
L’ULTIMA SPIAGGIA
C’è chi affronta il mare mosso, mosso dall’irrefrenabile voglia di domare le onde, onde per cui è pronto a montare su di una tavola, tavola da surf che galleggiando sull’acqua pare beffarsi della violenza del mare fuggendo via leggera, leggera come la brezza di mare prima di venir travolta (non so da chi, ma che inizio travolgente come un film di John Travolta). C’è chi il mare mosso non l’affronta, decide piuttosto di andare incontro alle micro onde – le ondine – camminando nell’acqua, un’acqua alta fino all’ombelico. Di più non osa, il coraggio gli manca. Manco a dirlo un’onda meno micro e inaspettata – fuori onda – osa superarlo, l’ombelico, che ora è ancor di più al centro, non del mondo ma della sua attenzione.
Attenzione!
Quello che sto per dire farà inorridire molti italiani, sia quelli supini sotto i pini nelle località di mare, che quelli proni sulla spiaggia di Capri vicina ai faraglioni:
il mare è sempre molto freddo, anche dopo il riscaldamento climatico. Quando andiamo al mare la pensiamo così io e anche il mio amico Giovanni detto John, per quella stravolta di sua moglie alla prova costume, prova che precede quella dell’acqua. Questa certezza è suffragata dal fatto che le mie immersioni sono sempre prolungate; prolungate perché mi manca il coraggio di proseguire quando l’acqua raggiunge l’ombelico, rimanendo così bloccato sulle punte dei piedi come Bolle, finché un’onda traditrice mi bagna la schiena; vi assicuro che l’acqua non bolle perché sento freddo, ma poi mi passa.
Vorrei tanto tuffarmi ma al solo pensiero mi viene un tuffo al cuore. Così vago nell’acqua camminando un po’ a destra e un po’ a manca: mi sento tanto ondivago, come i tanti pensieri che affollano la mia mente ma di cui ho un ricordo vago. Fortunatamente riaffiorano di rado e vagamente, ma mai tra le onde, tra le onde riaffiorano solo le bolle; sono i mie retropensieri che è meglio dimenticare respirarando piuttosto il profumo del mare che è tutt’altra cosa.
Nuoto fin dove si tocca; quando non tocco mi tocca tornare indietro. È una toccata e fuga che eseguo spesso: “la maggiore” delle volte. Forse un domani la eseguirò in “re minore”, come Bach comanda”.
Di spiagge ne ho viste tante ma questa è diversa perché è l’ultima spiaggia: l’ultima in Italia. Mi trovo a pochi passi dal confine sloveno e un cippo segna il limite che una volta era invalicabile. Il valico di Lazzaretto è lì a pochi metri ed ora è soltanto un vago ricordo. Sulla pietra una scritta indica R. d’Italia. La si può interpretare come una “R’ di Regno, vista l’antichità, ma anche la “R” di Repubblica va egualmente bene. Mi sono informato: è una “R” di Repubblica perché il Regno d’Italia comprendeva tutta l’Istria e la Dalmazia. Ora il confine è solo segnato, il bagno qui una volta era impensabile con le guardie che non ammettevano intrusioni. Guardie che incutevano timore e che era meglio non contraddire. Ricordo un mio collega romano, da poco trasferito a Trieste, che all’epoca non conosceva il dialetto triestino, dialetto che, per le poche guardie jugoslave native dell’Istria, era considerato alla stregua della lingua italiana che masticavano a malapena.
La guardia, addetta al controllo dei passeggeri delle automobili al valico, con modo brusco e perentorio che non prevedeva dinieghi: “Verzi cofano!” (Apri il portello del vano motore!)
Il romano, imbarazzato per la strana richiesta fattagli in un idioma sconosciuto: “Non capisco, cosa devo fare?” La guardia: “Verzi cofano, no ti ga capì!” (Apri il portello del vano motore, non hai capito!)
Il romano: “Sia gentile, si spieghi meglio!”
La guardia spazientita: “Te vol verzer el cofano e anca el baul, baul de talian!” (Vuoi aprire il vano motore ed anche il bagagliaio di dietro, idiota di un italiano!)
