
Mon amour
La diavoleria – come lo chiamava sua nonna – o il super watch, come lo chiamava lei – aveva un numero incredibile di funzioni. Tra le più utilizzate c’era il contapassi e il tasto per il monitoraggio della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della saturazione di ossigeno. L’SOS non l’aveva mai utilizzato. Bastava premerlo una o due o tre volte, per allertare, nell’ordine: il 118, o la caserma dei carabinieri, o la centrale di polizia.
Betta non si era mai trovata in situazioni di pericolo tali da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, con la massima urgenza.
L’unica volta che un tipo un po’ svitato le era andato addosso con la macchina e negava di avere torto perché lei, con la sua macchina, si era fermata di botto, aveva chiamato i carabinieri con il cellulare. In quel momento erano passati i vigili e avevano confermato che il torto era dell’altro conducente, per non aver rispettato le distanze di sicurezza e per aver superato il limite di velocità, che in quel tratto di strada del centro abitato, era di quaranta chilometri orari. Betta aveva dovuto frenare bruscamente per non schiacciare un gatto grigio che stava attraversando la strada. L’uomo, prima che arrivasse la polizia municipale, aveva tentato di difendersi dicendo che non c’era nessun gatto. Secondo lui era solo un ratto; perciò lei avrebbe dovuto passarci sopra e via, senza fare tante storie e senza fargli perdere tempo, che lui era stanco e doveva ancora pranzare.
Dopo l’intervento dei vigili urbani, si era risolto tutto con un verbale e la rottura di un fanale. L’uomo era risalito sulla sua vettura ingoiando parole e sbattendo la portiera con il botto finale.
A distanza di qualche anno, in quel paese di poche anime, alle prime luci del mattino, con le strade ancora deserte, Betta era tentata di collaudare quel prezioso marchingegno moderno, il suo mega orologio, non tanto per se stessa, quanto in funzione di altre donne più sprovvedute e meno corazzate di lei. Immaginava già i titoli dei notiziari: “Donna aggredita e poi salvata, grazie alla sua sofisticata arma di difesa: un orologio da polso”.
Se avesse voluto, dopo lo spray al peperoncino, che aveva annebbiato la vista del tizio sul furgone, sarebbe bastato un suo gancio destro “pirata” o “ben-dato”, come diceva sempre alle ragazze della palestra. Un solo pugno e l’avrebbe steso KO, per poi chiamare in tutta calma, i carabinieri del posto. Ci avrebbero pensato loro a rinfrescargli le idee, con qualche ora di meditazione in cella.
In fin dei conti, però, aveva deciso che non valeva la pena. L’unica cosa a cui non aveva rinunciato, prima di scendere dal furgone, erano stati gli scatti: frontali e di profilo, come nelle foto segnaletiche. Perché non si sa mai, aveva pensato Betta, pur non avendo intenzione di denunciarlo. In fondo non le aveva fatto niente, a parte una stretta al polso che le aveva lasciato un segno leggero, che sarebbe scomparso il giorno dopo. Sicuramente era un povero disgraziato, con moglie e figli in casa, addormentati, che ignoravano le scorribande notturne di quel padre arrapato.
A una delle sue allieve era andata molto peggio. Un branco di quattro elementi strafatti di varie sostanze tossiche, l’avevano aggredita, stuprata e lasciata mezzo morta sul marciapiede. Durante il processo gli avvocati di quella marmaglia fuori da ogni logica, legge o regola civile, e soprattutto fuori di testa, avevano cercato di dimostrare che la ragazza non era la prima volta che si metteva nei guai, a quell’ora della notte, mezzo svestita o troppo sexi. La solita teoria, trita e ritrita, dei crauti, come la definivano le sue ragazze; ossia del cavolo o del “Se l’è andata a cercare”. L’avvocato di Cristine, durante la sua arringa, rivolgendosi ai difensori degli imputati, aveva posto la domanda retorica, chiedendo se, per non essere ritenuta corresponsabile, la sua assistita avrebbe dovuto circolare con lo scafandro, oppure con la tuta gialla integrale dell’apicoltore, con il copricapo a rete, la giacca, i guanti e tutto il resto. O se fosse in vigore qualche nuova legge di coprifuoco, (a lui sconosciuta), per proibire alle ragazze e alle donne in genere, di circolare per strada, dopo il tramonto del sole, fino all’alba del giorno del dopo.
