Mia sorella Marta e profumo di nardo

Serie: Parole di Dio, voci di uomini


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ogni episodio di questa serie è un tassello di un mosaico di volti che emerge dalle pagine bibliche. Storie di donne e uomini di tempi remoti, le cui voci potrebbero essere le nostre.

Quando entrai nella stanza Marta si voltò posando lo sguardo sui miei capelli unti e sconvolti, e poi sul mio viso ancora rigato di lacrime. L’odore di nardo era molto forte, ma lei non fece nessuna smorfia di fastidio o disprezzo. Camminò solo verso la finestra e spalancò le tende.

«Hai bisogno di una sistemata» mi disse poi con gentilezza, mentre con una mano afferrava una bacinella e con l’altra mi invitava a sedermi sulla panca in mezzo alla stanza.

Io e lei siamo sempre state di poche parole. Il silenzio è forse l’unica caratteristica che ci accomuna veramente. Nostro fratello Lazzaro è muto dalla nascita e questo credo abbia abituato entrambe ad usare le mani piuttosto che la voce. Marta le ha usate tutta la vita per lavorare, aggiustare, tenere. Io per sentire e – ho sempre tentato – per amare.

Per me amare è toccare.

Non ho mai capito come si possa dire l’amore a qualcuno soltanto con le parole. Le parole non mi hanno mai dato pace quanto il tocco gentile di una mano cordiale e innamorata. Quando nella vita qualcuno mi ha detto che mi voleva bene, io non gli ho creduto finché non ne ho avvertito il tocco, cartina tornasole dell’intenzione del cuore.

Penso sia per questo che mi sono sempre sentita un’estranea con la mia gente, con questo popolo sul quale regna la legge e le parole scritte, proclamate e cantate. Io ho sempre voluto sentire, odorare, baciare, toccare. La mia gente invece teme il tocco, porta insidiosa per ogni male. Le nostre leggi vigilano sulle nostre mani e sulla nostra pelle, perché non si incontrino con nulla, nel costante timore che qualcosa ci renda impuri.

Non tocchiamo uno straniero di sabato perché rende impuri. Non tocchiamo il malato perché rende impuri. Non tocchiamo una donna quando perde sangue perché rende impuri.

E io lo straniero lo volevo abbracciare, il malato lo volevo ungere, e quando perdevo sangue e arrivava il dolore volevo solo una carezza gentile.

Facevo fatica a credere al Dio di cui i rabbini ci raccontavano. Dicevano che ha creato ogni cosa parlando, che ha ascoltato la voce disperata del popolo schiavo in Egitto, che ha sussurrato parole di speranza ai profeti nel vento. Io ribattevo che ha anche plasmato l’uomo con le mani dal fango e formato la donna con il tocco da un costato. Dicevo che Dio ha parlato al creato, ma ha toccato l’uomo. La prima cosa che l’umanità ha conosciuto di Dio è il tocco, non la voce.

Pensavano fossi pazza, o peggio, pagana.

«Ho causato un bel trambusto, vero?» chiesi a Marta mentre mi lavava i capelli con delicatezza. Le sue mani erano grandi e forti, ma non ricordo mai un tocco da parte sua che non fosse gentile, perfino quando sapevo che nel cuore aveva qualcosa da rimproverarmi.

«Non ti preoccupare» mi disse. «Ne parleranno per un po’ e poi si calmeranno. C’è già abbastanza confusione in questi giorni. Troveranno presto altro di cui parlare.»

Marta cerca sempre di mettere in ordine le cose, ma le viene meglio con le mani che con le parole. Il nostro popolo non dimentica un gesto come quello che ho appena fatto. A Betania ne parleranno scandalizzati per tutta la nostra vita. Lei lo sa meglio di me, perché conosce bene come pensa la nostra gente, ed è sempre attenta alla loro opinione.

Tempo fa credevo le importasse perché voleva farsi accettare a tutti costi. Pensavo si vergognasse di Lazzaro e di me. Solo dopo la morte dei nostri genitori, quando rifiutò il matrimonio con Toviyah per restare con noi, capii che la considerazione degli altri non era qualcosa che voleva lusingare, ma la spada da cui ci voleva difendere e la famiglia in cui desiderava fossimo accolti anche noi.

Questa è la parte migliore di mia sorella: gli altri sempre prima.

Lei si è presa cura di me, ma non è mai riuscita a capirmi veramente. Le sono sempre sembrata impulsiva e ingenua. Nonostante questo, nel tempo, mi ha giudicata e criticata sempre meno.

Solo Jeshua. Lui è l’unico. Il solo uomo sotto il cui sguardo mi sono sentita finalmente vista, apprezzata, quasi scoperta con tenera meraviglia. Le sue parole sono le uniche che io abbia mai veramente ascoltato. Ungerlo con tutto quell’olio di nardo e asciugargli i piedi con i miei capelli è stato un gesto naturale. l’unica cosa che nel cuore sapevo essere giusto fare. Poco importava se dovevo farlo davanti a tutti.

«Non credo abbiano capito perché l’ho fatto» dissi a Marta ripensando a quanto era appena accaduto nell’altra stanza.

«Non ti domandare cosa hanno capito e non badare alla loro reazione. Penso sia comprensibile un po’ di stupore. Non sono abituati a vedere una donna che fa un gesto così davanti a tutti. Ma non è importante cosa pensano».

