MATHIAS 

Io danzo forte, batto i piedi e la terra si solleva. La sento nelle narici e sulla pelle. Terra di terra, è la mia, terra di polvere.

I miei occhi sono chiusi, la musica entra dentro di me. E allora aumento il ritmo, sento la gente che urla e mi incita.

Lei è lì davanti, ma io danzo solamente per me stesso. Poi, apro gli occhi e li alzo verso il mio cielo con le stelle grandi e la luna che sembra di poterla afferrare. Sono sul tetto del mondo e sono vivo. Batto e batto, salto e quasi prendo il volo. Il mio cuore va al ritmo della chacarera.

Io sono merce rara, i piedi seguono la cadenza che è nel mio sangue argentino. Mi chiamano “lo straniero” e solo per me i musicisti suonano il ritmo della mia terra.

Poi la musica si calma, ¡Adentro! Apriamo le braccia, come rami di alberi verso il cielo e allora la guardo e i nostri corpi si sfiorano. Lei mi sorride e lo faccio anch’io. Un’ora dopo già la riaccompagno a casa. Abbiamo fatto l’amore, ma non è stata una delle mie volte migliori. Ho avuto troppa fretta e lei non era granché.

***

Quel giorno Mathias si svegliò più tardi del solito quando la luce già calda, aveva pervaso la stanza. Fu disturbato dal suo odore e capì che era tempo di farsi una doccia. Ultimamente aveva perso le buone abitudini: trascorreva le notti nei patios, dove si era guadagnato fama come ballerino e amante, dormiva fino a tardi e il pomeriggio sonnecchiava, bevendo birra con gli amici.

Ogni tanto gli capitava qualcosa da fare, ma il lavoro faticoso non gli piaceva. Preferiva piuttosto rimanere in casa e dare un aiuto.

La vita a San Juan non era affatto facile. Terra di guano e di salnitro, di gente povera che generava altra gente povera. Una prigione senza scampo per Mathias che aveva deciso di partire per rifarsi una vita in un posto qualunque purché lontano da casa. Ma le cose erano andate diversamente e lo zaino già pronto era rimasto, inutile, ai piedi del letto. All’alba avevano trovato il corpo di suo padre ai bordi della strada, poco distante da dove l’uomo aveva consumato litri di alcol.

L’ufficiale disse che lo avevano investito, probabilmente una motocicletta. Il corpo era in cattive condizioni e fu il figlio a doverlo riconoscere. La sera stessa, Mathias disfece lo zaino e consegnò alla madre i risparmi, quelli che gli sarebbero serviti per ricominciare da qualche altra parte. Aveva solo diciassette anni.

Quel giorno, dicevo, Mathias si era svegliato particolarmente tardi. Ad attenderlo in cucina c’erano la madre e il tavolo apparecchiato per la colazione. Dopo aver scambiato due parole, si era messo a ciondolare come al solito. In paese non c’era molto da fare. Un autobus passava verso le cinque e per pochi centavos ti portava a Calama. Mathias decise di prenderlo.

Il freddo era pungente e il vento sferzava i volti. Era autunno inoltrato e sull’Altipiano faceva buio presto. L’autobus correva forte. La luce intensa della luna proiettava lunghe ombre sulle rocce e Mathias credette di riconoscervi gli apus delle montagne.

Gli tornarono alla mente antiche leggende e un brivido di freddo e paura lo percorse. Si strinse inutilmente nella giacca. Una donna grassa con un volto bellissimo gli sedeva accanto e lui cominciò a fantasticare sul suo seno. Il contatto con lei lo eccitava. La musica di cumbia usciva da un mangiacassette e gli ricordò una ragazza conosciuta una sera. Sorrise a quel ricordo, chiuse gli occhi e si assopì. Li aprì un istante quando l’autobus fece rifornimento presso una stazione sperduta nel nulla e si accorse che la donna non sedeva più accanto a lui.

Si svegliò definitivamente all’arrivo in stazione ricordando di non essersi fatto la doccia. L’odore pungente della baldoria della sera prima arrivava ancora al suo naso. Vide un vecchio che spingeva a mano la bicicletta accompagnato dal cane e vide un gruppo di turisti occidentali spaesati, in attesa della propria guida.

Il vento si era fatto più forte. Mathias pensò a sua madre e, come in uno strano presagio, fu percorso ancora da un brivido. Era solo e desiderava tornare a casa.

Tuttavia, le luci dei salones lo attirarono, così affrettò il passo e decise di proseguire. All’interno di un locale, due ragazze se le davano di santa ragione fra l’eccitazione dei presenti. Spintonò guadagnandosi un posto privilegiato e da lì vide, per un momento, le cosce di quella che era finita a gambe all’aria. Lo spettacolo terminò tra i fischi del pubblico contrariato, quando un uomo entrò come una furia e si portò via una delle due. Infine gli animi si calmarono, la musica riprese e le ragazze si alzarono per ballare, circondate dagli uomini.

La solitudine si fece sentire ancora più forte e Mathias cominciò a bere, di nuovo.

Quello che successe poi non fu mai veramente svelato. La polizia disse che Mathias fu visto lasciare il locale da solo, appoggiandosi ai muri per restare in piedi.

