Lettera ad un amore perduto (parte terza: conclusione)

Io, da lontano, continuai a pensarti, a pensare a come ci eravamo lasciati e al profondo dolore che provai quando te ne sei andato. Non c’è stato un giorno che non ci abbia pensato.

Il mio corpo risiedeva in un altro Stato, ma la mia mente e il mio cuore avevano attraversato e annullato l’intera distanza che mi separava da te.

Continuai a pattinare con un altro partner e provammo a partecipare alle Olimpiadi, ma senza alcun successo.

Adam era un uomo abbietto e meschino, tronfio e ripugnante. Nel corso degli anni tentò più volte di violentarmi. Aveva una naturalezza nell’esprimere il controllo e il possesso della mia persona che mi disarmarono.

Stupita e altera decisi di porvi fine, dopo aver vissuto in una stretta morsa che durò per ben dieci anni.

In breve mi sposai con un brav’uomo, ma che non ho mai amato.

Era un operaio di una delle numerose industrie che la Cecoslovacchia aveva ereditato dall’Impero Austro-Ungarico, diventando così una delle dieci nazioni più industrializzate.

Fummo costretti a trasferirci da Praga per andare ad abitare in una zona industriale che si trovava nei Sudeti, poiché la maggior parte delle industrie apparteneva a loro e le condizioni di vita erano migliori.

Nel frattempo la Germania con Hitler al potere aveva invaso la Polonia e la Cecoslovacchia fu lasciata e abbandonata da tutte le nazioni d’Europa.

In quel periodo decisi di scriverti per sapere come stavi e riprendere i contatti, ma non sapevo come fare. Non sapevo più niente di te.

La nostra vita trascorsa insieme mi sembrava, ormai, un ricordo sbiadito appuntato su un foglio di carta logoro e impolverato dal tempo. Un ricordo bellissimo da sembrare irreale. Mi domandavo spesso se avessi sognato tutto, se avessi immaginato tutto. Come già ti ho scritto, nei miei pensieri c’eri costantemente tu e ci sei sempre stato.

Quando nacque mia figlia, piansi. Volevo che fosse nostra. Volevo che fossi tu il padre di mia figlia. Volevo che fossi tu la mia famiglia, il mio futuro e il mio destino.

Crebbe felice e sana, ma non ebbe mai l’opportunità di conoscerti. Non ebbe mai l’opportunità di conoscere la parte più importante della mia vita e solo tu eri la chiave del mio passato.

Gli anni della guerra furono i più atroci di tutti. Quando fu firmato l’Accordo di Monaco la Boemia, la Moravia e la Slesia furono estorte da Hitler. La mia famiglia ed io finimmo sotto il controllo della Germania e, in seguito, facemmo parte del protettorato di Boemia e Moravia, dopo le dimissioni del presidente Hàcha.

Credevo che avrebbe vinto, che avrei vissuto per sempre nel terrore e nella fame, nel rimorso e nel rimpianto di non averti mai più rivisto. Nel 1944 fummo liberati dall’Unione Sovietica e dai ribelli comunisti ceco-slovacchi rifugiatisi in Inghilterra durante l’esilio. I tedeschi furono definitivamente espulsi dai Sudeti.

Nel febbraio del 1946 il governo ungherese permise che la Cecoslovacchia espatriasse tanti ungheresi quanti erano gli slovacchi in Ungheria che desideravano tornare ad abitare le terre della Cecoslovacchia.

Ho sperato per anni che le nostre vite potessero intrecciarsi ancora una volta, ma non fu così. Non sei mai più tornato.

Forse non era destino che ci incontrassimo di nuovo. La nostra opportunità l’abbiamo avuta molto tempo fa ed è stato egoistico pensare da parte mia, di poterti rivedere un giorno. Di rivedere quel volto a me così familiare, ormai, solcato da scanalature che avrebbero rivelato gli anni di lontananza che non vissi accanto a te.

