Madrid, 6 marzo 1973. Un incontro.

Una mattina mi ritrovai a passeggiare in Plaza Mayor a Madrid, al braccio di un misterioso accompagnatore di cui non riconoscevo il viso e non ricordavo il nome. Sapevo di essermi svegliata nel letto di una camera d’albergo, con niente indosso e quell’uomo che dormiva accanto a me. Comprendevo, in maniera inequivocabile, di aver trascorso la notte con un perfetto sconosciuto e la cosa non mi infastidiva. Lo avevo desiderato e avuto, a mio unico piacere.

Ebbi la sensazione di trovarmi come in un quadro: la giornata era splendida e le coppiette come noi sorridevano felici al pensiero di potersi godere qualche ora di svago nel fine settimana appena iniziato. Abbassai lo sguardo sulla mia figura e vidi che indossavo un abito giallo informale e adatto a una colazione, appena sotto il ginocchio e con un accenno di spacco nella parte posteriore; portavo una décolleté a tacco alto e un soprabito leggero. Ricordo che i miei capelli erano acconciati in modo tale che le ciocche cadessero morbide ai lati del viso lasciandomi libero il collo su cui sentivo la leggera brezza come fosse il tocco di una mano delicata.

Il cinguettio degli uccelli si alternava al rumore dei cucchiaini che giravano nelle tazzine di caffè, creando un compás piacevole a udirsi. Pensai che sarebbe stato bellissimo accennare un passo di danza in quella piazza meravigliosa e in quel preciso, perfetto momento.

Girai la testa e alzai appena gli occhi per guardare l’uomo accanto a me. Il suo volto era sfocato, i lineamenti appena accennati e per quanto mi sforzassi, non riuscivo a riconoscerlo. Non me ne feci un problema perché spesso nei sogni accade e capii che non era lui l’oggetto della mia illusione. Qualcos’altro avrebbe attirato presto la mia attenzione, dovevo solamente attendere e portare pazienza.

Decisi allora di godermi quella passeggiata, in punta di piedi appesa al suo braccio che mi dava sostegno. La bellezza della piazza aveva tutta la mia attenzione: ci eravamo lasciati alle spalle la statua di Filippo III e stavamo per risalire la scalinata dell’Arco de Cuchilleros.

Improvvisamente fu come se il tempo si fermasse, una risata mi fece voltare di scatto e provai un senso di vertigine. Quella voce veniva da un’altra epoca e da un’altra vita. Mi entrò dentro ed esplose fragorosa come una fucilata. Tirai leggermente il braccio del mio compagno, mi fermai e la cercai.

Allora lo vidi: sedeva al tavolo di un caffè in compagnia di alcuni amici di cui avevo letto un tempo. Formavano quella giovane borghesia intellettuale di un Paese in cerca di rinascita alla fine della dittatura franchista. Al suo fianco c’era lei, la sua amata sposa, molte volte tradita, ma che lo avrebbe accompagnato fino alla fine. Festeggiavano il suo compleanno e io lo sapevo perché lui era nel mio sogno.

Mercedes fu la prima a notarmi e accennò un sorriso di cortesia. Si accorse però del mio smarrimento e quando notò che la mia attenzione non era rivolta a lei, avvicinò le sue labbra all’orecchio del marito e gli sussurrò alcune parole.

Ciò che mi colpì da subito furono i suoi folti capelli neri nei quali le mie mani avrebbero voluto affondare. Non poteva dirsi bello nel senso classico del termine, tuttavia mi ero dissetata così tante volte alla sua fonte, da sentirlo parte di me. Mi chiesi se lui lo sapesse.

Una farfalla volò dal suo tavolo al mio abito e in quel momento lui mi notò. Compresi allora il senso che nel sogno aveva il colore che indossavo per lui.

Rimase a guardarmi per un tempo che parve interminabile e io non tolsi mai i miei occhi dai suoi. Gli ospiti che stavano al tavolo cominciarono presto a mormorare e scese l’imbarazzo fino a quando lui si alzò lentamente e venne verso di me. Ricordo che mi prese la mano sinistra e, forzandola appena un poco, la dischiuse. Appoggiò il dito indice sulla mia linea della vita e la percorse da un capo all’altro più volte, prendendosi il tempo necessario. Quando fu soddisfatto, allora alzò lo sguardo. Pareva sollevato e lesse ciò che vedeva facendolo ad alta voce e nello spagnolo cantilenante delle paludi del Caribe: mi disse che la mia vita sarebbe stata lunga; mi disse che mi sarei innamorata tutte le volte che io lo avessi voluto e avrei vissuto dei miei sogni ritrovandomi in essi alla fine di ogni mio viaggio. Disse molte cose di me, che nessuno udì, ma che io ascoltai bene e che tengo ben chiuse nella mia valigia. Come un padre premuroso, mi raccomandò di non aprirla mai se non per mostrarne il contenuto a una sola persona, che poi il destino mi avrebbe tolta.

