L’arrivo

Serie: Vacanza estiva


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Theodore e George, arrivati a New York, prendono la carrozza e partono in direzione di Philadelhia.

L’arrivo alla tenuta Thompson fu un’agonia degna dei martiri di Canterbury. Il sole aveva trasformato la carrozza in una stufa mobile, dove persino l’aria sembrava sciogliersi in fili dorati e asfissianti. Theodore immaginò con nostalgia le nebbie inglesi—quelle che tingevano il cielo di grigio antracite, colore della malinconia civile.

John Thompson si ergeva sul viale come un monumento alla memoria selettiva del Sud. Il lino bianco che lo avvolgeva non era un semplice abito estivo, ma un sudario per ideali mai sepolti. «Benvenuti all’inferno con veranda» esordì, il braccio teso a indicare non solo i servi che sudavano sui bauli, ma l’intera tenuta: un mausoleo di colonne neoclassiche dove ogni mattone nascondeva una pallottola fusa. «Vi avevo avvertito: qui luglio è un forno crematorio.» Il suo sorriso spezzava l’armonia dei suoi lineamenti: mento a picco da falco, naso che sembrava scolpito per tagliare il vento, occhi sottili.

Theodore si strappò di collo il cravattino. «Il tuo Sud, John, ha la delicatezza di un fabbro ubriaco. Eppure, ammetto una certa… autenticità nella sua violenza termica.» Con un gesto da entomologo, indicò una fila di formiche che trasportavano briciole verso un ceppo marcito—allegoria involontaria della forza lavoro locale.

George, intanto, fissava le finestre del primo piano—dove una tenda di mussola aveva appena sussultato—con l’intensità di Colombo che avvista terra. «Abbiamo… sottovalutato la vostra definizione di “caldo”» borbottò.

John guidò gli ospiti lungo un viale di querce. «I miei genitori sono a Richmond per… questioni di eredità.» Sorrise mostrando denti troppo bianchi per essere innocenti. «Ma mia sorella vi terrà compagnia.»

Theodore colse la contrazione della mascella di George—un tic che all’università precedeva sempre le sue tirate su Emily. «Ah, la mitica sorella!» esclamò battendo le palpebre da attore shakespeariano. «Dovrò forse duellare con spade da salotto per conquistarne le grazie?»

John lo fissò, riconoscendo in quell’ironia lo stesso tono usato anni prima per deridere i sermoni del cappellano di Oxford. Theodore, capendo, posò una mano sul cuore, il gesto così esagerato da sembrare una parodia di se stesso. «Giuro solennemente: sarò muto come una carpa, sordo come un giudice corrotto, e—cosa più difficile—privo di ironia.»

Mentre George si allontanava seguendo il profumo di gelsomino — un velo di poesia sopra l’acre odore di catrame che saliva dalle strade — John fermò Theodore per un polso. «Mia sorella legge i libri che tu mi presti» sussurrò, la voce un filo teso sopra il fruscio delle magnolie. «Trascrive le tue annotazioni a margine. I miei genitori credono che ricami salmi, ma mi ha riferito che nasconde Olympe de Gouges.»

Theodore inclinò il capo, il sole che trasformava le sue lenti in due monete d’oro appena coniate. «Ho contaminato due Thompson senza neppure sforzarmi» disse, un sorriso a mostrare i canini. « Sono diventato il Lucifero della vostra Eden domestica. Immagino che Emily abbia già iniziato a distillare veleno dal frutto proibito?»

John scosse il capo. «Parla solo con me. Pone domande… scomode. Usa argomentazioni che deviano come fiumi in piena. Parole che ignoravo conoscesse.» Una pausa carica di terrore.

La risata di Theodore squarciò l’aria come un rasoio. «Delizioso. Una Minerva che imita i miei passi. Sai cosa bruciarono con le streghe? Le biblioteche.»

John scrutò le sagome curve dei giardinieri, braccia che potavano rose come fossero arti. «Se scoprissero il contagio…» la gola strozzata da un nodo «…la impiccherebbero con le corde della tua retorica.»

Theodore avanzò, la sua ombra un drappo nero sul volto di John. «Falla tacere» sussurrò, labbra che sfiorarono un orecchio come proiettile in canna. «Sei il fratello, il guardiano, il primo boia designato.»

John lasciò la presa. «Non sarò il suo carnefice. Se trova verità nelle tue eresie…» esitò, le dita a stringere il volto d’argento «…affronterà il rogo a testa alta.»

«Nobile, ma sappiamo entrambi che non lo permetterai.» Theodore estrasse il libro che stava leggendo nella carrozza dal redingote. «Ricordale che i martiri» sfogliò una pagina «bruciano due volte più lenti degli eretici.»

John afferrò il quaderno. Tra i bordi anneriti riconobbe Mary Wollstonecraft. «Maledetto alchimista. Trasformi idee in nitroglicerina.»

«Sopravvissuto» corresse Theodore, aggiustandosi il colletto come un becchino prima di un funerale. « Reciterò la parte del missionario britannico: parlerò di pioggia, dell’infallibilità della Regina, e dell’arte di preparare il tè come rito sacro quando sarò in compagnia dei tuoi genitori.»

John lo scrutò, sospettando un doppio gioco. «Perché lo fai senza chiedere nulla in cambio?»

Theodore indicò George, che inciampava tra le ortensie con l’eleganza di un cucciolo ubriaco. «Perché il tuo amico laggiù ha bisogno di credere che il mondo sia ancora un posto per sognatori. E io ho un debole per le eresie ben confezionate.»

John si sentì meglio. «Mia sorella crede che tu sia un Mefistofele in redingote. Non deluderla.»

Theodore rise, il suono che si perse nel gracchiare di un corvo appollaiato su una statua decapitata. «Ah, John. Se solo sapessi quanto sono più pericoloso da alleato che da nemico.»

George riemerse dai cespugli come un satiro maldestro, i capelli intrecciati a edera e il panciotto macchiato di polline. Tra le mani, un mazzo di fiori selvatici — margherite sbiadite e cardi spinosi. «Emily adorerà questi!» annunciò, ignaro che il ritratto della ragazza nel medaglione di John sorrideva con la malizia composta di una ninfa scolpita da Canova: più casto il marmo che il pensiero.

Theodore lo osservò. «Sì, George» mormorò. «Credo proprio che li adorerà.»

Serie: Vacanza estiva


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni