Maledetti mercenari

Rideva, ridevano tutti.

«Guglielmo, porta qua i cani da battaglia».

Obbedì al suo comandante, il mercenario.

I cani da battaglia erano dei mastini con collari appuntiti. Sbavavano, raspavano il terreno, loro volevano azzannare fino alla morte.

Federigo era il comandante di quella banda di mercenari. Non si sentiva un mercenario, ma più una via di mezzo fra un brigante e un piantagrane. Federigo si mise a bere a garganella l’acquavite, poi dopo essersi dissetato diede un calcio al nobile.

Questi piangeva. Era legato come un salame e cercava di liberarsi, ma l’unico effetto era che rotolava via.

Gli uomini di Federigo lo bloccavano con le aste delle picche, ma poi ridevano, si sganasciavano.

Federigo guardò con occhi di tenebra il nobile. «Hai provato a fregarci. Ci hai detto di prendere quella roccaforte, ma poi ci hai mosso contro i tuoi militi. Ci hai sottovalutato, e questo è stato il tuo secondo errore».

«Non è vero. È che… non è colpa mia».

«Ci hai usati e credevi che saremmo finiti male sotto i colpi dei tuoi militi. Ma guardaci, siamo sopravvissuti, abbiamo vinto, e lo sai perché?».

«Non… non lo so».

«Perché noi siamo una banda di mercenari brutti, sporchi e cattivi e pensavi che ci saremmo arresi e tu ci avresti sterminato… che so, sbattendoci nelle segrete e facendoci morire di inedia, o facendoci impiccare… oppure… oppure… Ah, non ho molta fantasia. Ma su una cosa sì, posso averla. Vediamo se tu ce l’hai?».

«Cosa vuoi da me?». Piagnucolava.

«Vedi i cani da battaglia? Sono affamati. Li ho fatti girare per i resti dell’ultimo scontro con le museruole. Hanno odorato il sangue ma non hanno mangiato. Sono impazziti. E tu…». Si chinò in ginocchio e gli aprì una ferita sulla guancia.

«Mi vuoi sfregiare?».

Rise con tutti i suoi uomini. «Non credo che il tuo massimo problema sia l’estetica, belloccio». Schizzò il sangue sui cani da battaglia che si contorsero. «Quel che voglio è la tua…». Si interruppe apposta.

«Maledetti mercenari, no, no, no!».

«Liberateli».

I cani da battaglia si avventarono sul nobile e quella vocale diventò stentorea, una O che sfumò dalla paura al dolore fino alla morte, quel che Federigo aveva voluto.

Federigo orinò sopra i resti del belloccio.

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