
Mère
Serie: Il dipinto sul muro
- Episodio 1: Il Castello V.
- Episodio 2: Cantine o sotterranei di ieri
- Episodio 3: Primo incontro e risalita
- Episodio 4: Leland
- Episodio 5: Mère
STAGIONE 1
Una delle emozioni più intense la provavo mentre guardavo mia madre che si muoveva spensierata nel giardino. Era il suo ambiente e, insieme a Sofia, lo stava trasformando con vasi di fiori, per poter godere da subito dei colori della natura nell’attesa che le piante più grandi iniziassero a prendere forma.
«Il prossimo anno sarà pieno di fiori gialli, arancioni e rossi» la sentii più volte raccontare a Sofia. «Vedrai come questo posto diventerà allegro e colorato.» Erano solite passeggiare lungo i vialetti di ghiaia. Sofia, tra mille domande, non voleva deludere la nonna e metteva tutto il suo impegno per aiutarla. La sera, la bambina ci sommergeva con i suoi racconti. Due minuti per quello che era successo al mattino a scuola, frequentava la prima elementare, poi una lunga lezione su fiori, piante, insetti, lucertole e su tutto ciò che aveva visto, fatto e imparato nel pomeriggio in giardino con mia madre.
«La nonna dice che la prossima primavera, quando io sarò in seconda, nel giardino vedremo un arcobaleno di fiori di tutti i colori!»
Aveva ragione. Tutti noi vedemmo l’arcobaleno.
«Anche la nonna lo vede» mi ricordo di averle detto tante volte per lenire un po’ il suo dolore. «Da lassù vede tutti noi e tutti i fiori che avete piantato insieme.»
Mére se ne andò senza far rumore. Una mattina come tante, non più fredda né più luminosa delle altre. All’ora della colazione non ci aveva ancora raggiunti. Avrà voglia di riposare ancora un po’, pensai. Quante volte cerchiamo di nascondere un fatto con pensieri rassicuranti. Per limitare la nostra angoscia, perché in fondo abbiamo tutti paura dell’ignoto, di ciò che non possiamo controllare. Poi, il più delle volte, pensiamo che siamo stati stupidi a farci sorprendere da pensieri così pessimisti.
Quasi sempre, per fortuna. Ma non sempre, purtroppo.
Lasciò un vuoto che non ci aspettavamo tanto profondo. Provammo a raccontarci che si trattava del normale ciclo della vita. Soprattutto tentammo di non far pesare la nostra angoscia su Sofia. Ma penso che non abbiate bisogno delle mie parole per riportare alla mente una sensazione che molti di voi hanno provato. È tutto inutile. Serve solo il tempo.
Fu un nuovo inizio. Rientrammo poco a poco a una parvenza di normalità. Assumemmo una baby-sitter per i pomeriggi della settimana, dopo la scuola. Il sabato e soprattutto la domenica facevamo il possibile per evitare impegni che ci allontanassero da Sofia e da noi stessi.
Anche se nel buio del nostro cuore eravamo convinti che quell’anno l’inverno avrebbe potuto non finire mai, la primavera entrò in scena sicura e spavalda, e il giardino fu davvero un’esplosione di colori. Il tepore delle giornate che si allungavano riuscì in un modo o nell’altro ridarci la voglia di vivere la nostra famiglia, i nostri spazi, la nostra quotidianità, talvolta con qualche lacrima e un groppo in gola da mandare giù, ma sempre più spesso con ricordi che riuscivano a strapparci qualche risata.
«Cosa ne pensi se proponessimo a Sofia l’idea di adottare un cane?» mi chiese Eleonora una sera mentre stavamo sorseggiando un Cognac. «Penso sia il momento di far ripartire la nostra vita, la sua vita, da dove l’avevamo interrotta.»
«Lo penso anche io, Ele» risposi senza indugio. «Gliene parleremo domani… Magari due cucciolotti, la manderanno in estasi.»
«Sì, la riempiranno di gioia! Penso che ne abbia bisogno, anche se è passato un po’ di tempo da—»
Le appoggiai un dito sulle labbra per evitare che la malinconia gettasse la sua ombra sulla nostra piacevole serata. La abbracciai e la tenni stretta per un tempo che avrei voluto non finisse mai. La sentii rabbrividire. Il fresco di questa serata, pensai.