Gli anni, adesso, mi attanagliano in una stretta morsa, mi fanno avvertire il peso della vita vissuta e dell’assenza, della tua assenza. Ripenso sempre al rimpianto di una decisione presa anni prima e di quanto essa possa aver influenzato tutto l’arco della nostra vita. Nel corso dei primi anni è stato insopportabile conviverci, ma poi, nel sinuoso e incessante scorrere del tempo, è diventata la contemplazione di un legame che ha vissuto al di là dello spazio e del tempo.

È stato un legame talmente forte che ha resistito una vita e ancora continua a resistere.

È costante, è forte, è solido nel suo essere antico. Rimarrà sempre ineluttabile in noi. Vivrà nel ricordo e morirà nel ricordo. Nascosto, discreto, risposa nelle trame del tempo, tenero e puro, incontaminato.

Proprio come si meritava che fosse. Giace, intensamente e teneramente in noi.

E, stranamente, un mese fa, aprendo il giornale, ho letto un articolo che parlava proprio di te e della tua vita.

Mi sembrava di vivere un sogno. Per la prima volta, in tutti questi anni, ho potuto avere tue notizie.

Sono venuta a conoscenza che sei diventato un costruttore di aerei in Australia e hai avuto fortuna nel campo dell’aviazione. Ho saputo anche che hai sposato una giornalista e che hai avuto tre figli.

L’intero articolo mi ha fatto pensare che ti fossi dimenticato di me, sicché, non volermene, ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo e che forse trattenevo da oltre cinquant’anni.

Tuttavia le pagine di quell’articolo mi hanno perseguitato per diversi giorni, continuavo a sfogliarlo, come a voler trovare un dettaglio, un dato che mi rivelasse qualcosa.

Dopo una attenta e scrupolosa lettura, ho notato che in una foto c’era raffigurato un aereo con una scritta di un nome sul suo fianco destro, e quel nome “Cecìlia”, scritto sopra, mi ha fatto capire che anche per te è stata la medesima cosa.

I nostri destini, in un certo qual modo, si sono intrecciati di nuovo. Forse non nel modo in cui avremmo voluto, ma è stato pur sempre significativo.

Credo che questa lettera sia stata scritta prevalentemente per rivelare la stupidità di due ragazzi che sono stati incapaci di rivelarsi il loro amore e che, per una vita intera, sono vissuti nel rimpianto.

Mi accingo, adesso, a spiegarti il secondo motivo per cui ti recapito questa lettera.

Ho un inizio di alzheimer e, in breve tempo, ogni mio ricordo cesserà di esistere.

Ho scritto quest’ultima come testamento e testimonianza dei ricordi più importanti della mia vita, che destino a te.

Ho celato alla mia famiglia per tutto questo tempo questa parte di me e vorrei che mi ricordassero come hanno sempre fatto.

Nel frattempo, io, scrivendoti libro in volo quei sentimenti tanto sottaciuti e te li affido, poiché solamente tu sei l’unico destinatario e, adesso, custode del mio amore per te.

Spero che questa parte di me possa, in un qualche modo ritornare a te, poiché solo a te, Andrej, appartiene.

Sappi che ti amo, ti ho amato e che ti amerò per l’eternità.

Anche se negli anni successivi non ricorderò più niente della mia vita ci sarai tu, Andrej, in un’altra parte del mondo, a ricordare ciò che sono stata. Questo mi basta affinché la mia anima, la mia vita, possa vivere ancora ed essere parte del mondo, almeno per un po’.

Spero che la mia storia, il mio vissuto, il mio amore per te possano riacquistare un senso, uno scopo più di quanto non abbia avuto la mia vita successiva.

La mia sepoltura sono le parole scritte in quella lettera e la terra che mi ricoprirà, sarà leggera in confronto a quello che lascio e serbo in te, unico amore della mia vita.

Spero che la tua vita, adesso che sai la verità, possa essere più piena e priva di ogni tipo di rimpianto o pentimento, perché ci sarò io lì con te, sia nello spirito sia nell’anima.

Ti amo,

per sempre tua,

Cecìlia 

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