Gli attimi trascorsi in piedi uno di fronte all’altra furono eterni: era il mio sogno ed ero io a stabilirne i tempi. La terra girò molte volte intorno al sole e le nostre ombre si allungavano rapidamente per poi tornare ad accorciarsi come in un vortice impazzito.

Quando decisi che mi bastava, lui mi disse che avrebbe scritto di me nei suoi racconti e poi tornò a sedersi accanto alla sua sposa per soffiare le candele della torta di compleanno che avevano preparato per lui.

Guardai allora il mio accompagnatore e mi accorsi che, lentamente, il suo viso si faceva più umano e i lineamenti si delineavano. Un pizzico di curiosità mi prese, ma solo per un attimo perché in realtà non mi importava più e già mi stavo risvegliando.

Liberamente ispirato a una storia nella storia

(Gabriel García Márquez, Dodici racconti raminghi, L’aereo della bella addormentata)

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Discussioni

  1. Trovo che il realismo magico sia un genere che sai condurre egregiamente: sei di casa dove non è strano incontrarsi in sogno. Eredità dell’amore per il Sud America e per gli immortali che lo hanno cantato in ogni arte.

    1. Grazie Micol, le tue parole mi lusingano perché in realtà mai aspirerei a tanto. I maestri si amano e si ammirano, da loro si cerca di imparare, ma mai mi potrei avvicinare. In ogni caso, è un genere che a volte mi piace sperimentare. Mi dà leggerezza, come danzare un passo di valzer.

  2. Cristiana, nei tuoi racconti ogni volta io mi perdo dentro le tue magnifiche descrizioni. Mi stai facendo scoprire il mondo ispanico, soprattutto di questi anni ’70 che non ho mai vissuto ma che sto imparando ad apprezzare e sognare. Ed un po’ mi rattrista, ogni volta che finisco di leggere è come se mi svegliassi e tornassi al futuro, anzi ritornassi al futuro! Mi dispiace e mi viene la nostalgia di un periodo che non ho nemmeno vissuto! Veramente bello anche questo racconto.

    1. È molto bella la capacità che hai di lasciarti andare e farti prendere dalla lettura, cerca di conservarla sempre! Hai anche una grande capacità evocativa e di immaginazione. Bisogna essere avidi perché c’è tantissimo da scoprire. Trovarsi ovunque e in tutte le epoche è impossibile, però, ciò che non riusciamo a vedere, lo possiamo catturare camminando con gli occhi sempre puntati in alto, leggendo tanto e studiando, senza mai stancarci perché nei luoghi, nei libri e nelle persone troviamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno. A quel punto, è normale che la nostalgia subentri e ti dirò che a me capita spessissimo, così come succede a te, di avere nostalgia di un luogo mai visto o di persone non conosciute. Quindi, faccio come ti ho detto, me li vado a prendere. Ci sono così tanti modi di farli nostri. A volte, quando non mi va di leggere, mi piace calare il mio “omino” di google earth in qualche località del mondo che non ho visto e mi sembra di essere là! Sembra una follia, ma funziona! Infine, spezzo una piccola lancia a mio favore, neanche io ho visto questi anni ’70. Dai, diciamo che ci nascevo. Li trovo però incredibilmente affascinanti, come se il mondo abbia in quel momento subito una svolta. Se avrai tempo, vatti a leggere qualcosa sulle dittature latinoamericane di quell’epoca, non solo per il loro valore storico, ma anche per averci “regalato” esuli che hanno arricchito la nostra cultura europea. Ti stupirai, per esempio, di quante donne e uomini, poeti, giornalisti, scrittori, pittori, musicisti, abbiano bevuto un caffè a Roma, Firenze, Parigi (la lista si fa infinita) sognando il loro amato Paese. Scusami se ho scritto un poema nel poema, ma con me sfondi una porta aperta. Grazie come sempre e ti mando un abbraccio.

