quando l’occhio gli cadde sull’ultima frase della pagina:
«Sarai il mio amico Ludovico.»
Si fermò.
Un colpo sordo, dentro. Come quando la palla ti prende sullo sterno e per un attimo non respiri.
Ludovico.
Il suo secondo nome. Quello che nessuno usava. Nessuno, tranne sua madre quando era furiosa davvero.
Rimase così, il diario tra le mani. Lo rigirò, lo sentì pesare in un modo strano.
Tornò alla prima pagina. E cominciò a leggere davvero.
«Riva?»
La voce della bibliotecaria lo fece sobbalzare.
Chiuse il diario di scatto, lo lasciò su una pila di faldoni. Afferrò un fascicolo a caso e lo aprì al contrario. Fingeva bene.
«Il preside ti vuole. Ora.»
Andrea annuì. Lo stomaco gli si strinse come se avesse inghiottito qualcosa di duro.
«Cinque minuti. Poi fuori da qui.»
Appena lei sparì, tornò al diario. Era lì, chiuso. Ma sembrava respirare.
Lo prese. Non lo riaprì. Ma non riuscì nemmeno a lasciarlo dov’era.
Lo infilò nello zaino, piano. Con un rispetto che non capiva.
Cosa mia, pensò.
Si sistemò lo zaino sulle spalle. Il diario scivolò accanto al libro di matematica e al pacchetto di sigarette.
Uscì.
L’archivio rimase vuoto.
Il preside era seduto dietro una scrivania lucida come una minaccia. Le mani conserte, lo sguardo di chi ha già deciso la sentenza e ora aspetta solo di leggerla.
«Riva. Sai perché sei qui.»
«Sì.»
«Hai idea di quanto poco ci sia mancato?»
Silenzio.
Il preside sbatté un foglio sulla scrivania. La relazione disciplinare.
«Samir non ha voluto denunciare. Ha detto che non era solo colpa tua… che eri strano, quel giorno.»
Andrea non rispose.
«Se succede di nuovo, ti sospendono da tutte le scuole d’Italia.»
Lui abbassò lo sguardo. Sentì il battito fargli male nelle tempie.
Il preside sospirò. «Puoi andare.»
Andrea si alzò. Uscì.
Nel corridoio, la voce dentro tornò, tagliente:
Ma allora davvero… nessuno mi conosce?
Serie: Ritrovarsi...
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- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
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- Episodio 6: LA SCELTA
Bene, anzi, molto bene. Che tu scrivessi bene, lo avevo già constatato in alcune letture di racconti da te pubblicati e che dire, tu hai il dono di incasellare le parole una dietro l’altra in modo poetico. Ogni parola che usi non è fine a se stessa, ma ha un suo ruolo importante e un’altra non calzerebbe allo stesso modo. Sei certosino in questo e ti ammiro, magari riuscissi a scrivere come te… anche se nel mio genere forse il lessico da te usato non è proprio indicato. E comunque io ho deciso di usare una dialettica più semplice possibile affinché al lettore non sfugga il vero senso di ciò che intendo mostrargli riguardo a ciò che siamo e perché siamo e agiamo così e del motivo che ci spinge a farlo. Il mio intento ultimo è far capire che noi siamo il risultato dei nostri pensieri e per farlo ho traslato il tutto un un’avventura fantascientifica che va a bacetto con il fantasy e strizza un occhio alla spiritualità. Insomma, tre generi in uno ed è un bel daffare per me. Spero solo di riuscire a portare a termine il tutto. 🙂
Carissimo Lino, mi hai sferrato delle similitudini che ancora adesso mi fa male dove hai colpito. La domanda è: dove sei stato tutto questo tempo?!
@LegGoriferito Ero impegnato ad autopunirmi e a piangermi addosso, come un vecchio disco rotto… ma forse mi serviva, per rimettere insieme i pezzi e trovare le parole giuste.
