Morto e risorto

Serie: Morirò d'estate


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ● «Sono solo 3 giorni, pensi di poterti liberare dai tuoi impegni?» mi chiese, alzando leggermente il tono della voce. Non risposi subito, e lei approfittò del mio silenzio per aggiungere: «Chi tace acconsente! Padre Andrea ti aspetta qui, il 21 giugno alle 8:00». ●

Nei giorni seguenti, ogni volta che andavo in chiesa e incontravo Suor Lucia, le chiedevo il motivo di quell’invito, ma lei mi ripeteva che era tutto sotto controllo e che dovevo fidarmi. Poi mi sorrideva e cambiava discorso.

La sera del venti, mi resi conto che, fino a quel momento, avevo pensato solo all’invito della suorina, dimenticando completamente Enza.

Il mio istinto mi diceva di accettare l’invito di Suor Lucia, quindi cominciai a preparare una piccola valigia, riempiendola con jeans, t-shirt e biancheria intima.

Infine, aggiunsi un pigiama giallo.

Mi assicurai di aver impostato la sveglia, poi andai a letto a stomaco vuoto, ma senza sentire la minima fame, del resto ci ero abituato.

Alle 6:20, ancora prima che suonasse la sveglia, mi ero già alzato. Mi diressi in punta di piedi in cucina, cercando di non svegliare gli altri.

Senza neanche prendermi il disturbo di lavarmi la faccia, mi preparai un caffè. Mentre lo sorseggiavo, mi vennero in mente le parole di mia madre: «Mai bere il caffè a stomaco vuoto, che ti farà male!» e non potei fare a meno di ridere pensando a quante volte mi aveva ripetuto quella frase.

Arrivai in chiesa con una mezz’ora di anticipo e rimasi stupito dal numero di giovani che erano già lì.

Ero confuso e anche un po’ intimidito. Non mi aspettavo tutte quelle persone e mi pentii di essermi presentato.

Pensai di andare via, ma proprio in quel momento Padre Andrea con un cenno della mano mi invitò ad avvicinarmi a lui.

Andai da lui, cercando di nascondere la mia ansia.

«Benvenuto!» disse, dandomi una pacca sulle spalle.

Un ragazzo con capelli neri e occhi scuri si avvicinò a me, sorridendo. La sua stretta di mano era ferma e il suo sorriso era contagioso.

«Ciao, io sono Marco! Non preoccuparti, siamo tutti nella stessa situazione», disse, invitandomi a salire sull’autobus che nel frattempo era arrivato.

«Stesso motivo? Quale motivo?» pensai tra me e me, mentre sistemavo la mia valigia nel bagagliaio.

Mi sedetti vicino a Marco e guardai fuori dal finestrino mentre la città scorreva via.

Prima che me ne accorgessi, l’autobus si fermò in un vecchio convento circondato da grandi mura di pietra, con un portone in legno scuro usurato dal tempo e rinforzato da strisce di ferro.

Il conducente annunciò la nostra destinazione e io mi resi conto che il viaggio era durato poco più di un’ora.

Sentivo un senso di inquietudine crescere dentro di me, nonostante l’atmosfera tranquilla del convento.

Padre Andrea ci invitò a lasciare le valigie all’entrata e a seguirlo.

Arrivati in una grande sala piena di sedie, una ragazza alta e sorridente ci accolse con una voce acuta ma piacevole.

Con una carpetta colorata in mano, disse: «Benvenuti al Campo Base! D’ora in poi, vi invito a non parlare con nessuno per tutto l’arco della giornata».

La sua voce risuonò nella sala, seguita da un silenzio carico di attesa.

«Fidatevi e rinascerete a vita nuova!», disse con un sorriso enigmatico. I presenti si guardarono, alcuni curiosi, altri preoccupati.

«Questa è una pazza!» pensai.

Decisi di stare comunque al gioco, per vedere cosa sarebbe successo.

Poi, alcuni ragazzi e ragazze presero la parola, leggendo da una carpetta con tono formale prima di rivelare storie personali e emozioni sincere.

Le loro parole erano piene di emozione e verità, e io mi trovai ad ascoltare con attenzione, sentendo una connessione con loro che non mi aspettavo.

La loro vulnerabilità mi colpì profondamente, soprattutto la loro disponibilità a condividere con noi sconosciuti aspetti intimi e dolorosi della loro vita.

Più parlavano, più sentivo che stava accadendo qualcosa di speciale: una connessione autentica e vera.

Mentre ascoltavo in silenzio, mi sentivo frastornato e allo stesso tempo affascinato da quello che stavo vivendo.

I miei pensieri turbinavano nella mia mente, un misto di emozione e confusione, mentre cercavo di comprendere il senso di quell’esperienza.

La mattina passò velocemente, ma il pranzo fu un momento difficile per me: il silenzio forzato e la paura di vomitare davanti a tutti mi stavano pesando. Dopo un’ora di pausa, ritornammo nella sala e le storie continuarono a succedersi, con un’atmosfera più rilassata ma sempre intensa.

Una ragazza magra, dalla carnagione olivastra e con lunghi capelli neri, entrò con la sua carpetta, si presentò e poi, come tutti quelli che l’avevano preceduta, cominciò a parlare di sé: «Mio padre non mi ha mai amata, per questo ho cominciato ad odiarmi pensando che ero sbagliata. Mi sono fatta del male» disse con la voce spezzata dall’emozione.

«Mangiavo e vomitavo e poi mi sentivo profondamente in colpa, disprezzandomi per questo» continuò.

La sua voce tremava e le sue parole mi colpirono come un pugno allo stomaco.

«Sta parlando di me!» pensai, sentendomi improvvisamente nudo e vulnerabile.

Le mani cominciarono a sudare freddo, il cuore mi batteva all’impazzata, un nodo mi stringeva la gola e la vista cominciò ad annebbiarsi.

Mi sentivo morire, ma sapevo che non stavo morendo.

Provai a respirare più lentamente per evitare un attacco di panico, fissando la ragazza che continuava a parlare di sé.

Lentamente, il mio cuore iniziò a battere più regolarmente e la mia mente si schiarì.

Riuscii a calmarmi, ma la sensazione di turbamento rimase.

Il pomeriggio trascorse pensando alle parole della ragazza, cercando di capire perché mi avessero colpito così tanto. A cena, mangiai poco e poi mi ritirai nel dormitorio, ansioso di concludere la giornata. In bagno, indossai il mio pigiama giallo e pensai: «Ha ragione mia madre, il caffè a stomaco vuoto fa male!».

D’un tratto, sentii una voce, chiara e forte: «No! Fa male non amarsi. Smettila di compiangerti. Oggi è il primo giorno d’estate!».

Mi guardai intorno, ma ero solo. Sentii le gambe perdere l’equilibrio e un fischio lancinante mi spaccò i timpani.

Urlai, credo.

Svenni, credo.

Ma prima pensai: «Non posso morire, con un ridicolo pigiama giallo addosso!».

Quando rinvenni, aiutato da Marco e dagli altri ragazzi che erano in camera, mi sentii diverso.

Quella sera d’estate sono morto e poi sono risorto.

Serie: Morirò d'estate


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Anch’io ho subito pensato che la voce fosse di Enza, chissà se la storia mi darà ragione. Interessante il concetto di morire e risorgere, ora il protagonista ha davanti a sè una nuova vita. Potrà ricominciare, o almeno così spero.

  2. ​Un racconto scritto con la forza della semplicità, particolarmente adatta a questo contesto. Sebbene la trama si colori di mistero, si sente il respiro di eventi vissuti in prima persona. Bravissimo, Corrado! 🙂