LIBRO MASTRO

Il tavolo è pulito. Una tazza sbeccata, un quaderno a quadretti, una matita temperata male. Sessant’anni oggi. Fuori è freddo, ma la cucina tiene.

Appoggio la punta: la grafite non impegna, registra.

INTESTAZIONE

Anagrafica: Maschio, classe 1965.

Oggetto: Resoconto vita al 31/12.

Metodo: competenza. Non cassa; la cassa mente.

Traccio due colonne con il righello.

ATTIVO / PASSIVO

1. ATTIVO: due amici rimasti. Li chiamo per nome: Mattia e Tania. Rispondono quando posso permettermi di non parlare.

PASSIVO: cinque conoscenti che ho lasciato diventare nulla per comodità. Nota: la comodità impoverisce.

2. ATTIVO: un figlio. Non chiama spesso. Quando chiama ride. Quel suono paga interessi.

PASSIVO: un matrimonio archiviato come pratica ordinaria. In realtà era straordinaria amministrazione.

3. ATTIVO: mani che sanno riparare una presa, un cardine, un rubinetto. Piccoli recuperi.

PASSIVO: ginocchio destro. Dolore a freddo. Ammortamento già oltre il piano.

4. ATTIVO: tre libri sottolineati. Le matite ancora dentro.

PASSIVO: il tempo passato a correggere gli altri invece dei conti miei. Sovrafatturazione di moralismi.

5. ATTIVO: una mattina a settimana cammino. Un’ora. Nessuno lo sa, io sì.

PASSIVO: venti anni di straordinari col badge muto. Straordinari ordinari.

Smetto un momento. Goccia del rubinetto. Sette secondi tra una e l’altra. Non la chiudo: mi serve il ritmo.

Riprendo.

6. ATTIVO: una cucina che ricorda l’odore di una domenica buona. Pane con olio, niente altro.

PASSIVO: l’inventario delle cose non dette a mia madre finché era viva. Rimanenze senza scontrino.

7. ATTIVO: una volta ho avuto paura e ho detto “ho paura”. Quella volta mi ha voluto bene una persona.

PASSIVO: le altre volte ho recitato l’uomo giusto. Teatro amatoriale, platea vuota.

8. ATTIVO: una città che posso attraversare a piedi. Incrocio tre saluti veri.

PASSIVO: dieci anni di auto come confessionale, parlando solo al parabrezza.

Una riga più spessa separa la pagina. Scrivo in alto: RETTIFICHE.

Uso una penna a inchiostro. Le rettifiche chiedono un segno che non scappa.

• Ratei attivi: promesse mantenute in ritardo. Contano lo stesso? Sì, ma senza interesse.

• Risconti passivi: colpe che ho già pagato ma continuo a registrare. Da stornare.

Sorrido piano. L’inchiostro luccica, non asciuga subito.

9. ATTIVO: ho imparato a cucinare due piatti. Pasta aglio e olio. Frittata con le cipolle. Selezione essenziale.

PASSIVO: ho imparato troppo tardi a dire “non posso”.

10. ATTIVO: un portone che si apre con la chiave giusta al primo colpo. Non è poco.

PASSIVO: sogni messi in scaffale alto. Li guardo, non li prendo. Polvere, non patina.

Mi fermo. Ascolto il vicino che trascina una sedia. Sopra qualcuno sposta una vita di lato, per passare.

Apro un cassetto. Dentro, biglietti: cinema, treno, concerto. Ne prendo uno a caso. Data non leggibile. Annotazione: il tempo scolora prima dell’inchiostro. Lo registro come perdita figurativa. Non si recupera.

11. ATTIVO: ho smesso di confondere la fame con la voglia. Cibo a posto, desideri in dietetica.

PASSIVO: ho confuso spesso la solitudine con l’indipendenza. Riclassificare.

12. ATTIVO: mia ex moglie che oggi mi ha scritto “auguri”. Due parole, nessun punto. Il punto lo metto io.

PASSIVO: la versione di me che pretendeva sempre l’ultima parola. Voce fuori campo: da mutare.

Chiudo la prima pagina. Sul margine scrivo: Totali provvisori. Traccio linee. La somma non torna. Non può. La vita non quadrerà mai se la voglio come un bilancio perfetto. Serve un’uscita di sicurezza.

Bevo l’acqua. Fredda. Torna il ginocchio. Registro: dolore a freddo. Non imputabile a nessuno.

