Nei tuoi occhi

Serie: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi


A volte la salvezza segue strani percorsi

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Nei tuoi occhi

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”

Da un po’ di tempo questo verso di Pavese mi gira per la testa. Insistentemente prima, poi si sbiadisce e all’improvviso riappare, ciclicamente.

Solo stasera ho capito il motivo. Perché il giorno in cui vedrò in lui gli occhi del padre sarà per me la morte. È come temere ogni giorno che a tuo figlio venga diagnosticato un male incurabile.

La prima volta che ho guardato negli occhi la pazzia era di notte. Ero abituata a sentire il rumore frenetico dei suoi passi nella penombra. Ma quella notte era diverso. Non era un andirivieni senza senso, piuttosto era un passo indaffarato, come se fosse impegnato in un lavoro che proprio in quel momento, di notte, andava improrogabilmente portato a termine.

Mi alzai incuriosita e anche un po’ spaventata, non immaginando quale potesse essere la necessità impellente di quell’ora. Lo sorpresi chiuso in bagno, aveva raccolto tutto ciò che era suo, mio, nostro nei sacchi della spazzatura. Ma non era abbastanza. Stava meticolosamente distruggendo tutto ciò che potesse identificarlo come persona, tutti quegli oggetti che accumuliamo negli anni senza neanche badarci troppo, ma che a riguardarli a ritroso raccontano la nostra storia. Libri strappati, cd spaccati a metà, dvd distrutti.

Non era sufficiente gettarli via perché sapeva che io o la madre, così ostinate e cieche nel perseguire un obiettivo solo nostro, potevamo recuperare qualche brandello di esistenza in quell’ammasso di vita accatastato. Doveva distruggere tutto, come il più astuto degli assassini, doveva eliminare ogni prova concreta della sua esistenza, ogni indizio che potesse condannarlo per l’omicidio di se stesso. Non possono accusarti di aver fatto fuori qualcuno che semplicemente non esiste!

“Il giocatore” di Dostoevskij no. Quello l’ho tenuto per me. Gliel’avevo regalato io e accampai dentro di me il diritto di salvarlo dall’oblio.

Già sull’uscio della porta sentivo dei rumori di plastica rotta e di carta strappata.

Quando aprii la porta del bagno tutto d’un colpo, restammo a fissarci per qualche attimo «Cosa stai facendo?» gli chiesi. «Niente, torna a letto!» mi rispose senza smettere di guardarmi. Ero così sicura di aver amato quell’uomo, di aver condiviso con lui tutto, lacrime, gioie, ansie, sogni. Eppure io quello sguardo che adesso mi fissava non l’avevo mai visto prima. Senza espressione, la pupilla piccola e scura, la cornice bianca che sembrava volesse spingerla fuori dall’orbita. Nonostante la finestra del bagno fosse aperta sentivo distintamente la puzza di fumo. Provai ad affacciarmi nei sacchi allungando le mani per recuperare qualcosa, qualunque cosa. Ma lui mi tenne a distanza col braccio, facendosi scudo col suo corpo. Insistetti per un po’ continuando a chiedergli di fermarsi, incredula. Non ottenni risposta. Mi spinse fuori dalla porta, chiudendosela alle spalle.

Mi ritirai sconfitta nel buio della nostra camera da letto. Il mio posto era a sinistra, accanto alla culla dove nostro figlio dormiva inconsapevole. Girata sul fianco, riuscivo ad intravederlo tra le sbarre, la sua serenità mi faceva rimbalzare ancora di più il cuore in petto. Era così tanta la mia agitazione per quello che avevo visto, che quasi mi sembrava irreale la sua quietezza. Come poteva non accorgersi di nulla?

Dopo un po’ lui tornò a letto. Era girato dall’altra parte, sulla destra. Io avevo gli occhi sbarrati. Entrambi sapevamo che l’altro era sveglio e dopo qualche eterno minuto di silenzio, mi disse nel buio: «Non c’è speranza Matilde. Non c’è speranza per noi».