Rimanemmo ancora con in nostri bicchieri in mano, centellinando il liquido ambrato che infondeva un senso di calore e intimità. Poi anche quella parentesi si chiuse per riportarci al reale. Rientrammo in casa e, come spesso accadeva, io mi fermai nella grande sala mentre lei si preparava per andare a letto. Udii i soliti rumori dal piano di sopra, ma questi si trasformarono presto in una cacofonia di porte che si aprivano e si chiudevano veloci, insieme alla voce di mia moglie che chiamava con angoscia il nome di nostra figlia.
«Non c’è! Sofia non c’è… non riesco a trovarla!»
Il respiro mi morì in gola. Mi alzai di scatto per correre verso di lei, ma mi fermai dopo pochi passi. Eleonora l’aveva cercata dappertutto, ne ero certo. Ma forse c’era un posto dove non aveva guardato. Tornai sui miei passi e aprii la porta che conduceva all’atrio.
Sofia era in piedi, davanti al dipinto del cane, Leland, come adesso lo chiamavamo tutti. Nel suo pigiama leggero, le braccia lungo i fianchi, le gambe unite, fissava il muso del cane e mormorava il suo nome.
«Leland… Leland… Leland…»
La raggiunsi e mi accovacciai accanto a lei. Udii il rumore dei passi di mia moglie e prima che potesse dire qualsiasi cosa le feci cenno di restare in silenzio. Sofia si voltò verso di noi.
«Leland ha detto che non potrò più vederlo per tanto tempo.»
«Perché, Sofia? Leland è qui, è felice di restare con te.»
«Dice che non potrà più stare con me, perché dobbiamo andare via.»
La abbracciai. Lei appoggiò il viso sulla mia spalla. «Io non voglio andare via!» I singhiozzi quasi le impedivano di parlare.
Eleonora si avvicinò e insieme provammo a entrare nel suo mondo.
«Non andremo via, te lo promettiamo.»
«Ma la nonna è andata via!»
Il mio cuore saltò un battito. Penso che fu lo stesso anche per Eleonora dall’espressione che vidi sul suo viso.
Presi in braccio la bambina allontanandola dal dipinto.
«Poi torno, Leland!» si rivolse al cane ancora tra i singhiozzi.
Mi moglie ed io ci guardammo. Nei nostri visi leggemmo incredulità, angoscia, paura. Probabilmente Sofia non si era ancora ripresa dalla morte della nonna. Ma a un livello più profondo, nascosto negli abissi al di sotto del pensiero razionale, si annidava una paura che non poteva essere compresa.
Non ancora.
Serie: Il dipinto sul muro
- Episodio 1: Il Castello V.
- Episodio 2: Cantine o sotterranei di ieri
- Episodio 3: Primo incontro e risalita
- Episodio 4: Leland
- Episodio 5: Mère
Antonio, davvero complimenti. La storia procede benissimo e la stai gestendo in maniera perfetta, mescolando tensione e introspezione. sembra una serie tv. Concedimi un desiderio: pubblica in fretta il prossimo episodio. Bravissimo
Credo che Sofia interpreti la morte nel suo senso più pieno e scorga in essa quel nocciolo duro di inconsolabilità che vi è connessa. Ma è il testo stesso a suggerirmelo con quel “Mère”, pronunciato in una lingua straniera, quasi ad attenuare il dolore per una perdita che sarebbe forse ancora più straziante se nominata nella lingua che, appunto, chiamiamo materna.
L’immagine del cane fa da doppio ai sentimenti della piccola, glieli suggerisce una seconda volta: e apre una porta, o una botola, su qualcosa che ancora ignoriamo.
Ciao Antonio, ho recuperato un poco con la lettura, e devo dire che mi è piaciuta l’idea come l’hai impostata. Stai conducendo una narrazione pacata che offre una curiosa rappresentazione degli eventi. Sto cercando di mettere a fuoco il o la protagonista, in questo momento propendo per Sofia. Grazie per la lettura, a presto
Non voglio commentare troppo perché sono il primo e finisce in home page, col rischio di anticipare. Ma la parte sulla perdita è commovente, e il finale intrigante.