***

Nei giorni in cui i vulcani parlavano, ballavano e combattevano, il Licancabur, signore invincibile che regnava sul deserto di Atacama dall’alto dei suoi 6.000 metri, si invaghì di Quimal, la montagna che si ergeva accanto a lui, e decise di farla sua. Jurique, un altro vulcano che la amava a sua volta, cercò di rapirla, ma il Licancabur non la prese affatto bene e gli mozzò la testa. Quimal, spaventata da tanta violenza, fuggì e attraversò l’intero deserto di sale per sottrarsi alle grinfie del suo feroce corteggiatore (…)

Oggi il Licancabur, protettore del deserto e di San Pedro de Atacama, regna ancora sui suoi domini con il suo profilo perfetto (…). Quimal, la sua amata, lo osserva con disgusto dall’altra parte del deserto (…), mentre la vetta mozzata del Jurique testimonia in eterno la sua crudeltà.

Traduzione dell’autrice (Clarín.com Suplementos Viajes Actualizado 08/12/2016)


***


Il troppo alcol mi causa piacere e nausea. Stordito, mi avvicino a una ragazza per invitarla a ballare, ma lei urla che sono ubriaco e puzzo. Mi spinge; mi rimetto a sedere e appoggio la testa sul tavolo. Vorrei tanto tornare a casa, ma ho bisogno di vomitare.

Lo faccio: sul pavimento e sulle mie scarpe. Mi buttano fuori a calci, campesino de mierda.

Sono solo, la faccia a terra. Il freddo mi penetra nelle ossa. Rannicchiato, penso ancora a mia madre. Finalmente qualcuno posa una coperta su di me e odo parole gentili in una lingua che non conosco. Mi aiutano ad alzarmi e mi spingono in macchina. Io li lascio fare. Poi una mano mi stringe la faccia con qualcosa di morbido. Allora finalmente mi addormento.

***

Mathias giace su una portantina, molte persone si accalcano intorno eccitate. Lui vorrebbe gridare, ma i suoni che escono a malapena dalla sua bocca non sono articolati. Gli hanno tagliato la lingua e il sapore del sangue lo fa vomitare tante e tante volte, fino a quando nel suo stomaco non resta nulla, tranne i succhi che salgono nella gola con strappi forti e ridiscendono nuovamente quando lui non riesce a piegare la testa a lato.

Gli hanno legato mani e piedi ai quattro angoli della portantina. Il suo corpo è nudo e il freddo che prova è intenso. Non può smettere di tremare. L’aria rarefatta tipica delle altitudini andine gli impedisce un respiro regolare.

Riesce a fatica a sollevare la testa e scopre che lo hanno dipinto di colori vivaci: arancio come la terra, il giallo del sole, il blu della laguna, e un marrone così simile al vulcano che si erge maestoso, illuminato dai primi raggi del sole che sorge. Un’opera d’arte.

Lo obbligano a ingerire una poltiglia amara e finalmente si calma abbandonandosi al dondolio della portantina. Le prime luci dell’alba non sono ancora sufficienti guardarsi attorno. Intravede strani copricapi che oscurano quasi totalmente i volti. Improvvisamente si alza un canto femminile e le litanie e i balli si susseguono per un tempo che Mathias non riesce a calcolare.

Lo posano su una specie di piattaforma, a circa un metro dal terreno. Un uomo gli si avvicina a un orecchio e gli sussurra “estas en la cumbre del mundo, eres un elegido”. Mathias gli sorride con gratitudine per essersi rivolto a lui nella sua lingua. L’uomo poi lo accarezza e con delicatezza scava con le dita e gli toglie gli occhi. L’ultima cosa che Mathias vede è il sole che sorge, poi più nulla “Ahora mira con los ojos del corazón y habla con la lengua de los apus”.

Con un taglio netto gli apre la pancia e dentro ci mette la lingua e gli occhi. Mathias non sente più dolore e prova gratitudine quando qualcuno lo colpisce forte alla testa, è lui il prescelto.

Le preghiere e i canti si rafforzano. Il Licancabur è grato al suo popolo e rivolge uno sguardo fiero e superiore al suo rivale di sempre, Jurique dalla testa mozzata.

Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

    1. Ciao Roberto, non hai idea di quanto mi faccia piacere che tu abbia letto questo mio racconto che è uno di quelli cui tengo maggiormente anche se forse è stato il primo. In realtà, questa è la versione editata per essere pubblicata su Librick. Se tu volessi farmi un grande regalo, qui su Open c’è il racconto completo in tre episodi che io amo tantissimo e mi piacerebbe sapere da te cosa ne pensi. Scusami questo mio entusiasmo, ma è un po’ come si fa con i nostri figli 🙂
      Grazie e un abbraccio

  1. Una bella storia che non avevo mai sentito e che rileggerei altre cento volte. Raccontata in modo molto coinvolgente, semplice e ho visto tra le righe la passione che ci hai messo. Complimenti

  2. Meraviglioso anche questo riassunto. Sinceramente non ne ho capito il motivo; l’originale aveva un ritmo lento che accentuata la malinconia di quei posti ai margini del mondo ma senza mai annoiare. Per come è stato strutturato questo racconto io non lo definirei horror solo per il finale inaspettato. Complimenti per l’esecuzione: venti dita all’unisono.

    1. Grazie Fabius, veramente! Diciamo che si tratta di un esperimento. La versione lunga rispecchia le mie emozioni, avevo però avuto l’impressione che dividendo il racconto in tre parti, questo avesse perso interesse. Così provo a pubblicarlo in un unico capitolo con un aiuto revisore d’eccezione. Spero piacciano entrambe le versioni.