Le forze speciali di Solferino

La truppa cantava, ma non in italiano, semmai in russo.

A qualcuno sembrava strano, forse si credeva fossero mercenari.

Invece no, e Pinuccio lo sapeva il motivo.

Avanzavano in marcia ed erano soldati un po’ troppo moderni. Invece che una divisa sarda, come tutti i commilitoni, indossavano indumenti civili con altri militari. Pinuccio lo sapeva che sembravano dei miliziani, o peggio degli sbandati, ma erano qualcosa di molto di più.

Erano ai diretti ordini del primo ministro, Camillo Benso conte di Cavour.

E se erano agli ordini di Cavour, quella era Solferino. Già da qualche giorno gli schieramenti si fissavano in cagnesco, e da poche ore tra i francesi e i sardi da una parte, gli austriaci dall’altra, era iniziato un cannoneggiamento. Poi ancora le truppe si erano aggredite le une con le altre per trafiggersi con le baionette o impallinarsi con i moschetti.

Sarebbe stato un bagno di sangue, tutti lo sapevano, ma forse era meglio così.

Perché tutti volevano l’Italia unita, via gli stranieri!, anche a costo di essere sostenuti da Napoleone III.

Pinuccio e gli altri uomini agli ordini di Cavour marciarono per quel sentiero, poi Franchino li bloccò.

Si sentiva arrivare qualcuno.

Smisero di cantare e si nascosero.

Passò di lì un treno di artiglieria austriaco, e Franchino disse: «Sarà come in Crimea».

Con le sciabole, le pistole e i moschetti assaltarono quel treno di artiglieria. Ci fu chi colpì i cavalli, chi abbatté gli artiglieri e i feriti subirono il colpo di grazia.

Nell’aria rimase l’odore del sangue, della polvere da sparo e quello fastidioso degli escrementi umani. Invece l’odore di sterco di cavallo era più gradevole, secondo Pinuccio. In Crimea aveva fatto il cavalleggero e aveva cavalcato con i seicento nella valle della Morte, a Balaklava.

«Presto, manovriamo i cannoni» ordinò Franchino.

Erano abbastanza per impossessarsi e controllare il treno d’artiglieria, così portarono le bocche da fuoco fino a un’altura la quale dominava sul campo di battaglia.

Era un macello. Il sangue faceva pozzanghere, i corpi erano dilaniati, i cavalli stritolavano i feriti.

Poco più in là, Pinuccio vide un tipo che con accento francese – o era forse svizzero – si lamentava e piangeva.

Decise di ignorare quello stolto ingenuo e con gli altri preparò il cannone a cui era stato assegnato.

«Mitraglia, dai, ragazzi!» ordinò ancora Franchino.

Presero dei sassi e li gettarono dentro le canne.

Alcuni austriaci li notarono, e decisero di attaccarli con le baionette mentre ridevano sicuri di sé. Ma erano troppo lontani, e Pinuccio e le altre forze speciali ebbero tutto il tempo di preparare le mitraglie.

Dopo alcuni attimi, gli austriaci erano vicini e Franchino gridò: «Fuoco!».

Spararono i sassi che colpirono gli austriaci e li smembrarono. Oltre che sassi, c’erano pure chiodi di ferro e rottami.

Risero tutti, divertiti da quel massacro.

Da sinistra, però, si vide arrivare un gruppo di dragoni austriaci. Erano brutti a vedersi, e più che eleganti erano alteri. A Pinuccio ispiravano solo antipatia e un po’ gli ricordarono i cavalleggeri russi che aveva combattuto cinque anni prima in Crimea.

I dragoni spararono con le carabine e calarono sulle forze speciali con le sciabole sguainate. Iniziò il mattatoio, ma i veterani di Crimea reagirono e li respinsero cantando in russo. Usarono pure le loro carabine, quelle in genere in dotazione ai cavalleggeri sardi. I cavalli nitrirono per il dolore, molti finirono per essere azzoppati, e i dragoni caddero per terra e così Pinuccio e i suoi commilitoni spezzarono loro le ossa e fracassarono le teste sulle pietre.

I pochi dragoni superstiti fuggirono, e le forze speciali esultarono.

«Il primo ministro sarà contento di tutti noi!».