Quando Cristine aveva iniziato a riprendersi da quel trauma, pur non uscendo più la sera, né da sola, né in compagnia, per il terrore di incontrare altra gentaglia, il padre le aveva regalato una cintura di sicurezza. In pratica un cinturone senza le pistole da sceriffo, con una larga fibia computerizzata e altri dispositivi laterali dotati di vari congegni di difesa e di allarme. E pian piano aveva trovato il coraggio di percorrere qualche centinaio di metri, per arrivare fino alla palestra, non solo per scaricare il suo malessere e imparare a difendersi, ma anche con l’idea di poter dare, prima o poi, una lezione “pirata”, a uno dei quattro ceffi che circolava ancora libero e indisturbato. Durante i primi tempi di allenamento l’unica forza che l’aveva spinta a impegnarsi, era stata quella della rabbia. La docile fanciulla impaurita si trasformava in una furia che non temeva più neanche il match con gli avversari maschi.
Betta, nonostante il suo passato, con un’infanzia che l’aveva segnata senza rimedio, era più compassionevole. Se uno nasce polpo, con i tentacoli, o ippopotamo, con le zampe e gli unghioni – pensava – non è che poi riesce a fare i merletti con il tombolo. E se uno ha la testa bacata e piena di vermi come le mele marce, può solo finire in discarica o in mezzo al cumulo del letame, con le merde di gallina e di altri animali.
Con questi pensieri in testa Betta aveva svoltato l’angolo, velocemente, per recuperare le altre due. Aveva percorso la via fino a raggiungere la piazzetta, con la fila di panchine vuote e i pochi alberi inariditi dal caldo torrido dell’estate. Delle due donne e di quelle mezze tacche degli altri due, neppure l’ombra.
Ebbe un attimo di turbamento. Sprovvedute come erano e sempre pronte a seguire il primo sconosciuto incontrato per caso, potevano trovarsi in pericolo. I vari tentativi di contattarle al cellulare erano stati inutili.
Dopo aver localizzato il punto esatto in cui si trovava, Betta aveva individuato, sulla mappa, il bed and breakfast, dove Mary Spencer le aspettava dal giorno prima.
Non era distante. Il paese era grande quanto, o poco più di un quartiere della città in cui era nata e cresciuta. In meno di due ore avrebbe potuto fare il giro completo di quel centro abitato, anche camminando al passo saltellato di Loris Lento.
Era arrivata davanti all’ingresso del B&B, e nonostante fosse ancora presto, aveva deciso di suonare. La padrona di casa le aveva aperto subito. Prima di segnalare la scomparsa delle amiche di viaggio ai carabinieri, avrebbe atteso ancora qualche ora, nonostante i cattivi pensieri che attanagliavano la sua mente. Nel frattempo avrebbe fatto una doccia.
Aveva lasciato scorrere l’acqua finché il sudiciume di quelle luride mani sudate e il fiato e le goccioline di saliva che si sentiva addosso, erano scivolati dal suo corpo, per finire nel tubo di scarico. Si sarebbe sentita sporca e contaminata anche se lui non l’avesse neppure sfiorata; solo per averlo avuto accanto a distanza ravvicinata, come un appestato altamente infettivo.
Subito dopo si era avvolta con l’accappatoio di spugna bianco e morbido, che aveva un confortante profumo di pulito. In quel momento le era sembrato di sentire il rumore della porta e un duetto di voci familiare. «Mon amour, mon amour…» La canzone di Gigi D’Alessio. Erano loro: le due compagne di viaggio canterine, felici e appagate, come due ragazzine nel giorno di Pasqua, entusiaste per le sorprese dell’uovo e la bocca ancora sporca di cioccolato.
Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Umoristico / Grottesco
“E pian piano aveva trovato il coraggio di percorrere qualche centinaio di metri, per arrivare fino alla palestra, non solo per scaricare il suo malessere e imparare a difendersi, ma anche con l’idea di poter dare, prima o poi, una lezione “pirata””
Da uomo (nel senso di essere umano!) trovo incredibile che tutto questo possa ancora succedere. Non so che altro dire. Non me ne capacito. Soprattutto, non mi capacito che ci siano ancora giudici che commentano sui jeans stretti e carabinieri che consigliano alle donne che subiscono violenza in famiglia di “fare pace”.
