L’estate che viene – 2 – Legami

Serie: L'estate che viene


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Claudio mantiene gli occhi sulla bocca serrata di Renzo, non si scompone, la flemma parla per lui e racconta più di quanto non farebbe un ceffone ben dato: «Stai più rilassato e non t’azzardare. Non mi parlare a quel modo. Elena sarà pure mia sorella ma sposarla non t’ha fatto diventare mio amico.»

«Scusami. Scusa, è che sono un po’ nervoso in questi giorni.»

«Allora vedi di prendere fiato e datti una calmata». Claudio beve una lunga sorsata dal bordo stretto del bicchiere, lo posa di nuovo sul tavolo, si pulisce le labbra con il pollice. «Che è successo?»

«Ecco… insomma, c’era questo tipo che veniva sempre al salone…»

«Sempre? Cosa vuol dire sempre? Tutti i giorni? Che c’hai Renzo, una drogheria?»

«Beh, veniva spesso. Tipo una volta alla settimana, al massimo ogni due. Pigliava un’auto, la teneva per un paio di giorni e poi la restituiva. Tutto regolare, mai un graffio, la riportava sempre col pieno anche quando gliela davo a tre quarti.»

«Ok. Veniva al salone e s’affittava una macchina. Che macchina prendeva?»

«Sempre marche diverse, però tutte di livello. Di solito erano dei SUV. X6, Q8, roba così. Una volta ha anche affittato una Urus.»

«Mmh. E pagava sempre con la stessa carta?»

«Pagava in contanti.»

«In contanti? C’è uno che si affitta delle petroliere tutte le settimane e paga in contanti? Già non mi piace questa storia…»

«Me l’hanno detto i tuoi amici che dovevo… “diversificare” gli introiti» si giustifica Renzo con i palmi aperti, sentendosi colto nel vivo.

«Re’, una cosa è diversificare e una cosa è… lascia stare, tanto ormai. Fammi capire, come si chiama questo? È di qua? Che accento aveva?»

«Ma che ne so io?»

«Come che ne so? Te lo ricorderai il nome se lo vedevi tutte le settimane.»

«Certo, il nome me lo ricordo. Si chiamava Vivaldi. Ma non lo so di dov’era. Voglio dire, mi ha dato un indirizzo qua a Roma, ma non ho riconosciuto nessun accento. In realtà non ce l’aveva proprio. Sai, tipo quelli che parlano alla radio, che non lo capisci da dove vengono in realtà.»

«Vivaldi come il cantante?»

«Non era un cantante. Era un compositore.»

«Fai lo spiritoso?»

«No, perché?»

«Vivaldi e basta? Non ce l’ha un nome questo? Perché parli al passato?»

«Lucio. Lucio Vivaldi. Però mi lasci finire? È già abbastanza difficile».

Claudio fa segno a Renzo di proseguire, ne percepisce la tensione.

Ma Renzo, adesso, stenta a riprendere il filo del discorso. Alza la mano per attirare l’attenzione su una delle figlie dei proprietari, e quando questa li raggiunge ordina una bottiglia di birra.

«A st’ora Re’? Fai colazione così tutti i giorni?»

«Posso portare qualcos’altro anche a lei?» chiede la ragazza a Claudio.

«No, non mi serve niente» risponde Claudio senza guardarla. «E riprenditi pure questo, tanto ormai s’è freddato». Indica il bicchiere di latte consumato per metà.

Il pensiero di una birra a supportarlo è già uno sprone sufficiente affinché Renza riprenda in mano il discorso:

«Questo tipo era sempre vestito bene. Elegante ma sobrio; sai, stiloso, però mai appariscente…»

«Sei diventato un sarto adesso?»

«… così mi sono detto: siamo a Roma, magari lavora nel campo dello spettacolo, o della moda. Mi ha incuriosito.»

«E già ti vedevi che andavi a cena con chissà chi.»

«No, che c’entra». La ragazza torna al tavolo e vi posa una bottiglia di birra da trentatré e un piccolo bicchiere vuoto. Renzo lo riempie sino all’orlo e ne beve sino a che non vede il fondo. «Però ho pensato che se magari una volta portava lì al salone qualcuno di famoso…»

«Che gli facevi? Il cartellone pubblicitario?»

«Non lo so; è venuta la curiosità anche a Elena. Ogni tanto gliene parlavo di questo cliente, quando eravamo a casa. Così, visto che si dimostrava sempre gentile, un tipo disponibile, un giorno gli ho chiesto cosa facesse.»

«E…?»

«Ha detto che si occupava di investimenti.»

«Investimenti di che tipo?»

«Non lo so, mi ha sparato un sacco di nomi in inglese. Io non ci capisco niente di quella roba lì, io noleggio macchine.»

«E ci sarà un motivo se t’hanno messo a noleggiare macchine, no? Così le cose dei grandi le fanno i grandi.»

«Mi ha chiesto se volevo che mi spiegasse…»

«Preciso. T’ha puntato.»

«… siamo usciti a cena un paio di sere, anche con Elena…»

«Ha adocchiato l’autosalone e t’ha puntato. Regolare.»

«… ci ha fatto vedere degli schemi, dei grafici, ci ha snocciolato le rendite e tutte le garanzie…»

«Ma garanzie di che, Re’?»

«… sembrava che ci fossero pochissimi rischi…»

«Ma tu che cazzo ne sai di investimenti, Renzo?»

«… pagava sempre lui, era sempre pieno di soldi…»

«E uno che è pieno di soldi li viene a spartire con te che sei un gran coglione?»

«… e così ho fatto male i calcoli.»

«Non hai fatto male i calcoli Renzo. Hai fatto lo stronzo. Non ci girare intorno: quanto gli hai dato?»

«Cento.»

I pensieri di Claudio prendono fuoco.

«Cento?! Cento che? Centomila?»

«Sì.»

«Hai dato centocazzodimila euro a uno che manco conosci sulla base di cosa? Del tuo diploma di ragioneria? Di quattro frecce all’insù disegnate su un foglio?»

Renzo non dice niente. Claudio invece ha ancora qualche concetto da esprimere.

«Porco Giuda infame. Magari Elena non sarà proprio sto fiore di campo ma qualcosa di meglio di sto morto di sonno se lo poteva pigliare. Povera mamma, se vi vedesse adesso». Picchia sul tavolo, piccoli rapidi pugni, tanto leggeri quanto è grande la rabbia che gli monta dentro. «Comunque stammi a sentire. Tre cose buone avrai fatto nella tua vita, e una è stata quella di chiamarmi. Adesso rintracciamo questo stronzo e in qualche modo sti soldi ce li facciamo ridare. Ma che sia chiaro che non sto aiutando te ma mia sorella.»

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