L’ultima panchina

Ilaria aveva corso a perdifiato sulla pista da pattinaggio, volteggiando leggera come una libellula. Le aiuole intorno erano zeppe di fiori gialli incolti: acetosella, tarassaco, primule… Le magnolie, nonostante la siccità , erano floride. Sotto le chiome di quegli alberi, percepiva un senso di quiete. La bellezza e il profumo dei petali rosa sulle piante, avevano un effetto distensivo.
Era un piccolo paradiso, un’oasi di pace, in mezzo al grigiore del cemento e dell’asfalto, che riempiva tutti gli spazi, da quelli più vicini a quelli più distanti. Quando il tormento della sua anima in pena si faceva più acuto, Ilaria sentiva il bisogno di tornare nel luogo prediletto della sua infanzia.
Al centro della piazza, dove un tempo c’era il chiosco dei gelati, un’enorme catasta di sacchi pieni di sabbia. Altri mucchi erano depositati nel parcheggio vuoto. Nessuna macchina in sosta, nessun’auto in circolazione, né moto o altri veicoli a motore. Alla fermata dell’autobus nessun passeggero in attesa; nessun pullman in transito lungo la strada.
Ilaria era andata a sedersi sulla panchina, per togliersi i pattini e infilarsi un paio di scarpe da tennis consumate e sbiadite. Aveva notato un altro foro nella calza, con l’alluce che si affacciava dal buco, come un grosso bruco dalla mela. “Pazienza, ci sono mali peggiori” aveva pensato. Il pattinaggio l’aiutava a essere più positiva, più leggera, nel corpo e nello spirito.
Stare all’aria aperta, con tutto l’ossigeno prodotto dalle magnolie e l’energia bruciata col movimento, le aveva procurato fame. Aveva aperto lo zaino per prendere i cracker, il succo e le patatine. C’era soltanto un fagottino di tela. Dentro nient’altro che una manciata di ceci. Uno dei legumi che piacevano tanto a sua nonna Adelina. Lei ne mangiava spesso: cotti e crudi, freschi e secchi. Le aveva raccontato più volte di quei ceci tostati sulla cenere calda, ai tempi della sua infanzia: uno snack sfizioso, uno dei pochi spuntini stronca fame che potevano permettersi in quegli anni di grande povertà , dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Ogni tanto Adelina le chiedeva se volesse sgranocchiarne anche lei, per merenda, ma Ilaria preferiva le arachidi, i popcorn o le merendine che si scioglievano in bocca.
Seduta sulla panchina Ilaria guardava il mucchio dei sacchi, dove un tempo c’era il chiosco. Quel ricordo le aveva scatenato un forte desiderio di cono gelato, con panna e cioccolato. Avrebbe gradito anche fragola e pistacchio; persino una cialda vuota, al posto di quei ceci duri e un po’ stantii. Insieme a quel desiderio, l’aveva assalita anche la malinconia, ripensando a sua madre, che la portava lì a giocare, da piccola.
In quel momento era arrivata la sua amica Maylin. Le aveva chiesto dove fosse il rifugio. “Perché?” “Perché non si sa mai”, aveva risposto Maylin. Subito dopo l’aveva informata che i Gialli avevano colpito Berryest, lanciando razzi dal confine con la Polja. Dopo aver scatenato la guerra batteriologica, per eliminare e indebolire milioni di persone, avevano stabilito, insieme ai Rossi, un nuovo piano strategico. Avevano chiuso le forniture di combustibili, facendo crollare l’economia dei Paesi con poche risorse. Avevano provocato, una guerra virale informatica, creando disastri enormi. Una delle nazioni che aveva retto meglio i colpi inflitti da virus e carenza di combustibili, era stata la Land. Avevano colpito Berryest, per distruggere una zona della Terra ancora parzialmente autonoma.
“Un’altra guerra”, le aveva detto Maylin, terrorizzata, “quella con le bombe”.
A quel punto Ilaria aveva capito il motivo di tutti quei sacchi ammucchiati ovunque. Quello che non capiva era il senso di stare dietro le barricate sotto i bombardamenti dall’alto. Se l’invasione dei Gialli avesse continuato, dopo aver occupato la Land, colpendo i Paesi vicini; altro che sabbia. Neanche le dune di Is Arenas, sarebbero bastate.
