L’inizio del mondiale… la prima volta non si scorda mai. 

Serie: Spagna 1982


Le partite del mondiale spagnolo, viste attraverso gli occhi di persone di quell'Italia. Dagli occhi di un bambino, fino a quelli degli adulti. Una serie di racconti dove il calcio fa da contorno, per mostrare uno spaccato di quei tempi.

Torino, 14 giugno 1982.

La città vive di gloria e monumenti snocciolati tra le vie del centro dominate dalla Mole Antonelliana.

La signora Caterina, trent’anni compiuti da poco, sta facendo rimbalzare ritmicamente i suoi passi nella via semivuota del capoluogo. Sa che deve fare in fretta, dato che suo marito, Carlo, esce alle 16 dall’officina e quando la passerà a prendere dovrà essere veloce, salire al volo sulla FIAT 126 rossa del marito con la borsa stretta in grembo.

Sono anni difficili quelli, certo. La “questione morale” sollevata da Berlinguer faceva ancora eco. Lei se lo ricordava, “l’Enrico”, come lo chiamava il marito, quando nel 1980 parlò dai cancelli della Mirafiori ai lavoratori in sciopero, tra i quali c’era anche Carlo, avvilito ed avvelenato più che mai, perché avevano un bambino piccolo e la FIAT ne aveva messi tanti, troppi, in cassa integrazione.

A Carlo era andata peggio, era uno dei quindicimila che furono licenziati.

Tuttavia, oggi è un giorno particolare, a Torino, come nel resto del Paese: oggi iniziano i mondiali di calcio!

A dirla tutta, non che a Caterina interessi qualcosa dei mondiali, o del calcio in generale, ma suo marito è un appassionato tifoso granata da generazioni, anche se lavora per “i padroni della Juve” come tiene sempre a precisare. Allora che vuoi fare, lo si accontenta. Lui ed il suo amico “Flipòt” (che sta per Filippo) vogliono vedere la partita di stasera; per Caterina è una buona occasione per passare qualche ora con la cara signora Marianna, la moglie di Filippo, e per far giocare un po’ i bambini insieme, dato che la coppia di amici ha due figli più o meno coetanei del suo.

Trascina quasi suo figlio Luigi, fasciato nei suoi calzoncini corti e nella sua maglietta blu che gli ha comprato qualche settimana prima e che lui sfoggia tutto contento, mentre pensa che, a lei, nemmeno piaceva quel nome, ma Carlo lo aveva voluto chiamare così in onore di Gigi Meroni, il giocatore del “Toro” morto tragicamente nel 1969. Era anche il nome del padre di Caterina, quindi, le andava bene così. Luigi, dicevo, due occhietti vispi, scuri e tanta voglia di conoscere il mondo, non ha nessuna intenzione di camminare velocemente, ché oggi c’è il sole e lui avrebbe voluto stare a giocare in cortile col suo amico “Stevolin” (Stefano, in italiano) magari a pallone, con indosso la maglietta del Torino che gli ha regalato il suo papà, quella con lo scudetto sopra, con il numero 9 sulla schiena, che gli dicono sempre che era di un certo Pulici.

Luigi, nel ’76 era appena nato e di quella maglia aveva solo un ricordo narrato dal padre. Certamente si sentiva fiero di quella maglia, anche se non capiva il perché, ma in qualche modo sapeva che quella maglia, con quel granata, lo rendeva orgoglioso, forse perché rendeva orgoglioso suo papà Carlo.

Una volta arrivati, con qualche minuto di anticipo sulla tabella di marcia, all’angolo di via Sesia; luogo dell’appuntamento convenuto con il marito, dove c’è il panificio della signora Teresa, Caterina si rilassa un attimo nel fumo di una Milde Sorte, sigaretta che inganna l’attesa nella Torino vuota di questo Giugno dell’82. Luigi è accanto a lei e sta pensando che no, non gli andrebbe di stare tutta la sera con i figli di Filippo, perché Matteo è più grande di lui e quindi “comanda i giochi” e sua sorella Giulia, che ha la sua stessa età, “è una femmina e con le femmine a cosa puoi giocare?!“, dilemma non di poco conto per un bimbo di sei anni appena. Gli toccherà fare “il grande”, seduto al tavolino con Matteo e Giulia, visto che i bambini hanno il posto a parte, perché i grandi devono parlare mentre si cena, ma prima guarderà la partita. “Speriamo che segni l’Italia”, sussurra nella sua testa Luigi, a metà tra l’emozione del suo “primo mondiale” e la speranza del tifoso di calcio più accanito. Lui, del mondiale precedente (Argentina 1978) non ricorda nulla, ha solo sentito qualche parente parlarne, ma non ha ricordi, dato che aveva appena due anni, ed ancora non sa che questo, di mondiale, lo porterà per sempre dentro il suo cassetto della memoria, quale che sia il risultato finale.

