
Mi ca pi sci
Gli scorci di mare in lontananza erano una tavola blu. Lingue di terra e rocce, ricoperte di macchia mediterranea – in parte folta, in parte più rada – rendevano il paesaggio intorno pittoresco e variopinto, con mille sfumature di verde, degli olivastri, dei lecci, dei carrubi, dei gelsi, degli arbusti, delle felci, delle erbe e dei muschi sulle rocce.
Giglio e Pancrazio, sul vecchio Fiorino sgangherato, preso in prestito dalla ditta, percorrevano la SS 125 per Olbia, con destinazione Porto Rotondo, per assistere allo spettacolo del loro artista preferito.
Pancrazio guidava e annusava l’aria, sporgendosi, di tanto in tanto, fuori dal finestrino. Il suo sguardo appariva stupito, come quello di un turista appena sbarcato sull’isola in una splendida giornata di sole. Le diverse tonalità dei colori, sotto quella luce estiva, assumevano una brillantezza più intensa.
Ad ogni tratto di strada avrebbe voluto fare una sosta, soffermarsi ad ammirare quegli sfondi e fare qualche foto da condividere con lo smartphone ancora da pagare, in trentasei comode rate. Un’offerta che, in un primo momento, gli era sembrata molto conveniente. A conti fatti, considerando il costo dei bollettini, dello spinotto e della cover, più la SIM, l’ “affare” gli era costato quasi il doppio. Quelli della Vaffon l’avevano abbindolato un’altra volta; però in quel momento, Pancrazio non si lamentava di nulla. Si sentiva fortunato per l’invito del suo amico Giglio di partire insieme, fino ad arrivare al famoso paradiso. Un posto tanto rinomato; per lui ancora completamente sconosciuto. Il paradiso dei ricchi: la Costa Smeralda.
Se insieme a loro ci fosse stato Fiorenzo, disegnatore nato, gli avrebbe chiesto di fermarsi a disegnare una bella cartolina vintage, come si usava una volta, da spedire a Margherita, la sua compagna di classe preferita che, timidamente, tentava di conquistare dal primo giorno di scuola, del primo anno di liceo.
Si era quasi commosso, Pancrazio, ammirando i cespugli di biancospino, di mirto e di ginestra. L’amato fiore del deserto tanto caro al Leopardi. Anche Pancrazio, come Giacomo, aveva un animo sensibile e poetico.
Poi Giglio gli aveva chiesto di fermarsi.
«Vuoi fare un selfie?» gli aveva chiesto, tutto raggiante.
Giglio aveva scosso la testa, poi era sceso dalla macchina, aveva lasciato la strada alle sue spalle e dopo qualche passo aveva aperto la zip dei pantaloni e irrorato il bel cespuglio di mirto ricoperto di fiori bianchi. Lui del mirto preferiva le bacche, messe a macerare nell’alcool per farne un liquore aromatico, denso e digestivo. Le poesie non erano state mai la sua passione. Gli piacevano le barzellette, dette a voce da chi sapeva raccontarle. Le sue uniche letture erano quelle dei pochi messaggi whatsApp, non vocali.
Quando avevano ripreso il viaggio si erano dati il cambio alla guida. Pancrazio – come diceva sua nonna – era prexau cumenti a una Pasca (felice come una Pasqua); finalmente poteva godersi ogni tratto di quella splendida cornice naturale, ancora salva dalle lingue di fuoco dei soliti incendi estivi. Con o senza vento, ma soprattutto quando batteva più forte il maestrale, i roghi, in poco tempo, devastavano centinaia di ettari di bosco, senza risparmiare case, baracche e bestiame che si trovavano nel mezzo: pecore, capre, asini, mucche, cavalli, maiali e cani. E tutta la fauna selvatica.
Ogni volta che Pancrazio osservava in TV quello scenario spettrale: le carcasse carbonizzate degli animali e gli scheletri anneriti degli alberi – considerando l’origine dolosa di tutto di quel disastro – pensava che fosse quello il loro inferno, con tutti i diavoli malefici che ogni estate, puntualmente, lo riaccendevano.
Il bello di quel viaggio con Giglio sull’Orientale Sarda, era l’opposto: la freschezza del verde, rigoglioso, ancora intatto, che stemperava la calura estiva, dava ristoro e leggerezza al respiro.
Solo l’ultimo tratto di strada per Arzachena era sembrato interminabile ad entrambi. Lo stomaco reclamava cibo e prima uno, poi l’altro, aveva iniziato a brontolare. Cominciava uno e rispondeva l’altro, a ripetizione. E non c’erano fiori o piante o scorci di mare che riuscissero a incantare e a far tacere le loro pance vuote.
Si erano fermati a mangiare a La Rosa Dei Venti: culurgiones con carciofi e bottarga; grigliata mista di pesce; seadas con il miele; liquore di mirto e caffè.
