Nessuno in Ascolto

Serie: Ritrovarsi...


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Andrea si alzò. Uscì. Nel corridoio, la voce dentro tornò, tagliente: Ma allora davvero… nessuno mi conosce?

Il pane, quella sera, non serviva neppure spezzarlo: il silenzio lo aveva già reso duro.

Un silenzio compatto, pieno, come se si potesse masticare.

Ogni colpo di forchetta sul piatto suonava come un richiamo da lontano, un rumore stanco che non osava davvero rompere la quiete.

La luce della cucina era gialla, appannata, e filtrava sulle stoviglie lucidate di fresco. L’odore del sugo ristagnava nell’aria insieme al vapore delle pentole, basso e denso, come nebbia che si rifiuta di andarsene.

Andrea teneva lo zaino vicino alla gamba, con la mano che ogni tanto lo sfiorava, come si fa con qualcosa che non vuoi far toccare a nessuno. Dentro, il diario. Ancora caldo del suo ritrovamento. Non era un oggetto. Era un ospite imprevisto, uno che si siede accanto e ti guarda fisso finché non sei tu a distogliere lo sguardo.

Sua madre si muoveva in cucina con la grazia stanca di chi sa che ogni parola può trasformarsi in errore. Passi rapidi, gesti piccoli. Posò il secondo sul tavolo senza dire nulla. Nessuna domanda. Nessun rimprovero. Solo piatti, forchette, e il rumore del cucchiaio che raschiava il fondo della pentola.

Andrea tossicchiò, un suono che nella stanza parve quasi violento. Cercò un tono neutro, ma un filo di entusiasmo gli sfuggì tra i denti.

«Ho trovato una cosa assurda oggi. Un diario vecchissimo… roba anni Settanta. L’ho preso. Secondo me è di uno che andava qui a scuola. È strano, ma fighissimo.»

Il padre posò le posate con un colpo secco, metallico. Lo fissò. Gli occhi erano pieni da ore. Aspettavano solo il momento giusto per svuotarsi.

«Un diario. Certo. Tu rischi l’espulsione, e mi vieni a parlare di un diario?»

Andrea strinse la forchetta. Le nocche si fecero bianche.

«Almeno una volta potresti non renderci ridicoli? Devi sempre fare casino, sempre spingere più in là. Sei diventato un peso. E la cosa peggiore è che sembri neanche accorgertene. O forse lo fai apposta. Perché sei…»

La madre mosse una mano verso il braccio di Andrea, poi la ritrasse come se avesse toccato qualcosa di bollente.

«Basta adesso, per favore…» sussurrò, senza guardarlo.

Il padre non si fermò.

«Mi sono dovuto inginocchiare davanti al preside» continuò, il tono basso e teso come una corda tirata troppo. «E al padre di quel ragazzo. Ti rendi conto? Ho dovuto umiliarmi per te.»

Andrea teneva gli occhi sul piatto. La forchetta ferma a mezz’aria. Dentro, qualcosa si era già spento. Il piede batteva piano sul pavimento, a tempo con un battito che non riusciva a rallentare.

Poi arrivò il colpo finale.

«A volte mi chiedo cosa abbiamo sbagliato con te. Ma forse il problema non siamo noi.»

Silenzio.

Solo il cucchiaio della madre che si fermava e poi ricadeva nella pentola, con un suono sordo.

Andrea si alzò. Non guardò il padre. Non disse nulla. Per un istante, fissò la madre. Occhi vuoti. Non rabbia. Solo: E tu?

Spinse indietro la sedia. Il piatto era ancora pieno.

Salì in camera. Non sbatté la porta. La lasciò chiudere piano.

Appena dentro, scaraventò lo zaino in un angolo.

Sul bordo dello specchio c’era ancora una foto: lui in mezzo ai genitori, un’estate di anni prima, tutti con i piedi nella sabbia.

La staccò piano, senza guardarla troppo, e la gettò nel cestino della carta.

Si sdraiò sul letto, fissando il soffitto. Il silenzio di sotto gli ronzava nelle orecchie.

Pensò a loro due: seduti in cucina, a sparecchiare o a fissare il televisore.

E gli venne un pensiero secco, cattivo: Se sparissero, quanto cambierebbe davvero?

Poi un altro, ancora più strano: E se sparissi io, quanto ci metterebbero ad abituarsi?

Rimase così qualche secondo. Poi si alzò, prese la foto dal cestino e la rimise al suo posto, incastrata nell’angolo dello specchio.