“Se uno nasce polpo, con i tentacoli, o ippopotamo, con le zampe e gli unghioni – pensava – non è che poi riesce a fare i merletti con il tombolo”
Bellissima frase… un po’ “Bersaniana”, forse. Un punto in più anche per questo!
Che bel viaggetto all’incontrario che mi sto facendo stasera…
Si, non escludo di aver assimilato il genere di metafore alla Bersani, che ascolto spesso volentieri.
Quando ascolto le notizie, invece, di solito c’ e` poco da sorridere e non e` facile capire perche` in un’ epoca cosi` evoluta, in cui gli esseri umani sono riusciti a inventare e costruire cose grandiose, possano essere ancora cosi` frequenti certi comportamenti maschili da cavernicoli. Per fortuna il mondo e` vario, cosi` pure il genere maschile.
Grazie Giancarlo per la tua attenzione e condivisione.
Ciao ❣️
Qui ho letto tanta verità. Ogni volta che succede un qualcosa di brutto a una ragazza, invece darle parole di conforto le si riservono sempre le solite domande”com’era vestita?” “Perché era sola alle due di notte?” “Perché su è ubriacata?”
Come è stato rimarcato nel film Barbie il patriarcato esiste ancora solo che è nascosto e come una bestia feroce è pronto a balzare fuori e attaccare alla prima occasione. L’abbiamo visto fino a pochi giorni fa con il trattamento riservato a quella povera ragazza che ha subito quell’orrore a Palermo.
Succeda quel che succeda le domande vengono fatte solo alle donne, però gli uomini possono tranquillamente vestirsi come vogliono e fare tutto ciò che vogliono.
Trovo che in questo testo tu sia stata geniale nel parlare di un argomento così delicato, portare inevitabilmente a una riflessione sulla società, ma farlo comunque senza proporre un testo pesante, anzi proponi una storia a lieto fine, che quindi da quel tocco di speranza.
Complimenti davvero ❣️
Ciao Lola, purtroppo si tende ancora, troppo spesso, a giustificare o a dare delle attenuanti all’ aggressore, attribuendo alle donne vittime di stupro, una parte della colpa, per eccesso di comportamenti disinibiti che, secondo una mentalita` ancora diffusa, sarebbero la causa determinante e l’ implicito consenso a certi atti di violenza nei loro confronti. Come dire che se un ragazzo consuma piu` di una birretta al bar, in tarda serata, e barcolla e canta per strada, merita di incontrare un branco di criminali pronti a sodomizzarlo.
Mi è piaciuta veramente molto la digressione sulla storia personale di Betta, i suoi pensieri, le sue paure e le sue emozioni. Questa non è propriamente una serie e hai sviluppato i singoli racconti per essere autoconclusivi, per chi come segue la serie di sottofondo invece è molto piacevole entrare dentro la testa di un personaggio per sentirlo più “umano” e “vivo”, non so se rendo l’idea. Il finale volutamente ambiguo sulle “sprovvedute” compagne mi ha un po’ infastidito perché lo trovo incoerente con il tema principale del racconto. Mi spiego meglio, è solo per un caso fortuito che quelle due non abbiano fatto la fine di Cristine. In generale, e questo non vale solo per le donne, perché lo uso anche io come legge della mia vita, bisogna sempre essere attenti su dove si è, le persone attorno la situazione in generale. Alla stazione Termini a Roma non me ne vado certo con lo zaino aperto e il Rolex al polso no? Ugualmente chiunque deve sempre essere consapevole della situazione. Un pizzico di ingenuità va bene, ma affidarsi a degli sconosciuti…
Ciao Carlo, grazie per le tue parole sempre ben ponderate e gradite. Le due sprovvedute per definizione hanno rischiato di procurarsi altri guai molto seri. E` andata bene, ma hanno comunque rischiato grosso. Pur essendo inqualificabile la colpa di qualsiasi aggressore di qualsisi genere, il principio di agire sempre con saggezza e prudenza resta comunque valido. Non si possono accusare le vittime al pari dei carnefici, ma appare sciocco infilarsi in un sentiero sconosciuto e buio di un bosco popolato da lupi e orsi, per poi gridare al lupo, al lupo. Saggezza e prudenza, pero`, di solito, si acquisiscono tardi, sbagliando, cadendo e infine diffidando.