«Ci faranno pagare due occhi: uno per ciascuno» aveva detto Pancrazio, preoccupato per il conto di quel menù abbondante e sfizioso.
«Non ti preoccupare» l’aveva rassicurato Giglio. «Pago io.» E mentre parlava aveva aperto il portafoglio gonfio di soldi per esibire il suo malloppo.
«Hai fatto bingo?»
«Né bingo, né bongo: un lavoretto extra.»
* * *
Lo spettacolo all’anfiteatro Ceroli di Porto Rotondo, in via Porto Rotondo 39, vicino al porto di Porto Rotondo, era iniziato alle 21.
Jacopo Cullin, affiancato dall’attore Gabriele Cossu, (Carlofortino sulla scena di Videolina), che gli faceva da spalla, aveva interpretato i personaggi più noti del suo repertorio (signor Tonino, Angioletto Biddi’e Procu, Salvatore Pilloni), ed era stato esilarante.
I settecento posti delle gradinate erano tutti occupati. Gli spettatori ridevano e applaudivano in continuazione. Anche gli stranieri, o quelli che conoscevano solo il logudorese, riuscivano a cogliere il senso delle battute. La mimica facciale, la gestualità, le lunghe pause espressive, il linguaggio minimalista, la ripetizione delle battute in sardo campidanese, alternate con le parole in italiano, rendevano quell’idioma semplice e chiaro come un linguaggio universale.
O come diceva la stessa coppia di comici in una vecchia gag «Mi capisci quando parlo?»
«E certo. Mica piscio quando parlo.»
Anche se… Giglio, col suo amico Pancrazio, seduti in seconda fila, piegati in due dalle risate, riuscivano a stento a trattenere la minzione. Entrambi stavano vivendo un momento magico di spensieratezza, che per Giglio era soprattutto beata incoscienza.
La scuola per Pancrazio e il lavoro per Giglio (tra le alte montagne del ferrovecchio), erano lontani anni luce dai loro soliti pensieri, come gli astri che brillavano, in quella notte stellata, sopra l’anfiteatro Ceroli di Portu Tundu.
Durante quella serata, leggera e frizzante, era come se tutto il pubblico pagante avesse accantonato i suoi guai, i problemi personali, famigliari, sociali e planetari. Sembrava che tutte quelle anime – spesso in pena per gli errori commessi, per i sensi di colpa, per le ingiustizie subite, per le sconfitte, i sacrifici e i fallimenti, avessero premuto il tasto stand by di tutti i loro problemi, ritrovando di colpo un entusiasmo senza freni. Pancrazio era ancora molto giovane, ma cominciava a capire tante cose. In un mondo così pervaso dalla rabbia e dalla tristezza, affollato di peccatori afflitti, di poveri diavoli e derelitti, per fortuna c’erano anche loro, quelli come Jacopo, a portare sollievo, con le loro compresse di riso, effervescenti e senza effetti collaterali. E come ripeteva spesso Angioletto Biddi’e Procu: «Chi è senza peccato squagli la prima pietra».
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“e dopo qualche passo aveva aperto la zip dei pantaloni e irrorato il bel cespuglio di mirto ricoperto di fiori bianchi”
Perfetto il cambio di registro, ma avrei preferito un “accostarsi al cespuglio” invece di scendere nel dettaglio “aperto la zip dei pantaloni” mi è arrivata troppo l’immagine :”’D
E` vero Maria Anna, ho la tendenza a descrivere le situazioni scendendo troppo spesso nei particolari che il lettore potrebbe capire anche senza certi dettagli.
Questo racconto sa di estate, dai profumi e i paesaggi alle risate e i problemi messi in pausa. Brava!
Ciao Maria Anna, grazie. Che piacere rileggerti. Nella finzione della narrazione, mettere in pausa i problemi e` piu` facile; pero` – volendo – teatro, cinema e persino qualche spettacolo divertente in tv, possono essere un buon rimedio. A presto… con un tuo testo.
Mi sono sbagliato anch’io con Jacopo Cullin. Ho visto che il cognome è di origine trevigiana ma su Wikipedia è scritto che l’attore è nato a Cagliari nel 1982. Vabbè, scusa.
Per la precisione – doverosa – Gabriele Cossu (non Collu), nato a Sant’ Antioco, ha interpretato spesso, in teatro e in tv, con Francesca Zara, la coppia carlofortina nota come Cossu e Zara, accentuandone in modo efficace gli aspetti caratteriali tipici che apparivano piu`comici.
M. Luisa, l’attore Gabriele Collu è nativo di Sant’Antioco, mentre Jacopo Cullin è nativo di Treviso. Però fanno ridere in sardo, e sono anche molto bravi. Come te del resto.
