L’estate che viene – 5 – L’estate che viene

Serie: L'estate che viene


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: «Voglio dire, gli diamo sempre un sacco di soldi a queste assicurazioni, vogliamo incassare per una volta? Ce la dobbiamo sempre prendere in saccoccia noi?»

«Lo vedi che sei ubriaco? Ti credi che se dai fuoco all’autonoleggio non se ne accorgono?»

«Tranquillo, l’autonoleggio resta lì dov’è». Beve ancora un sorso di birra. «Sono carte che ho fatto qualche tempo fa, per sicurezza. Glielo spieghi tu a Elena, le dici che l’ho fatto per loro. Mi basta che con quello che avanza, dopo che hai pagato i Colucci con gli interessi, il resto lo dai tutto a lei. Per ricominciare. Così quando sarà di nuovo il momento può uscire un po’ alla sera, trovarsi una compagnia, magari un nuovo marito, un padre per la bambina. Possibilmente meno stronzo.»

Claudio resta qualche secondo in silenzio. Accavalla le gambe, guarda in basso, se ne accorge pure lui che quei pantaloni hanno dato tutto quello che dovevano dare; tocca lavarli prima o poi. Che giri strani fanno i pensieri, escono nei momenti più improbabili, come i ciuffi d’erba da una crepa sul muro. Tossisce prima di chiedere:

«E fammi capire: non stiamo parlando che te ne scappi in Costa D’Avorio, giusto? Altrimenti…»

«Altrimenti l’assicurazione non paga. Devono constatare il decesso. In qualunque modo sia andata. Mi sono già informato. Se invece lascio fare ai Colucci…»

«… quelli ti mettono in tanti sacchettini neri e finisce che sparisci sotto terra. Non ti trovano più.»

«Non mi trovano più. Mica possono permettersi uno morto ammazzato al salone. Gli si scoperchia…»

«… un pentolone di merda».

Il silenzio cala sul tavolino, e per un attimo il tempo si ferma. Tutto il bar ammutolisce, la piazza antistante, il quartiere, Roma.

Claudio e Renzo si fissano negli occhi, il loro sguardo si sostiene a vicenda. Nessuno dei due dice una parola ma si comprendono alla perfezione, come non hanno mai fatto, in quella conversazione che dura all’infinito, in un battito di ciglia.

Poi la vita riprende a scorrere, e la città si risveglia nella stessa posizione in cui era caduta in letargo.

«Vuoi scusarmi un attimo?». Renzo si alza dal tavolino senza attendere il permesso di Claudio, che arriva tardivo e sommesso quando ormai non ce n’è già più bisogno.

Passa davanti al bancone del bar e chiede al vecchio cinese di poter usare il bagno. Il barista lo ferma, gli dice di aspettare, rovista sotto alla cassa e tira fuori una chiave vecchio stile, di quelle con il foro rettangolare nell’impugnatura, che sembrano nate per chiudere le porte leggere delle cantine e dei solai e mal si addice all’arredamento moderno del locale. È attaccata ad un portachiavi sproporzionatamente grande, a forma di campana da collo per le mucche, con tanto di battacchio. Ad ogni movimento produce un suono nitido, metallico, vivido. Renzo non può fare a meno di domandarsi cosa spinga qualcuno ad applicare un oggetto del genere ad una chiave, se non il preciso intento di fare sapere a tutti quanti che un cliente sta andando al cesso.

Claudio lo osserva entrare in bagno seduto al tavolo. La porta che si chiude, bianca avorio con una cornice grigia sui bordi. Sente il doppio giro di mandata della serratura azionata dall’interno, lo scampanellio che va avanti ancora qualche secondo per inerzia, poi si interrompe, scemando piano piano.

Il bagno è uno di quelli grandi, come a Renzo piace trovare in un locale. Le luci automatiche illuminano un ambiente cieco fatto di un pavimento pulito e di mattonelle bianche, composto da un disimpegno munito di specchio e lavandino e, oltre lo stipite a scrigno privo di ulteriori porte, i servizi veri e propri.

Si sfila la giacca blu notte, la appende ad una gruccia attaccata al muro, lasciando bene in vista le tasche interne ed il loro contenuto. Una striscia bianca spunta fuori per un pezzetto, c’è scritto qualcosa sopra ma non si riesce a leggere bene, bisognerebbe estrarla per poterlo fare. Preleva anche un taccuino viola, tenuto chiuso da un elastico teso sulla copertina.