Improvvisamente il viso di Maylin si era deformato, imbruttito, l’espressione minacciosa, il dito puntato contro.
A quel punto Ilaria, terrorizzata, si era risvegliata. L’incubo era finito, ma lei era ancora sconvolta. Aveva controllato le news sul tablet. Nessuna nuova guerra, nessun allarme. Tutto come sempre: prezzi altissimi, risorse razionate, prodotti di prima necessità introvabili, risparmi senza valore. Tutte conseguenze dell’ultimo conflitto atroce, ormai finito, con conseguenze incalcolabili.
Ilaria avrebbe mangiato volentieri pane e cioccolato, nero e bianco; o solo fondente. Oppure soltanto un panino soffice, pieno di mollica e basta. Comprare il pane ogni giorno era diventato un lusso. Ilaria, per colazione, aveva solo il te. Un infuso preparato in casa, con i setti legnosi contenuti all’interno della noce. L’utilizzo degli scarti, per ottimizzare le risorse, come le aveva insegnato la nonna.
Quel te senza biscotti, senza cereali, senza un tozzo di pane, aveva aumentato il suo languore, come se avesse sciacquato lo stomaco e tutto l’apparato digerente, rendendolo ancora più vuoto.
Per distrarsi dalla fame, Ilaria aveva preso il quaderno delle poesie scritte dalla nonna, in un passato ormai remoto. Erano versi in rima baciata, che conosceva a memoria. La scrittura minuta e ordinata, le dava la sensazione di averla ancora vicina. Aveva aperto una pagina a caso.
8 marzo 2022: Si allontanano i boati. / Si abbandonano gli amati. / Si cammina sulla neve, / che si scioglie e poi si beve. / Case vuote, strade in piena, / come fiumi d’anime in pena, / per andare alla stazione, / tra migliaia di persone, / in attesa di quel treno, / troppo corto e troppo pieno, / per fuggire più veloci, / dal destino con le croci. / Mamme con bambini accanto, / trattenendo il loro pianto. / Madri e figlie ancora unite, / con dolore son partite. / Mani tese le hanno accolte, / con le braccia le hanno avvolte. / Chi resiste abbraccia fucili, / contro la guerra degli incivili, / contro l’esercito dei soldati, / tra i civili massacrati, / per non arrendersi ai vicini, / amici-nemici e cugini. /
Subito dopo Ilaria aveva posato lo sguardo sul computer. Prima delle diciotto non poteva accenderlo. Anche i programmi televisivi, per ridurre i consumi, erano razionati. Avrebbe voluto qualcosa da leggere, viaggiare mentalmente, in una realtà diversa, più piacevole o confortante. I libri di carta li avevano eliminati: occupavano spazio, erano ricettacolo di polvere, acari, pesciolini argentati. Se almeno avesse potuto leggere qualche libriCK.
Durante quei momenti vuoti aveva ripensato all’incubo notturno. Aveva focalizzato il viso deformato di Maylin, somigliante a quello di un uomo. Non riusciva a ricordare chi fosse. Forse… Si, era proprio lui: l’ultimo sovrano autoritario, Shen (spirito) Ping (pace). Di pace, il mondo, come sempre, aveva un gran bisogno, prima di ogni altra cosa.
Ilaria, dopo quell’incubo, era ricaduta nell’agitazione. Il solito timore della spada di Damocle sul mondo, si era accentuato. Aveva infilato le scarpe da tennis, era andata in periferia, per cogliere qualche ramo di cedrina, ramoscelli di menta e boccioli di rosa canina, per farne un bouquet. Aveva accostato il naso, assaporando quel profumo intenso che, dalle narici, le arrivava in gola. Sua madre adorava i fiori, soprattutto le rose; anche se, nell’ultimo periodo, nessuna rosa al mondo avrebbe potuto scuoterla dalla sua apatia, dal torpore che le impediva di alzarsi dal letto.
Ilaria aveva varcato la soglia del cancello, aveva percorso il vialetto in direzione della cappella, poi aveva svoltato a destra. In fondo, vicino all’ultima parete, si era fermata, aveva posato i fiori, per farsi un segno di croce, con lo sguardo rivolto verso la foto di sua madre Giulia. Aveva pregato a modo suo, invocando aiuto. Di solito, quando si recava al cimitero, pregava soltanto per la pace dell’anima tormentata di sua madre. In quel momento, per la prima volta, sentiva di dover chiedere pace e serenità , per tutto il genere umano.