La distinzione tra vittima e carnefice è doverosa e netta, non voglio essere frainteso. Non voglio giustificare e non lo farò mai tali orrori. Certe volte l’agnello si fa troppo agnello davanti al lupo, usando la tua metafora, e non credo sia solo questione di età, ma di educazione. Come è doverosa l’educazione degli uomini, fin da bambini il classico “le donne non si toccano nemmeno con un fiore” che mi veniva ripetuto come un mantra fin da piccolo, ricordo ugualmente l’altrettanto famoso “non accettare mai niente da uno sconosciuto, nemmeno le caramelle, se qualcuno si avvicina chiama subito la maestra” . L’educazione è fondamentale sempre.
Che l’educazione sia fondamentale sempre, ne sono convinta anch’io, fermamente. Non solo con le parole che vengono usate verso i figli ma anche e soprattutto con l’ esempio che viene dimostrato e con l’ aria che si respira tra le mura domestiche. E` fondamentale che l’ ambiente famigliare sia pervaso dal rispetto, dalla stima e dalla benevolenza reciproca, a partire dal rapporto tra padre e madre e verso i propri figli. Quasi sempre, nelle persone che finiscono per abusare fisicamente di qualcun altro/a, il clima di aggressivita` verbale, fisica o psicologica comincia da li`.
Un racconto diverso dagli altri, tanto che lo credevo del tutto scollegato dalle avventure che hai raccontato finora. Poi siccome nella lettura non mi tornavano alcuni conti e visto il commento di Cristiana ho capito che il collegamento comunque c’era. Affronti il tema con un lieto fine, ma traspare una paura che in Betta sembra da lontano, non solo dai continui fatti di cronaca o da più recenti incontri ravvicinati.
Ciao Francesco, grazie per questo tuo gradito commento. Il racconto puo` essere considerato una storia a se`, oppure il prosieguo di una storia un po’ strampalata e un po’ leggera, con accenti, a tratti un po’ gravi, ispirati dalla vita reale. La continuazione di un viaggio tra donne con esperienze in parte molto diverse e in parte molto simili tra loro.La paura che diventa corazza da parte di Betta, hai ragione, dipende dal suo vissuto. Come ho accennato nel racconto precedente, risale ai traumi della sua infanzia/adolescenza. Non ho voluto approfondire ulteriormente questo aspetto della sua personalita` per non scivolare nel patetico. Il mio intento sarebbe quello di sviluppare un genere di scrittura che possa suscitare qualche riflessione, ma anche e soprattutto qualche sorriso. O almeno ci provo.
Super watch. Mai avuto, ne faccio volentieri a meno: questi aggeggi digitali mi complicherebbero la vita anche se so che ad altri (altre) servirebbero eccome
Sono d’ accordo con te, Kenji. Io non uso neppure l’ orologio semplice da polso, ma ben vengano certi aggeggi tecnogici, con tante funzioni che potrebbero essere utili in alcuni momenti o luoghi a rischio di spiacevoli incontri.
Molto curioso questo nuovo episodio e in un certo senso diverso. Migliore ancora? Forse. O forse sono io che lo trovo particolarmente interessante e ben riuscito. Parte come un racconto a sé. Le considerazioni che fai sono amare e condivisibili universalmente. Il fatto soprattutto che partiamo sempre e comunque svantaggiate. Usi leggerezza e un pizzico di ironia sottile, ma affronti temi delicati e che fanno rizzare le antenne. Poi, come a trovarsi ad aver svoltato un angolo, ecco che ci prendi per mano e ci riconduci sul sentiero della narrazione. Allora, a quel punto, ho tirato un sospiro di sollievo. Finalmente un ‘finisce bene’ e viva la cioccolata!
Ciao Cristiana, ti ringrazio. Credo che tu abbia colto esattamente tutto cio` che speravo di comunicare. Non solo la necessita` (purtroppo) di attrezzarsi con qualche strumento di difesa, ma anche la possibilita` di vivere con gioia o leggerezza le opportunita` che la vita ci offre. Ognuno e` libero di scegliere, cosi` come ognuno/a ha diritto ad essere rispettato nel suo diniego. Puo` sembrare banale e scontato ma, a quanto pare, spesso, non lo e` abbastanza.