Riapro. Sezione nuova: MOVIMENTI STRAORDINARI.

• Voce 1: “Quella volta al mare”. Avevo quarant’anni. Entrai in acqua di sera. Pane e il profumo di una pesca. Ho pensato: “da qui si riparte”. Non ripartii.

Nota: non è un rimorso. È un promemoria. Prenotare un’altra sera, prima di chiudere.

• Voce 2: “Mio padre che ride”. Rideva poco. Una volta molto. Io avevo sette anni e facevo finta di essere un meccanico con una chiave inglese giocattolo.

Nota: passivo ridotto. Quella risata ancora paga.

• Voce 3: “La puttana di provincia con i capelli rossi”. Avevo ventidue anni. Ho imparato che il corpo è una lingua.

Nota: niente vergogna. Competenza: si registra quando accade, non quando conviene.

Mollo la penna, l’inchiostro prende troppa verità. Riprendo la matita: il resto deve poter cambiare. Traccio una riga scura in basso: SALDO.

Mi affaccio alla finestra. Sotto, un bambino tenta la bicicletta senza rotelle. Il padre non lo tiene. Il bambino guarda avanti e pedalando fa zig zag. Regge. Non cade. Il padre finge di non essere lì. Metodo educativo: fiducia con mano pronta.

Rientro. Torno al tavolo. Scrivo: Disponibilità liquide: poca rabbia, abbastanza respiro.

Immobilizzazioni immateriali: due perdoni dati, uno ricevuto.

Magazzino: parole buone non scadute.

Fondo rischi: malumore del mattino, accettabile.

Telefono. Scorro. Numero di mio figlio. Ci penso. Non chiamo. Scrivo: Non chiamare per obbligo. Chiamare quando si ha qualcosa da dare. O da chiedere con onestà.

Resto immobile. Sento la goccia tornare. Sette secondi. Cadenza.

Sezione nuova: OPERAZIONI DI CHIUSURA.

• Eliminare voci generiche: “Avrei potuto”.

• Sostituirle con: “Posso ancora”.

• Congelare il lessico dell’eroismo: “Sacrificio”, “destino”.

• Usare il lessico del lavoro: “compito”, “turno”, “mano”.

• Smontare la nostalgia.

• Riciclare i pezzi buoni: un odore, un gesto, un nome.

Firma in calce: Io di oggi.

Mi alzo, apro il rubinetto e chiudo bene. Silenzio. Controllo se il silenzio pesa. Non pesa. È un mezzo, non un fine.

Torno al tavolo con un pane lungo. Lo taglio in due. Olio. Sale. Mangio in piedi. Penso che forse questo è il modo giusto di festeggiare: contabilità spiccia e qualcosa che sazia.

Prendo il cappotto. Nella tasca trovo un biglietto del tram. Piego il biglietto, lo metto tra le pagine come segnalibro. Scrivo a margine: apertura nuova partita.

Sono le 8:07. Appunto l’ora. Mi piace la precisione quando non serve a difendermi, ma a ricordarmi che esisto.

Ultima riga, in grande:

SALDO PROVVISORIO A FAVORE DEL PRESENTE.

Sotto, più piccolo: Non si chiude. Si continua.

Spengo la luce della cucina. Il quaderno resta sul tavolo, aperto. Quando torno, ricomincerò dalla stessa riga. Non per finire, ma per tenere i conti buoni con me.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Lino. Il tuo racconto è quasi un’introspezione lucida e imparziale sulla vita di un uomo che si confronta con il bilancio della propria esistenza.
    Il tuo stile mescola contabilità e riflessione e sei riuscito benissimo a mettere in scena il gioco di attivo e passivo, tra ciò che si guadagna e ciò che si perde. Ogni voce, sia essa un’amicizia, un ricordo o una debolezza fisica, è catalogata con precisione quasi burocratica, ma anche con una certa dolcezza.
    La bellezza del tuo racconto sta nella sua franchezza e nella consapevolezza che, a un certo punto, la vita non può essere misurata in numeri perfetti. Ciò che emerge è una ricerca di equilibrio tra il passato e il presente, con l’idea che ogni conto, per quanto incompleto, è sempre suscettibile di essere “continuato” o rettificato.
    Mi hai fatta riflettere sul valore di ciò che resta, su come le piccole cose, un gesto, una parola, un odore, possano essere più significative di qualsiasi grande successo.