    1. I paragoni mi spaventano e mai vorrei essere messa a confronto con i “mostri”, proprio io che sono così egoista da scrivere quasi sempre per me. Però ti ringrazio, troppo buono direi! Il romanzo che hai citato è eccezionale: la storia che viaggia sulla fotografia di un’epoca, un momento storico fondamentale per l’Europa e il tema scottante della libertà di espressione e pensiero. Nulla di paragonabile al mio piccolo sogno dove ho semplicemente “realizzato” un desiderio e l’ho fatto infilandoci dentro un’ode a un luogo, oltre che all’Autore. Grazie Kenji!

  3. Un altro bel racconto di un bel sogno un po’ misterioso, con un tocco di romanticismo che fa bene al cuore e la leggiadria delle farfalle nello stile narrativo. Viaggiare aiuta a visualizzare e raccontare di luoghi belli e particolari. Volare con la mente non ha confini.

    1. Ci dobbiamo poi chiedere cosa significhi viaggiare. A volte è lo sbattimento della partenza che si sopporta in attesa di ciò che ci aspetta, a volte è il vetro di una finestra alla quale ci sediamo con le cuffiette nelle orecchie oppure con un libro fra le mani. Io sono onnivora, sia di luoghi che di letture che di musica, mi porti ovunque e mi fai leggere qualsiasi cosa, senza sforzo. Poi, tutto fa bagaglio. Bisogna spenderselo bene, al momento giusto, come una boccata d’aria. Grazie Maria Luisa che mi leggi sempre con pazienza e mi dai modo di riflettere sulle tue parole.

  4. Che il colore Amarillo sia simbolico è a dir poco evidente.

    Vada per questa prova di realismo magico, per niente facile. L’elemento onirico aiuta. Cimentarsi in questo non è facile e indica una coscienza delle proprie capacità ormai acquisita dall’autrice.

    Ho letto mille e mille volte mille l’incipit di Cent’anni. Confrontarsi con colossi di tale portata produce sempre un effetto multiplo: emulazione e sconforto. Non credo di dover spiegare nulla al riguardo.

    Cristiana sa scrivere e ha molto, molto da dare, per la mia modestissima opinione. La leggo sempre ma non sempre commento: questo mi fa riflettere e non poco.

    La sua scittura sa essere una farfalla. Non lo direi a tutti: ma anche le farfalle devono evitare di non finire nella rete.

    Mi spingo più in là, per parole che manifestano un grande apprezzamento, pronto a riconoscere il vero talento che ancora non è esploso ma c’è.

    Il mio consiglio a Cristiana è di volare da sola. Ha delle splendide ali. Non significa dimenticare ma salutare, con affetto, coloro che l’hanno aiutata a spiccare il volo.

    Gabriel compreso, e dico questo con il massimo rispetto per il grande maestro.

    1. Mi piace ricevere da te consigli che ritengo preziosi sempre e anche critiche che so essere volutamente costruttive. Dove non c’è interesse, non c’è nemmeno la critica. Tengo però a dire che, in merito a questo racconto, non c’è stata da parte mia la necessità di sperimentare un genere per vedere se ne sarei capace. Piuttosto posso dire che il senso di questo mio raccontino scritto ieri è stato quello di ricordare una data, così come lo faccio da anni. La differenza è che da qualche mese ho imparato a mettere le parole sulla carta, a volte bene, a volte meno e quindi ho voluto usare questa forma di espressione. Se ne fossi capace, avrei magari “festeggiato” dipingendo un quadro. Nulla di più. Non so effettivamente quale sia la mia strada e mi considero una sperimentatrice tardiva, così come so che ancora prevale in me lo scrivere per me stessa. Cercherò di imparare a spostare l’asse e il mio interesse verso il lettore, se ne sentirò il bisogno. Mi piace sempre molto quando, per citarti, “ti spingi più in là” e il tuo non è più un semplice commentare un testo, ma molto di più. Grazie veramente.

  5. Cara Cristiana, che meraviglia, mi hai lasciata con il fiato sospeso. Davvero bello questo racconto, dove sei riuscita in un’impresa per me molto difficile: ci hai messo dentro i colori pastello sfuocati del sogno, i colori taglienti di un marzo madrilegno ed i colori sanguigni del Caribe. Grazie per questo racconto !

    1. La vita forse è sporcarsi le mani di tanti colori. Non credo a chi dipinge la propria maschera di un’unica tonalità e ci si nasconde dietro. Credo piuttosto a chi sperimenta e si mette in gioco. C’è così tanto da vedere e assaggiare, là fuori. Che poi sia un fuori reale o un fuori “dentro”, ci si deve comunque tuffare. Le tue donne, per fare un esempio, sanno trovare il colore sia al buio di una stanza che nella monotonia del verde di un bosco. E significa tanto! Grazie per lo spunto di riflessione che tu hai dato a me.