L’interruzione

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


Gustav di ritorno in tribunale incontra il deserto. Poi una figura anziana, che si rivela essere il giudice Max, con cui riesce ad avere un primo colloquio, in cui si giustifica per le sue ultime assenze causate dal suo nuovo incarico di direttore responsabile della rivista di poesia ermetica.

«Ora cerco di spiegarle, signor giudice, quali sono i miei piani e come penso di strutturare un sistema di minima sopravvivenza, da utilizzare come prima emergenza e semmai da articolare e affinare nel tempo. Ho comprato alcuni quadernoni di computisteria in una cartoleria dei paraggi. Su ciascuno di loro traccerò gli orari delle mie attività, sia quelle legate alla vecchia sfera legale che le altre, relative alla nuova rivista ermetica, quindi alla sfera prettamente culturale, o sarebbe meglio dire di traspirazione poetica, ma che senza dubbio, mi creda, cadranno inevitabilmente in secondo piano rispetto alle prime, come le accennavo poc’anzi. In fondo il direttore di una rivista ermetica non dovrebbe fare altro che controllare, dare una sua supervisione spicciola, giusto per gli impulsi fondamentali, che i collaboratori attiveranno poi nel tempo, con le loro abilità e la loro sensibilità culturale ed ermetica, che mi auguro mi risparmi incarichi intellettuali troppo gravosi. Penso che limitandomi a uno sguardo sommario dall’alto potrò gestire il mio ruolo all’interno della rivista con scaltrezza, conciliandolo brillantemente con la parte legale, inerente alla mia reale professione, che sarà quella che mi assorbirà maggiormente all’interno del tribunale. Ma adesso mi dica, signor giudice, che cosa posso fare per riparare alle mie più recenti inadempienze? Intendo quelle che le sono state riferite in relazione alle udienze della giornata di ieri – non mi sembra di ricordarne altre.»

Quando smisi di parlare mancò la luce. Poi avvertii dei passi di più persone affrettarsi nel corridoio, per poi passare davanti alla porta chiusa della camera in cui mi trovavo col giudice e allontanarsi. I passi rallentavano, poi riprendevano di nuovo il loro percorso, con il loro ritmo iniziale.

«Che cosa facciamo, signor giudice? Rimaniamo qui e continuiamo a parlare al buio?»

Silenzio.

«Signor giudice, mi sta ascoltando?» ma non ebbi alcuna risposta. Quando ritornò la luce, la poltrona nera, dove fino a poco prima sprofondava il giudice Max, era vuota. Scattai subito in piedi, allarmato.

«Che cosa sta succedendo? Non è più qui, signor giudice? Riesce a sentirmi, almeno?» gli gridai, quando bussarono alla porta. Era la signora volpe, con il poeta e il mio amico Ariele che venivano a cercarmi – forse a raccattarmi per riportarmi in albergo.

«Finalmente, direttore. Ma dove diavolo eri finito? Avanti, dobbiamo sbrigarci, è già tardissimo» mi disse il poeta.

«Che cosa sta succedendo?» chiesi alla volpe.

«Ce lo dica lei, piuttosto» mi disse.

«Stavo parlando con il giudice Max, quando all’improvviso…» ma non ebbi il tempo di concludere che Ariele e il poeta, l’uno alla mia destra l’altro alla mia sinistra, mi presero di peso e mi trascinarono fuori dalla camera.

«Direttore, cominciamo davvero maluccio. Forse non hai ben compreso che da oggi non sei più un avvocato. Pensavo che dalle clausole contrattuali fosse tutto chiaro. Il primo giorno, poi… da non crederci» disse il poeta, avanzando nei corridoi tetri del tribunale, mentre la volpe sogghignava, dietro la sua maschera, distribuendo i suoi caffè su alcuni ripiani polverosi delle aule deserte.

«Dobbiamo ritornare in albergo. Cerca di collaborare, altrimenti rendi tutto più difficile» mi dissero entrambi, all’unisono, Ariele e il poeta, mentre la volpe, ritornando accanto a noi ripeteva, con aria beffarda: «Il signor direttore supervisore. Un volo d’uccello ed è già in ascensore, alla volta stellata del tribunale! Che razza balorda di maiale!» Ero assai seccato dal loro comportamento. Intanto, intrappolato dalla stretta dei due carcerieri, mi guardavo intorno, per la prima volta imputato nel mio regno di giustizia deserto, dove si distribuivano caffè in camere oscure ad avvocati, uscieri, cancellieri e giudici fantasmi.

«Devo parlare col giudice Max e poi vi seguirò in albergo, promesso. È importante che io concluda il discorso che stavo facendo con lui prima del vostro arrivo. Per cortesia, datemi il tempo di ritrovarlo. Non dovrà essere lontano. Ci metterò poco, ve lo assicuro» dissi al poeta e ad Ariele, che continuavano a trascinarmi verso l’uscita, senza assecondare minimamente le mie volontà.

«Tutti morti nell’incidente. L’autobus si è conficcato in un punto sinistro. Un incidente spaventoso. Si dovrà provvedere al recupero delle salme prima dell’arrivo degli animali selvatici. Gli animali selvatici sono già sparsi lungo il tragitto dell’autobus» disse Ariele, concitato.

E il poeta: «Ma adesso non siamo in grado di occuparcene. Una rivista ermetica non può ostacolare l’arrivo degli animali selvatici. Tra l’altro non ci occupiamo di cronaca giudiziaria».

«Anche questo è vero, signor poeta» gli fece Ariele.

«Cosa potremmo mai fare per salvaguardare i giovani musicisti, allora?» dissi.

«Non hai sentito che cosa ha detto Ariele? Tutti morti. Cosa vorresti mai salvaguardare, me lo spieghi?» mi chiese il poeta.

«Ma è sicuro che non vi siano superstiti? Se invece ci fossero dei vivi feriti, ma intrappolati e nascosti, che non hanno la forza di gridare e districarsi dalla calca dei rovi? Escludereste a priori un’ipotesi del genere?» dissi, con la voce rotta dall’emozione.

«Mio caro avvocato,» mi rispose il poeta «per le dinamiche di cui parli vi sono gli organi preposti, che sono da tempo sul luogo dell’incidente, dove avranno già appurato, o saranno in fase di approfondimento, le dinamiche drammatiche del sinistro, ma che non riguardano in alcun caso noi letterati. Il nostro unico dovere è raggiungere l’albergo e la redazione, per cominciare a progettare il primo numero della rivista. Non vedo altri obblighi e orizzonti, al momento.»

«Ma l’uomo della cartoleria voleva portare le figlie a sentire le tube basse risuonare a lungo nel buio del bosco!» dissi loro, con aria smarrita.

«Lascia perdere. Le sentiremo per chissà quante notti. Poi col tempo l’orecchio, notte dopo notte, si abituerà e non le noterà più, come se le tube e il vento non ci fossero mai stati. Nessuno si occuperà di recuperare le tube basse dei giovani morti e tutto scivolerà nell’oblio. Rimarranno a mugghiare nel bosco, come animali feriti, e le bambine del cartolaio torneranno spensierate alla loro musica e al loro pattinaggio, perché tutto alla fine ritorna, si placa, si completa…»

«Ma come potranno mai essere felici?» 

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