Carlo arriva, giusto il tempo di alzare il sedile del “126” rosso fiammante e Luigi si catapulta al suo posto, dietro, perché “nei posti davanti ci stanno mamma e papà“. Un saluto veloce, un bacio a Caterina ed uno a Luigi, poi, “via, in marcia!” esclama Carlo, col suo tono sempre allegro, mentre, ingranando rumorosamente la prima, inizia a far muovere l’auto verso la prossima destinazione.

Mamma e papà parlano di qualcosa, durante il viaggio, che Luigi non capisce: parlano di isole liberate, che la guerra è finita nelle Falkland, ma che gli argentini le chiamano “le Malvinas”, lui non ha la minima idea di quello che stiano dicendo. Come quando papà Carlo parla “del presidente Pertini”, che è uno “dei nostri” sostiene, ma che Luigi chiama “quel signore che mi sta simpatico”, del resto, non lo si può biasimare, a sei anni nessuno ha idea di cosa sia, davvero, la politica.

Cose da grandi, Luigi, cose da adulti e tu, piccolo, sei solo un bambino. Avrai tempo per parlare di queste cose, ma non oggi, non adesso.

La radio, tenuta a volume basso per non coprire le voci dei genitori, soffia nell’aria le note sottili di Al Bano e Romina: “il ballo del qua qua”, a Luigi piace perché lo fa ridere un po’ quel ritornello, e quest’anno alla festa de l’unità magari le orchestre la suoneranno pure. Magari. “Chissà, forse ad Agosto andremo a fare il bagno al mare!” pensa, mentre i sogni ad occhi aperti di Luigi si perdono nei discorsi dei suoi genitori.

L’auto si ferma davanti ad una pompa di benzina. Il “signore”, il benzinaio, arriva al finestrino ed una volta apprese le istruzioni da Carlo “il pieno, di super”, esegue il suo lavoro in maniera quasi svogliata, disinteressata. Sarà che fa caldo, sarà che, dentro al gabbiotto, la televisione è già accesa. Prende i contanti dalla mano di Carlo e restituisce le chiavi. Un gesto di saluto, accompagnato da un sommesso “arrivederci” e l’uomo torna dentro al suo mondo fatto di pensieri incomprensibili e solitari, con la testa coperta dal suo berretto con visiera, lasciandosi trascinare dalla calura torinese verso il suo gabbiotto dove, probabilmente, chiederà al suo ventilatore da tavolo di fargli passare qualche momento di sollievo. 

Nel frattempo la macchina è ripartita ed in pochi minuti arriva a casa di Filippo. Appena dentro casa i papà si lanciano in terrazzo, al fresco, e subito si mettono a parlare di calcio: «che brutta figura che farà l’Italia» dice Filippo, e Carlo sostiene che “Bearzot è un incapace e di sicuro è una nazionale vergognosa“.

Chissà perché?”, si chiede Luigi. Gli ha detto suo padre che un allenatore che non convoca il capocannoniere della Roma, per portare uno come Paolo Rossi, non dovrebbe allenare, ma che in fabbrica da lui c’è posto e farebbe meglio ad andare a lavorare. Un po’ strano, come pensiero, Luigi non ne capisce proprio il senso, nella sua infantile semplicità, così pura e scevra da pensieri tecnico-calcistici. Lui, Luigi, si limita a fare il tifo.

Marianna e Caterina, intanto, stanno guardando e discutendo sulle piante che ornano sul terrazzo, ma Luigi non bada molto alle signore, le abbandona lasciandole lentamente scomparire dalla sua visione periferica, concentrandosi su tutt’altro che le piante della signora Marianna da annaffiare. Ha altro da fare lui, c’è da tirare su un bel duello con le spade (finte, ovviamente), mica roba da ridere, roba importante, deve difendere l’onore della sua casata dai nemici, che poi, è sempre Matteo e, quindi, tanto nemici poi non sono.

Luigi ha comunque dei pensieri; ,”è la nazionale, quindi si deve tifare a favore, non contro. Ragionevole, in effetti, il suo domandarsi per quale motivo Carlo e Filippo, diano la squadra italiana per sconfitta già alla prima partita.

Matteo sostiene, dall’alto dei suoi nove anni, che sicuramente il Brasile è la squadra più forte e che se “noi” non passiamo il girone siamo veramente dei “cioccolatai”, come dice sempre suo padre Filippo.