Prima di allontanarsi aveva infilato nel vaso un terzo dei fiori che aveva con sé.
Subito dopo Ilaria aveva proseguito, raggiungendo il punto in cui era stata sepolta la madre di Maylin, Irina, accanto al suo compagno Chen. Aveva rivolto anche a lei le stesse preghiere, lasciandole un ramoscello di cedrina, la menta e la rosa canina.
Per ultima si era rivolta a sua nonna. Aveva sfiorato la foto per salutarla, con una lacrima sul viso. Adelina l’aveva sempre capita; con lei non aveva bisogno di tante parole. Era capace di leggerle dentro, intuiva le sue paure e sapeva incoraggiarla. Addolciva i suoi momenti più amari, con parole, gesti e amore incondizionato. Riusciva a infonderle una luce che rischiarava le sue tenebre, anche nei momenti più bui.
Ilaria, da quando la madre aveva deciso di porre fine ai suoi giorni, a parte Maylin, non aveva più nessuno su cui contare. Per vivere tranquilla, senza dover affrontare da sola, un altro inferno, si affidava al potere divino. Solo un miracolo poteva placare l’esaltazione di certi esseri inumani, posseduti da deliri di onnipotenza. In quel momento il magone si era sciolto; dentro di sé Ilaria cominciava a sentire l’effetto positivo della preghiera. Una forza in cui credeva, come strumento da contrapporre, con pensieri, parole e azioni, a quella delle armi. Perché funzionasse nella prevenzione di un altro disastro mondiale – pensava – l’esercito dei civili, non violenti, pacifici e virtuosi, avrebbe dovuto crescere, rafforzarsi, con esercitazioni quotidiane di buona volontà , per l’estinzione, col passare del tempo, di tutti quei seguaci delle forze opposte.
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Un librick molto bello, mi ha stretto il cuore. Quanto vorrei che tutto questo fosse solo distopia… Ben venga una preghiera, una poesia, qualsiasi cosa riesca ad accrescere l’energia positiva che manca al Mondo
Purtroppo non è solo distoPIA; però, dal tuo commento per una semplice preghiera o poeSIA, come forma positiva di enerGIA; direi che siamo abbastanza in sintoNIA. Non so quanto ciò possa valere per il mondo, per me vale tanto. Grazie Micol.
Maestra nelle rapsodie paesagistiche e anche poetessa, brava!😊
*paesaggistiche
Grazie Luca, sei gentile e molto generoso nei tuoi elogi.
Sperare che i dittatori si ravvedano sulla strada di Damasco è una pia illusione. Ne conosci forse qualcuno? Io no.
No, non ne conosco e non mi faccio llusioni di questo tipo.
Particolari sempre ben in evidenza che da irrilevanti diventano preminenti nei tuoi racconti. Peccato che le preghiere penetrino solo i cuori delle anime belle. Corazze impenetrabili proteggono malvagi e guerrafondai dalle preghiere di milioni di anime buone.
Ti ringrazio per il commento sempre lusinghiero. Non pensi che bene e male siano entrambi presenti in ciascuno di noi ? E che il pensiero e l’ azione positiva, quando riusciamo a farli prevalere, (preghiere, piccoli gesti o buone azioni), siano come sassi lanciati nello stagno, che si espandono i lungo e in largo? Forse non possono toccare chiunque, ma piu´ si diffondono piu´ smuovono le acque, con la qualita´ della loro buona energia. Io temo che anche nelle guerre piu’ lontane da noi, nessuno puo’ sentirsi escluso. Come diceva il grande Faber, siamo comunque coinvolti.
Molto bello, descrizioni immersive. Mi è piaciuta anche la poesia all’interno e non posso che non condividere il messaggio finale. Brava!
Grazie. Preghiere e versi sono un tasto delicato e, di solito, non largamente condivisibili. Chi osa rischia, anzi, di essere risibile. In questo periodo cosi´ difficile, pero´, credo si sentano piu´ forti, non solo le ragioni della mente e del cuore, ma anche quelle dello spirito.