Ciao Sinapsi, grazie. Sei ben informato. Non sapevo che Jacopo Cullin fosse nato a Treviso. E sono contenta che piaccia anche ai “continentali”.
Buona giornata.
In questo periodo viaggio parecchio e passo qui raramente, ma appena riconosciuta la sagoma amata e famigliare del Pan di Zucchero fotografata dal sentiero che porta a Masua (sbaglio?) non potevo che fiondarmi a leggere questo bel racconto leggero e arioso, profumato di mirto e altri cespugli. E…ho adorato l’ambientazione sull’Orientale Sarda, mentre la foto è presa sulla costa di Nebida. Era una sfida per gli amanti della tua splendida isola? Un caro saluto.
Brava Nyam, se volevi sorprendermi ci sei riuscita in pieno. Tutto giusto: hai identificato il punto esatto e persino la strada che non avevo menzionato. La foto non l’ ho fatta io: e` uno scatto di una mia carissima amica durante un tour nel sito minerario ormai dismesso. Mi sembrava adatta al racconto. Le ho chiesto se potevo usarla e lei non ha avuto niente in contrario, ma non avrei mai pensato che qualcuno avrebbe riconosciuto quello scorcio di mare.
Ti ringrazio.
Leggendo riuscivo a sentire l’odore resinoso del mirto in estate ! Grazie per questo scorcio di casa. Prexiada che puxi 🙂
Lillu ‘ e mari (Pancrazio) prexau che Pasca, Eleonora prexada che puxi, deu prexada meda: andaus totus a “Domu Prexada” (a Maracalagonis), in cambarada.
Ciao Eleonora, Grazie.
Ciao Maria Luisa! Che spettacolo di racconto. Descrizioni da sogno con qua e là, ahimè, il solito problema dei roghi che si ripete ogni estate. L’area sognante l’hai poi trasmesso durante lo spettacolo. Un attimo di stand by per tutti i tuoi lettori!
Alla prossima!
Ciao Carlo, grazie. Hai ragione la nostra isola e` spettacolare e non solo per il mare, se la si guarda con occhi benevoli, senza soffermarci ad osservare gli aspetti poco incantevoli, sui quali e` meglio sorvolare. Meglio riderci sopra, almeno qualche volta, con chi ci aiuta a distrarci dai soliti problemi quotidiani.
“Giglio aveva scosso la testa, poi era sceso dalla macchina, aveva lasciato la strada alle sue spalle e dopo qualche passo aveva aperto la zip dei pantaloni e irrorato il bel cespuglio di mirto ricoperto di fiori bianchi.”
Chapeau😃
Il romanticismo poetico di Pancrazio (nome del giglio bianco marino), contrapposto all’ atteggiamento prosaico dell’ altro Giglio un po’ “selvatico”, perche` il mondo e` vario, ma soprattutto per non rischiare di cadere nel melenso.
Cara Maria Luisa, confesso che questo è uno dei tuoi racconti che ho preferito. La scrittura fila liscia come il tuo stupendo mare e l’incipit, in particolare, mi trasmette pace e serenità nelle sue splendide note di verde e blu. Ammetto da lettrice di amare particolarmente le parti descrittive nelle quali mi piace abbandonarmi e immergermi. Qui me ne hai regalate in abbondanza. Certamente, non manco di apprezzare anche la tua ironia sempre molto intelligente che caratterizza i tuoi personaggi. Bellissimo il finale dove tutti i cattivi pensieri sono spazzati via. Bravissima.
Ciao Cristiana, grazie di cuore. Il mio intento era esattamente quello che tu hai colto. Qualche breve descrizione, in poche righe, che valorizzasse alcuni aspetti positivi della nostra terra martoriata dagli incendi, ma anche da molti altri flagelli. Mi conforta sapere che queste descrizioni possono dare un’ immagine piacevole della nostra terra, dove il bello esiste ma si alterna, purtroppo, con i tanti mali che affliggono gran parte del nostro amato Paese. Dagli atti vandalici agli abusi edilizi, fino allo spargimento della plastica e della spazzatura ovunque,
(in mare e in terra), l’ elenco sarebbe molto lungo. La barbarie umana si estinguera`, prima o poi, che dici? O si estinguera` prima l’ intera specie umana?
“da spedire a Margherita, la sua compagna di classe preferita che, timidamente, tentava di conquistare dal primo giorno di scuola, del primo anno di liceo.”
Come lo capisco
Si potrebbe usare la tecnica di Riccardo Cocciante per Margherita.
[…] Coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri/case vicoli e palazzi/perche` lei ama i colori/Raccogliamo tutti i fiori che puo` darci primavera/Costruiamole una culla per amarci quando e` sera,/poi saliamo su nel cielo e prendiamole una stella,/perche` Margherita e` buona, perche` Margherita e` bella. […]
Ciao Kenji, scherzavo naturalmente. Grazie, buona serata.