Il romano inizia a sudare freddo nonostante il caldo estivo: “Non so proprio cosa devo fare!”
A quel punto la guardia spazientita, guardandolo in malo modo dà una manata sul cofano e sul baule:
“Ma che raza de ‘talian te son che no ti capissi tua lingua, tira su el cofano e el baul de sta 128. Movite mona!” (Ma che razza d’italiano sei che non comprendi la tua lingua, apri il cofano ed il baule dietro di questa 128. Muoviti stupido idiota!)
Oggi è un confine aperto, senza controlli. Non te ne accorgi di oltrepassarlo; solo qualche cartello che indica i nuovi limiti di velocità in Slovenia ti mette in guardia di non essere più in Italia. Devi stare attento perché qui non si scherza con la “milica” (la c si legge z come in mazza) i famigerati poliziotti con l’auto blu e bianca. Se ti fermano è cosa buona e giusta tacere; si paga e si tace se vuoi passare una notte in santa pace e non in cella per aver risposto in maniera un po’ audace – se le rime non ti vengono avrai tutto il tempo di trovarle tutta la notte rinchiuso a Capodistria – Koper (SLO) dietro le sbarre.
L’acqua è bassa, per fortuna si tocca per un lungo tratto. La spiaggia è libera e non si paga. Noi a Trieste diciamo di andare al bagno per dire andiamo al mare. È un’espressione dialettale colorita che stupisce chi non vive da queste parti, anche se in parte, su questo tratto di mare privo di servizi, potrebbe essere interpretata, giustamente, nel senso logico di andare veramente al bagno un po’ più in là dove ancora si tocca, soltanto per avere una maggiore privacy.

Ecco perché si vedono tante persone entrare in acqua, allontanarsi lentamente dalla spiaggia guardandosi alle spalle, per poi fermarsi facendo finta di niente. Poco dopo, con estrema nonchalance, ritornano da dove erano partite avendo espletato la mission, non tanto impossible da immaginare, senza aver accennato ad una benché minima bracciata in mare.
Oggi questo tratto di spiaggia è stato allietato dalla presenza di un cigno bianco che, dicono, vive lungo questo tratto di mare solitariamente. È comparso all’improvviso calandosi dal cielo, proprio a pochi metri dal mare come un angelo bianco. Le sue lunghe ali si son rinchiuse in un attimo sparendo alla vista; grazie al collo lunghissimo e mobile, con il becco ha iniziato la sua toiletta mattutina raggiungendo ogni piuma, anche la più distante, ritrovando quello splendore, quella purezza che madre natura gli aveva donato.

Ma dico io, bel cigno bianco, sarai anche una splendida creatura dalle piume candide e immacolate, ma proprio qua, sul tratto di spiaggia vicino a me, dovevi lascere quel segno poco gradito a dimostrazione che anche oggi ti sei liberato?
Dopo aver lasciato il “ricordino” si è allontanato via mare, galleggiando come un hovercraft sull’acqua, per poi sparire alla vista e raggiungere qualche altro lido, chissà, forse anche molto lontano.
Il tempo passa col mio passatempo enigmistico settimanale preferito, ogni aiutino è ben accetto purché si riempiamo tutte le caselle. Finito lo schema crociato, quello senza schema, incrocio le braccia e mi guardo intorno soddisfatto. Vedo quasi sempre le stesse facce, ognuno ha marcato il proprio territorio con asciugamani, sdraio e lettini, e guai a chi osa violare quella “proprietà” consolidata: ti guardano di brutto come a dire: “Ma proprio qua dovevi spiaggiarti? Vai più avanti, che la spiaggia continua. Su, su smammare che il mare è grande e un buco più in là vattelo a cercare!”
È una lotta continua la domenica, perché la spiaggia è di tutti, di tutti quelli che arrivano per primi, i secondi mal alloggiano perché quello che conta non è partecipare ma agguantare l’oro, l’argento conta poco.
Il sole è alto, la spiaggia brucia; l’ombra manca, la pelle scotta: è ora di andare via, di ritornare a casa.
È passata anche questa mattinata al mare, ora mi aspetta una bella sauna in un abitacolo rovente, ma ho l’aria condizionata. Delle previsioni poco ottimistiche per domani sinceramente me ne infischio, io non mi faccio condizionare, domani è un altro giorno e si vedrà.