In quel momento una lacrima mi rigò il viso, scese lentamente fino a toccare il cuscino e ad essa ne seguirono a cascata molte altre. Avrei voluto urlare a squarciagola, disperarmi, esistere e resistere in maniera prepotente e assoluta. E invece, mi stavo arrendendo. Forse aveva davvero ragione lui.

Non c’era speranza per noi.

Era soddisfatto del suo lavoro di pulizia e per un po’ si acquietò. Eppure c’era un pensiero che continuava a tormentarlo. Anzi, più che un pensiero, una presenza. C’era lui, nostro figlio. Lui, sì. Gli avrebbe ricordato sempre la sua esistenza, gliel’avrebbe sbattuta in faccia senza pietà, con i suoi limiti e le sue paure, ogniqualvolta i loro occhi si sarebbero incrociati. Lui che guardandolo gli avrebbe urlato in silenzio “IO ESISTO” e con il suo tocco gli avrebbe fatto sentire il peso del suo corpo stanco. Come uno specchio, gli avrebbe restituito il riflesso della sua esistenza tormentata.

Restava solo questa traccia da eliminare. Il suo piano andava rivisto. Forse l’unico modo per salvare se stesso non era eliminare qualcuno, ma salvare noi.

Quando mi hanno proposto di tornare a lavorare qui, nella città dove nostro figlio era stato concepito, mi sembrava irrealizzabile. Chi si sarebbe preso cura di lui? Il papà da solo non ne avrebbe avuto la forza. Magari con l’aiuto dei nonni, forse. “Si può fare, basta organizzarsi, basta volerlo, no?” pensavo. E anche a lui sembrò una buona idea (l’unica in quel momento), ricominciare altrove, di nuovo, con me che stavolta avrei fatto da ariete tracciando le linee di una strada buona per noi tre. Lui era d’accordo. In parte timoroso di non riuscire a badare a sé, ma avrebbe avuto l’aiuto… di chi? Forse a non volersi assumere la responsabilità di questa nuova vita non era poi soltanto lui.

Ed ecco un nuovo tentennamento, le gambe che vacillano, la testa scoppia “No, non ce la faccio. E poi è così piccolo ancora! Ha bisogno di me! E quando piangerà… E la notte poi, quando si sveglierà in cerca di me. Non posso andare.”

Giusto, non era poi una così buona idea. “Allora resto, sto con voi, sì, resteremo insieme e troveremo un’altra strada da percorrere” mi convincevo.

Lui non era convinto però. Continuava a dire «Partite voi, non puoi perdere questa occasione. Cosa ci fai qui? Vi raggiungerò poi…»

Ma a quel tempo non avevo ancora capito. Mentre il tessuto che ci teneva insieme si stava già lacerando, io pensavo davvero ci avrebbe raggiunti.

Serie: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. ““Verrà la morte e avrà i tuoi occhi””
    Complimenti per la scrittura. Hai descritto un frammento di vita che fa male con una bellezza straziante. Questo verso di Pavese è come un coltello che scava, e tutto ciò che segue non fa che girarlo nella ferita. La scena del bagno, la meticolosa cancellazione di ogni traccia, gli occhi vuoti che improvvisamente non riconosci più… è agghiacciante, ma è la verità di certi crolli: arriva in silenzio, di notte, mentre il mondo dorme.👏 👏

  2. Ho ammirato lo stile della tua scrittura. Il tema principale di questo episodio o dell’intera serie, delicato e importante, lo hai raccontato in modo credibile e coinvolgente, con alcuni punti molto toccanti che mi hanno procurato qualche brivido. Aspetto i prossimi episodi e intanto andró a leggere qualcuno dei tuoi librick pubblicati in precedenza. Sono lieta di aver appena trovato, qui su Open, un’altra brava autrice che fa vibrare le mie corde piú profonde.