Adesso, però, sono pronto a farmi colpire io: ho ordinato Il consiglio di Steven e non vedo l’ora che arrivi per scoprire dove mi porterai.
Ottimo inizio, prof. Da come scrivi, ti immagino come un bravo professore di italiano, dotato anche di grande estro creativo. Questo episodio mi ha catturato in pieno. Adoro le storie con manoscritti o quaderni o diari ritrovati che contengono un’ altra storia, da inserire nella narrazione principale.
E sono ben contenta che questo sia solo il primo episodio di una serie di che, a giudicare dall’ incipit, promette bene.
A presto.
Non sono un professore, ma mi piace pensare di lavorare un po’ come un artigiano delle parole, mettendo insieme frasi e immagini finché trovano il loro posto.
Anch’io amo le storie che ne contengono altre, come certi diari o quaderni ritrovati… ed è proprio da lì che è nata questa serie. E, lo ammetto, è anche un po’ colpa tua se stavolta mi sto avventurando in un racconto lungo… quindi ora tocca a te arrivare fino in fondo.
Ci arrivo di sicuro. Non ho dubbi. Ho scomnesso sulla tua bravura sin dal primo racconto e sono certa di non sbagliarmi. Oltretutto, questo genere lo sento molto vicino ai miei gusti di lettura, perció sarà un piacere continuare a seguirti.
Un inizio che stuzzica. C’è qualcosa di fumoso, ma immagino faccia parte del gioco.
Notavo, all’inizio, il narratore in terza persona che pare volgere alla seconda: è curioso. Oppure sono inserti di pensiero del protagonista che, però, forse sarebbe meglio contrassegnare, tipo col corsivo… Grazie per la lettura
Ti ringrazio per l’osservazione: in effetti la difficoltà maggiore, qui, è proprio riuscire a differenziare la voce del protagonista, quella del diario e quella di chi racconta la storia.
A volte il rischio è che si sovrappongano, soprattutto nei passaggi più intensi, e mantenerle riconoscibili richiede molta attenzione.
Domanda tecnica: perché trovo difficoltà a pubblicare il secondo capitolo, nonostante non pubblichi nulla da più di sette giorni? Per le serie non vale la regola dei tre racconti a settimana?
Ciao Lino, non sono la persona più adatta a risponderti, meglio forse indirizzare nei messaggi a “Redazione EO”. Credo che il limite sia: una pubblicazione ogni 24 h e non oltre 3 nella stessa settimana. Questo episodio è datato 8 agosto. Ho notato, però che anche se rettifichi o cancelli qualcosa rientra nel conteggio… a presto
Davvero un bel racconto, hai iniziato molto bene questa serie innestando la giusta curiosità nel lettore.
Complimenti Lino! Al prossimo racconto!
Grazie mille! La curiosità è il motore di questa serie…
ed è la prima volta che mi cimento in racconti lunghi, quindi mi stupisce anche essere già arrivato al 4° capitolo. Spero di poterli inserire tutti il prima possibile.
Un incipit che invita alla lettura. Crea curiosità, definisce un personaggio, introduce un conflitto, usa una voce chiara e unica. Un ultimo aspetto da non trascurare: scritto bene. Complimenti 👏👏
“Un odore di carta stanca, di colla vecchia e di umidità appiccicata ai muri lo accolse come una coperta sporca. Faldoni storti, etichette ingiallite, scaffali che pendevano di lato come vecchi soldati stanchi. Un neon malato diffondeva una luce lattiginosa, incapace di scaldare. E quel silenzio… non era pace. Era abbandono.” Questa descrizione è sublime. Merita una citazione. Bravo 👏
Ti ringrazio davvero.
Forse è venuta così nitida perché quegli odori li conosco bene: per studi e per lavoro ho passato parecchio tempo in sottoscala, biblioteche e vecchi archivi… e certe atmosfere ti restano addosso.