Renzo abbassa il coperchio del water e ci si siede sopra. Libera il taccuino dall’elastico e preleva dalla spirale che rilega le pagine una piccola matita incastrata all’interno, lievemente spuntata ma in grado di fare ancora il proprio dovere.

Le pagine sono riempite fittamente, in maniera disordinata, da una scrittura nervosa. È il suo segreto, non l’ha mai detto a nessuno. Ci sono già motivi a sufficienza per farsi pigliare per il culo.

Accavalla le gambe e ne usa una come base per poggiare il taccuino, trova uno spazio vuoto, lo riempie.

Questo freddo che sento ora andrebbe ricordato e rimpianto l’estate che viene. Così come adesso ricordo e rimpiango il calore dell’estate scorsa.

***

Claudio aspetta seduto al tavolo, la sedia vuota davanti a sé. Alza il braccio e ordina un caffè. Quando la ragazza glielo porta lascia che il piattino venga posato sulla superficie lucida del ripiano, dopodiché ringrazia.

Beve in silenzio.

Aspetta.

Aspetta ancora un po’. Poi guarda l’orologio, si alza dal tavolo e va verso il bancone. Si rivolge al vecchio cinese con il portafogli in una mano.

«Mi può fare il conto, per cortesia? Un conto unico.»

Serie: L'estate che viene


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Discussioni

  1. Mi complimento per il crudo realismo che non lascia spazio a superfetazioni romantiche, ma mantiene quel tono di divorante angoscia che è ormai il tratto somatico comune di questa convulsa girandola di eventi che è la vita

    1. Ciao Gabriele, mi tengo stretti i tuoi complimenti e ti ringrazio, per avere letto tutto il racconto e per averlo commentato, facendomi imparare con un termine, superfetazione, che non avevo mai sentito e che è decisamente descrittivo. Grazie ancora👋

  2. Vorrei tanto, anzi tantissimo, poter estrarre quella striscia bianca dalla tasca interna della giacca per poter leggere ciò che c’è scritto sopra.
    Vorrei essere quella cameriera, ringraziata per la prima volta solamente dopo aver servito l’ultimo caffè.
    Vorrei leggere le poesie scritte con grafia nervosa sul taccuino viola, comprendere il significato di quel freddo rimpianto nel periodo estivo e di quel calore di cui ci ricordiamo con altrettanta nostalgia in inverno.
    Invece mi accontento di un conto pagato per una sola persona, un conto unico.
    Un racconto riuscito, coinvolgente e commovente. Ancora una volta dimostri la tua maestria nel maneggiare i dialoghi e intervallarli con gestualità caratteristiche di ciascun personaggio così che non abbiamo bisogno mai di ulteriori descrizioni.
    Un ritorno che aspettavo da tempo e che mi lascia quella sensazione di incompiuto che i tuoi racconti mi suscitano. Complimenti Roberto

  3. “se ne accorge pure lui che quei pantaloni hanno dato tutto quello che dovevano dare; tocca lavarli prima o poi. Che giri strani fanno i pensieri, escono nei momenti più improbabili, come i ciuffi d’erba da una crepa sul muro.”
    Passaggio bellissimo. Un inserzione inutile allo svolgimento del racconto, ma che rende tutto ancora più reale. Magistrale

  4. Gli ingredienti ci sono tutti: truffa, bimbo in arrivo, cognato un poco stronzo ma che sotto sotto gli vuole bene, piaano di “fuga” alla fu Mattia Pascal…mi è piaciuto tantissimo questo taccuino spuntato a sorpresa, sono curiosa di scoprire il suo ruolo nella storia!

  5. Eccomi. Il tono “succube” del protagonista trova qui il suo motivo. Ma posso dire che non avevo dubbi? (e per questo mi ero riservato il diritto di arrivare alla fine).
    Come dice Giuseppe è una storia amara, ed è emozionante come viene fuori piano piano questa sensazione di ineluttabilità, quando a un certo punto ci accorgiamo che l’unico modo per uscirne è forse davvero l’unico.
    Ciao Roberto. Ottimo, davvero!

  6. Che bello leggerti ancora caro Roberto. Mi sono gustato l’intero racconto parola per parola ritrovando il tuo stile: la cura dei dialoghi e dei dettagli e la scorrevolezza del narrare. La storia è amara e l’uscita di scena ideata dal protagonista come soluzione al problema da lui creato da veramente la misura di una vita sbagliata e di una solitudine disperata. Bellissime pagine, grazie Roberto!