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Almeno siamo un due a sentirla fredda l’acqua! Più che un racconto di fantasia è la cronaca di una giornata al mare. Lo smartphone mi è stato utile per abbozzare le prime idee annotandole appena mi sono venute in mente; poi, a distanza di mesi, le ho riassunte in questo libriCK condendole con l’aneddoto vero del doganiere. Se qualcuno si diverte leggendoti mi da forza per continuare. Grazie Cristiana.
Questa volta, oltre che divertirmi leggendoti, mi sono immedesimata. Amo tanto il mare, ma pure io ho i miei tempi (lunghissimi) quando mi ci devo buttare. E quando poi ti schizzano la schiena, è anche peggio. Bella l’immagine della guardia che parla italiano stretto. Mi piace!
Le prime righe, direi che mi ci sono immedesimato parecchio! Bello anche questo racconto, concordo con Maria Luisa, sembra una di quelle versioni latine di Plinio il Vecchio. La parte sulle guardie di frontiera una gag tipicamente italiana e scommetto molto vicina alla realtà. Il cigno immagine delicata e poetica…con una bella dose di “consistente realtà”. Mi ha ricordato un episodio. In una spiaggia poco fuori Cagliari, passeggiando in primavera, un giorno trovai un fenicottero morto. Immagine molto triste a parte, è stato molto piacevole, come solito, leggere un tuo racconto. Chissà che un giorno non capiti da quelle parti, mi ci tuffo!
T’invidio come riesci a domare le onde su di una tavola costantemente instabile, io che galleggio a malapena. Come dicevo a M.Luisa la storia è tutta vera. La gag sulla guardia di frontiera me l’ha raccontato un mio collega romano dell’ex Banco di Roma trasferito a Trieste 40, 45 anni fa quando non conosceva il verbo del dialetto triestino “verzer”che significa aprire. Di certo non posso competere con gli illustri scrittori di questo sito, e tu mi sei da esempio, io posso solo giocare con le parole e col tempo forse migliorarmi.
Grazie Carlo, fatti vivo se passi da queste parti.
Quintus Fabius Pictor, avrei detto leggendo alcune parti di questo racconto, per l’ erudizione e l’ arte nell’ elaborazione della scrittura. L’ altro Fabius, pero`, scriveva in greco e in latino, con la sua famosa (?) opera: “La storia di Roma”. Il Romano, inoltre, non dissacrava puntualmente, ogni parte ben scritta con estro creativo invidiabile. Peccato! La descrizione del cigno era una delle migliori. Secondo me perfetta senza i “ricordini”. Pero` si sa: non sarebbe il tuo stile irriverente, se non avessi reso molto prosaica la descrizione di un’ immagine bella e poetica.
Adesso ho scoperto, forse, di essere un pro-pronipote di Quintus Fabius Pictor e di appartenere alla gens Fabia. Devo ammetterlo: non l’ho mai sentito nominare anche perché sono un semplice ragioniere illeterato. Comunque approfondirò la ricerca. La storia che ho raccontato è tutta vera: la spiaggia è proprio limitrofa al confine, il cippo esiste, la foto l’ho scattata io e difronte si vede Punta Grossa in Slovenia, l’acqua è bassa, il cigno esiste ed è calato a due metri da me facendo tutto quanto ho descritto, l’acqua sarà anche calda, qua dicono un brodo, ma per me è sempre fredda, solo John non esiste ma le due bagnati che ho fotografato appartengono alla mia famiglia. Siamo in luglio di quest’anno . Anche l’aneddoto del poliziotto di frontiera è reale, risale ad una quarantina di anni fa e le parole mi sono state riferite testualmente. Lo stile irriverente oramai mi appartiene e non ne posso fare a meno. Mi sei stata utile, adesso studierò un po’ di storia. Grazie M.Luisa.
Mi ha molto divertito questo librick!
Sono contento Kenji. Vedo che ti piacciono le mie storie, ma non hai mai pensato di diventare un mio follower? Saresti il 18°, il n. 17 è oramai alle spalle