Queste sue parole mi sorpresero e non ero del tutto certa le pensasse veramente. «Da quando non sei interessata all’opinione degli altri?» dissi, senza riuscire a nascondere il tono provocatorio.

Lei però non raccolse la provocazione, ma sorrise. «E tu da quando lo sei?» disse. E nella sua voce udii ammirazione per quella libertà dalle aspettative e dal giudizio altrui che dolorosamente avevo cercato di avere sempre.

«Volevo fare qualcosa. Sempre più persone lo criticano, lo aggrediscono. Dicono cose orribili. Non lo capiscono. Volevo sapesse che qualcuno capisce.»

«Credo che Jeshua abbia capito» disse Marta.

Non resistetti e glielo chiesi. «E Tu, Marta? Hai capito perché dovevo farlo?»

Lei si fermò. Sapevo che la risposta era no. Un no senza giudizio, senza rimprovero, senza distacco. Un no umile e affettuoso.

Marta prese fiato e sorrise: «Ti ricordi cosa ci diceva sempre mamma? Dio solamente conosce la parte migliore di noi. E lui basta.»

Piangeva.

Io sorrisi e pensai «Marta, cara sorella mia. Che meraviglia sei agli occhi di Dio. Egli conosce la parte migliore di te, la vede e la vedo anch’io.»

Le toccai la mano. 

Profumo di nardo.

Serie: Parole di Dio, voci di uomini


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “Per me amare è toccare.”
    Nel racconto precedente, la donna esprime l’amore con la comprensione, la mente, il sacrificio di sé per far posto ai bisogni dell’altra. Qui invece troviamo una donna che si esprime con il corpo. Due facce della stessa medaglia, due sorelle come due elementi complementari. Sorridevo, pensando che unite farebbero l’amore nella sua totalità, vome dovrebbe essere sempre.

    1. Grazie dei tuoi commenti Irene. Ne sono davvero contento e anche rincuorato. Sai, lasciar parlare questi due personaggi (soprattutto Maryam) non è stato semplice e immediato. Avevo timore di non riuscire a rendere credibile un dialogo al femminile che fosse realmente profondo. Grazie davvero.

  2. Di tutta la serie questo è il racconto che ho trovato più vicino al nostro essere umani. Toccare, anelare verso l’altro, agire d’impulso, dubitare, cercare appoggio e conforto. Duemila anni fa come oggi. Mi hai ricordato quanto siamo fragili, e imperfetti, e belli.

  3. Mi sono sinceramente commossa durante la lettura di questo splendido brano che fa da specchio al precedente e non può essere letto a prescindere dall’altro. Così sono tornata un po’ indietro e ho messo insieme i due capitoli come a farne un puzzle e ho sentito una cosa in particolare. Ho sentito la sincerità. Vediamo se riesco a spiegarmi bene. Quando guardiamo un personaggio attraverso gli occhi di un altro, ottima tecnica narrativa a mio parere, ne abbiamo una percezione che è naturalmente ‘filtrata’, personalizzata. Non sapremo mai se lo sguardo del soggetto è sincero fino a offrirci la migliore visione di quel tale personaggio.
    Tu hai fatto una cosa nuova: hai incrociato quattro occhi che si osservano, due sguardi che si scrutano, parole dette e contemporaneamente ascoltate. Ciò che ne è venuto fuori è un quadro realistico e soprattutto sorprendente: Marta e Maria sono esattamente loro, esattamente guardate e osservatrici l’una dell’altra. Non c’è filtro. Ecco allora che tutto l’amore viene fuori, spontaneamente, come se l’autore si fosse delicatamente messo da parte.
    Complimenti per questa serie di cui ne vorrei sempre. Per queste pillole di bellezza.

    1. Ciao Cristiana e grazie per il tuo meraviglioso commento e la riflessione commovente che hai fatto. Sei stata chiarissima nel spiegare questo incrocio tra i personaggi, e nel leggere le tue parole credo di aver capito qualcosa di più anch’io su questi due racconti, che sono venuti fuori da soli, senza troppi calcoli. Li ho scritti obbedendo ai personaggi così come li vedevo, arrendendomi un pò a ciascuna di loro. Cosa difficile da fare quando si scrive: si vorrebbe sempre che storie e persone fossero come vuoi tu. Ma loro sfuggono, si ribellano, proseguono nonostante te.

      1. Ho sempre creduto che Marta e Maria fossero complementari. Forse una metafora, sicuramente un insegnamento dei Vangeli. Se ci pensiamo bene, esse sono uno spunto per il Cristo che, sull’esempio dei loro atteggiamenti e comportamenti, lascia uno dei suoi più preziosi insegnamenti. Se non ricordo male, è la stessa Marta a invitarlo nella loro casa. Sarà poi Maria a interpretare il significato dell’inutilità dell’affaccendarsi nelle faccende e della meraviglia dell’ascolto della parola. L’una non potrebbe avere vita senza l’altra.

  4. Costruisci dei bellissimi ritratti nelle tue storie! Delicati, attenti, evocativi. Il dialogo tra Marta e Maria di Betania è profondo,credibile e trasmestte tanta umanità. Complimenti.

  5. “apii che la considerazione degli altri non era qualcosa che voleva lusingare, ma la spada da cui ci voleva difendere e la famiglia in cui desiderava fossimo accolti anche noi. “
    Bellissima questa riflessione