«Sì, evviva, evviva!».

Adesso, però, c’era da fare un’altra incursione.

Franchino decise di spaccare le culatte dei cannoni per renderli inservibili, poi, di comune accordo con gli altri, spinsero le bocche da fuoco giù dalla collina. I cannoni rotolarono e gli affusti si ruppero, quindi piombarono su un reparto austriaco stritolando gli uomini sotto il peso del legno e del metallo.

Franchino sbraitò: «Via di qui».

Sparirono come spettri e continuarono a cantare felici in russo.

Pinuccio aveva un buon ricordo di alcuni soldati ottomani. Quella di Crimea era stata una strana guerra, con sardi, britannici, francesi e turchi da una parte, russi dall’altra. In quei mesi trascorsi nella penisola sul mar Nero, cercando di non ammalarsi di colera, Pinuccio aveva imparato le arti dell’imboscata e dell’incursione in territorio nemico. Una volta tornato in patria, lo stesso conte l’aveva scelto perché entrasse a far parte di quel reparto speciale.

Adesso stavano correndo nei boschi intorno a Solferino e cantavano a squarciagola. Tanto, con tutto quel baccano dello scontro in corso, chi mai li poteva sentire?

Solo, dopo alcuni attimi, Pinuccio incappò in quel tipo strano, quello stolto ingenuo. Si scontrarono.

Lo svizzero – perché era uno svizzero – borbottò contrariato.

«Ma vattene!».

«Voi sardi, così maleducati…».

«E tu chi saresti, scusa?».

«Pinuccio, fa’ in fretta. Mollalo, mollalo che non abbiamo tempo da perdere!».

«Mi chiamo Dunant, e certo tu devi essere un tipo che è meglio che non ci rivediamo più».

«Be’, può darsi». Pinuccio gonfiò il petto.

«Pinuccio, allora?».

«Vengo, vengo». Corse via, lasciò quel Dunant a se stesso. Gli era parso abbastanza sciocco, ma proprio perché era uno stolto ingenuo, un tipo che giocava con le bambole più che usare carabina o moschetto.

Si appostarono lungo un sentiero e di lì passò una colonna di ulani austriaci.

Pinuccio sorrise, tutti sorrisero. Di lì a poco si sarebbero scatenati sui nemici del Regno di Sardegna. E sarebbe stato un bel e buono spargimento di sangue.

Franchino esitò, poi lanciò un urlo: «Fuoco!».

Le pallottole calarono sugli ulani e questi, invece di reagire, scapparono e si dispersero.

Pinuccio sputò sui cadaveri di uomini e cavalli. «Gli austriaci, che vigliacchi!».

«Hai ragione» convenne un commilitone.

«Dai, su, facciamo un’altra incursione… non vedo l’ora di uccidere altri austriaci!». Pinuccio sospirò.

«Giusto, giusto» replicarono gli altri.

Aggiunse sottovoce: «Perché noi siamo le forze speciali di Solferino!».

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Discussioni

  1. Ciao Kenji, anch’io sono andata subito a sbirciare su google. Non conoscevo Dunat e come sempre l’accuratezza dei dettagli nei tuoi racconti è impeccabile: imparo sempre qualcosa di nuovo 😀

  2. Mi associo al commento di @alessandroricci. Nei tuoi racconti, così ricchi di dettagli e di riferimenti, si coglie pienamente la tua passione per la Storia e la tua conoscenza dell’argomento. Leggendoti, si impara ogni volta qualcosa. Personalmente poi (visto che non ho una gran memoria, ma compenso in curiosità) ogni volta che leggo un tuo racconto corro su google a cercare riferimenti e ad approfondire. Ed è per questo che mi ha fatto piacere che Pinuccio si sia imbattuto in Henry Dunant.
    Complimenti ancora per il lavoro di ricerca storica che c’è dietro i tuoi racconti.

    1. Ciao Sergio! Mah, guarda, per me è un po’ scontato sapere queste cose perché sin da piccolo ho approfondito la storia militare e ancora oggi, quando ho un po’ di tempo libero, mi metto a navigare sul web cercando di scoprire cose nuove. Grazie per il tuo bellissimo commento (mi sono sempre piaciuti i commenti lunghi e articolati)!