Si guardò allo specchio, dritto negli occhi.

«Codardo. Debole. Coglione.»

Il giorno dopo, fuori da scuola, sedeva su una panchina di pietra, lato parcheggio.

L’aria era tiepida, il sole basso gli tagliava il viso a metà. L’asfalto, ancora umido, brillava in certe crepe, mentre macchie scure si allargavano come ombre di cose già sparite.

Livia parlava, gesticolava, rideva a frasi sue. Portava il gloss trasparente che le lasciava la bocca lucida. Andrea ascoltava a metà. Lo sguardo perso. Dentro, solo eco.

«Ieri ho trovato un diario. In archivio.»

Lei si fermò un attimo, come per valutare se valesse la pena di ascoltare.

«Un diario?»

«Sì. Anni Settanta, credo. Uno scriveva a un certo Ludovico. Come a un amico immaginario.»

«Ok… wow. Cose da maniaci.»

Si avvicinò. Gli infilò una mano sotto il giubbotto, lenta, decisa, scivolando lungo il fianco. Il palmo caldo, le dita che premevano leggermente, come per ricordargli che erano lì.

Bocca vicina all’orecchio, fiato dolce e umido.

«Dai, amore… vuoi fare il filosofo o vuoi farlo un po’?», mormorò, mentre la mano scendeva ancora, sfiorandogli l’osso dell’anca.

Andrea si staccò appena, un gesto lento, quasi impercettibile.

«Magari anche sì. Ma ogni tanto potremmo pure parlare. Tipo… come persone vere, no?»

Livia lo fissò un attimo, con mezzo sorriso storto.

«Oh, ma che ti sei svegliato profondo stamattina?» Scosse la testa. «Che c’hai, ti ha punto una zanzara radioattiva?»

«Niente. Lascia perdere.»

Lei lo baciò.

Lui si lasciò fare. All’inizio restò fermo, poi le mani gli salirono sui fianchi. Sentì il corpo di lei aderire al suo.

Il cervello gli diceva di rallentare, di staccarsi. Ma il corpo — il corpo — diceva tutt’altro.

E mentre lei gli stringeva la vita, lui vide, per un istante, le parole di Marco scorrere come sottotitoli:

“A volte credi di conoscere una persona. Poi scopri che in realtà state solo recitando la stessa parte.”

Continua...

Serie: Ritrovarsi...


Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. L’ho letto tutto d’un fiato e che dire, sei proprio bravo nel mettere una dietro l’altro le parole. Emozioni contrastanti in questo testo scritto alla perfezione in cui le aspettative dei genitori si scontrano con i desideri del proprio figlio in un batti e ribatti senza alcun vincitore, se non la delusione negli occhi dei genitori e nel cuore del ragazzo per non essere riuscito a dare loro quello che volevano. Destreggiarsi in questo ambito non è facile e tu ci sei riuscito alla grande, soprattutto nel non lasciare nulla al caso. 🙂

    1. E tu sei l’altro colpevole! Con i tuoi commenti riesci a dare una spintarella anche a un’autostima ai minimi storici… altro che venerdì nero delle borse.
      Grazie davvero: sapere che per te leggere quello che scrivo è “andare a colpo sicuro” è una delle cose più belle che potessi sentirmi dire.

  2. Un altro episodio che fa breccia. Parole che vanno dritte, a colpire la sensibilità dei lettori, suscitando un senso di amarezza, nel risvegliare ricordi lontani o riconoscendosi nel conflitto generazionale più o meno recente, tra padre e figlio.
    Un finale che crea curiosità.

    1. Ti ringrazio davvero. Sei stata tu a darmi la spinta per provarci, e ora mi ritrovo, quasi senza rendermene conto, con una storia già tracciata e quasi 15 capitoli in bozza.
      È successo in pochissimo tempo, e so bene che senza il tuo incoraggiamento non mi sarei mai messo su questa strada. Indipendentemente dal risultato finale, per me questo è già un traguardo prezioso.

      1. Queste tue parole mi confortano. Dare uno stimolo in più a chi ama la scrittura, ha talento, ma non si era ancora spinto oltre la narrazione d singolo racconto é uno dei tanti modi di essere attivi in questa piattaforma. Anch’io ho ricevuti sin dall’ inizio e continuo ad avere, incoraggiamenti e sollecitazioni che mi aiutano a continuare.
        Buon proseguimento.