Speriamo che segni quello della Fiorentina, Graziani“, si consola mentalmente Luigi. Papà Carlo gli ha raccontato che giocava con Pulici nel Torino dello scudetto proprio l’anno che è nato lui. “Magari segna…e magari vinciamo!”, ci crede, in quel pensiero, il piccolo. 

Adesso, però, basta pensare, Luigi. La tv è accesa e bisogna sedersi a terra, perché le sedie sono dei grandi, e bisogna vedere come andrà la partita.

«Signore e signori, buonasera dallo ‘’Estadio Balaidos’’ di Vigo per la partita tra Italia e Polonia, che apre il  “gruppo 1” del mondiale di Spagna ’82. L’Italia è in questo girone insieme alla Polonia, appunto, al Camerun ed al Perù….vediamo le formazioni…..» la voce amichevole del telecronista, collegato in diretta dalla Spagna, rompe gli indugi.

Non c’è più tempo, bimbo, ora i tuoi occhietti possono solo incollarsi alla televisione, pronti ad esultare. Perché è sicuro che esulteremo noi “azzurri“, vero, Luigi?

Serie: Spagna 1982


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Discussioni

  1. Inizio adesso la lettura di questa serie, che già solo per l’argomento fa gol a porta vuota. Ci hai messo dentro riferimenti storici e politici tenendo sempre il calcio accanto. Per me che ero appena un po’ più grande di Luigi è un ricordo della mia infanzia, per chi è più grande un tuffo in un’Italia profondamente diversa da quella di oggi. Avevo 7 anni ma è stato un anno pieno di ricordi il 1982. Facciamo questo tuffo nel passato dunque.

  2. Mi piace molto la descrizione che hai fatto, di quegli inizi di ’80 che in realtà sapevano ancora tanto di ’70. Per me è un amarcord sul serio, io c’ero ed andavo già al liceo. Paradossalmente ricordo più altre cose che il mondiale, ma questo è un mio problema…

  3. Spettacolare Marco, complimenti davvero. Purtroppo mi tocca il ruolo di antenna ripetitrice che fa rimbalzare segnali già trasmessi da altri, ma non posso fare a meno di rimarcare quanto sei stato bravo a ricreare un ambiente così distante dai giorni nostri e che si sposa alla perfezione con i ricordi di bambino come il tuo Luigi che ho di quegli anni. Molto efficace la visione del mondo degli adulti e dei loro discorsi incomprensibili, le immagine che hai evocato senza doverle descrivere di strade deserte e dei pochi svogliati malcapitati che loro malgrado devono marcare presenza nel caldo soffocante della città. Insomma, come dicono in Estonia: mecojoni!

    1. Ciao Roberto! La chiosa “estone” mi ha fatto sbellicare dalle risate!!! Grazie per le parole di apprezzamento, fa piacere riceverle, ma non solo, dai commenti (specialmente dal tuo) deduco di aver centrato il punto descrittivo! Arriveranno anche gli altri, fino alla conclusione della finale di quel mondiale. Ho mantenuto la stessa narrativa, ma, un occhio attento, noterà una certa evoluzione. Grazie ancora!!

  4. Descrizione certosina dello stato d’animo di ogni italiano prima di quel mondiale che racchiude in sé lo spirito ambivalente del nostro popolo. Orgoglio e pregiudizio. Intenso e bello

    1. Grazie, davvero, io non ricordo quel mondiale, ma da appassionato di storia (calcistica e non) ho cercato di far trasparire un po’ di quell’Italia, che visse intensamente gli anni ’80, con tutti i problemi e le problematiche (purtroppo, molto gravi alcune volte) del periodo. Grazie ancora il bel complimento “intenso e bello” 🙂

  5. Splendido amarcord di anni che, per chi c’era e magari era un bambino, hanno lasciato un segno dentro. Tu hai saputo mettere in campo l’eccezionalita di un evento che ci ha uniti tutti e una quotidianità sullo sfondo che poi era la nostra. Insomma, una serie fatta per prendere al collare gente come me. Aggiungo, e non sarebbe mai da dare per scontato, tu scrivi molto bene e sai caratterizzare al meglio i personaggi, anche quelli che sono solamente di passaggio. Bravo

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    1. Ciao Ileana, innanzitutto grazie per le bellissime parole! Nei racconti i protagonisti cambieranno, ma in ognuno è presente un piccolo pezzetto di me…Luigi, che vuole giocare a pallone anziché andare con i genitori, ad esempio!! Nemmeno io ho vissuto quel mondiale, sono nato l’anno dopo, e forse per questo motivo mi è rimasto impresso a tal punto! Sono curioso di sapere cosa penserai degli altri racconti! 😉