Non ti scordar di me.

Serie: Minerva


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La fuga

Tutto il suo corpo era a peso morto sul mio, ero stritolata contro la scrivania. Con una mano cercava di slacciare i jeans, l’altra sfilava la t-shirt, la bocca mi mordeva il seno. Annaspavo. Nel tentativo di divincolarmi gli tirai una testata, ma la sua animalità aumentò, un dolore lancinante alla coscia destra milioni di aghi impressi nella carne, più volte. La sua bocca risalii fino alla mia, spostai il viso, una morsa sul collo, mi teneva fermo il volto per potermi baciare,  lo morsi tanto da farlo sanguinare. La pelle era soffocata dal suo respiro caldo, i miei occhi chiusi, quelle mani grandi che perlustravano il corpo come fosse suo, lo stillicidio del sudore, il profumo di incenso pesca e mughetto erano rivoltanti. Più opponevo resistenza, maggiore era la forza, la violenza che metteva nel piegarmi, pretendeva di renderci un’unica cosa. Mi concentrai su qualunque rumore pur di non provare emozioni: il fruscio delle macchine, l’accartocciarsi della carta, il rotolare delle penne. Il ronzio di una mosca nella stanza era piacevole, un fuoco d’artificio impazzito, quando taceva sentivo il gemito sommesso della sua brutalità, il gemito della mia volontà ferrea nel resistere. Appena il volo riprendeva io andavo via con lei.

Ad un tratto la testa mi iniziò a girare, il respiro faticava ad uscire dai polmoni, la gola faceva male, i piedi smisero di battere al suolo, gli occhi ruotarono all’indietro, non sentivo più la mia amica mosca, il volto formicolava, una sensazione di ebrezza. Mi addormentai.

Nel buio della stanza, inondata dalle luci del traffico e della città, la mia mano stanca afferrò un oggetto. L’istinto della violenza, che si annida in tutti noi, stava iniziando a nutrirsi della mia rabbia. Lui era lì che mi fissava richiudendo un bottone alla volta la camicia bianca dal colletto alla coreana. Strinsi forte l’oggetto, lo colpii barcollando, lui indietreggio. Il sangue zampillava dal naso. Non gli diedi il tempo di reagire, violenta lo colpivo ancora, non si vedeva più l’occhio, sentivo il suo sangue addosso. Sbattè contro il muro, allungò le braccia per bloccarmi, lo morsi, Lo colpii ancora, lui cadde sulle ginocchia. Si teneva il volto con le mani, c’era sangue molto sangue non sapevo da dove proveniva. Si rannicchiò al suolo, taceva, non si muoveva. Era illuminato a momenti, sotto di lui una pozza, il biondo cenere dei capelli aveva lasciato posto al cermesi. Lo toccai con un piede, ad un tratto uno spasmo, rantolava come una bestia. Lo colpì nuovamente, altri schizzi bagnarono il mio viso, colpì ancora finché l’oggetto non si staccò dalla presa. Rimasi lì a guardarlo finché non sentii nuovamente il ronzio della mosca, solo a quel punto scavalcai quell’ omuncolo e mi diressi alla porta. La coscia mi tirava, faticavo a camminare, la terra tremava ed io non riuscivo a mantenere l’equilibrio. L’unica cosa che portai con me fu la mosca.

Toccarmi mi disgustava. Nello svestirmi scoprii che aveva usato la spara punti sulla coscia. Presi una pinzetta ed incominciai ad estrarre le graffette, non fece male, uscii sangue, che andò a mescolarsi con il suo. Nuda e cieca accatastai gli abiti sul pavimento, appena toccarono il suolo Napoleone gonfiò la coda. Il sangue e l’acqua vorticavano dentro lo scarico. Seduta nella vasca imploravo l’acqua di portare via la sua puzza, il suo sfiorarmi, stringermi. Ero immobile, i nervi tesi vigili, gli occhi non riuscivano a chiudersi, tutto il mio corpo provava dolore. Respiravo sotto voce per poter udire ogni rumore intorno. Volevo solo il buio, ma entrando in casa avevo acceso ogni luce. Misi l’accappatoio, buttai giù antidolorifici, stesa sul divano accesi la televisione: vendevano pentole antigraffio. 

É così che sono morta.

Alla luce del giorno potei ammirare la sua opera d’arte. Intorno all’iride si irradiavano piccole pennellate rosse. Il labbro solcato  da un taglio che ad ogni parola macchiava i denti di un bel color granata, per evitarlo decisi di pronunciare solo le parole indispensabili. In torno al collo aveva tratteggiato una corona di “non ti scordar di me”, lo sterno era dipinto di un azzurro intenso, quasi viola,  si arrampicava fino alla spalla sinistra. La sua firma l’aveva posta  sul seno destro, nella carne; così in profondità che potevo sentire la dentatura perfetta con le dita. Le braccia erano circondate dal cameo delle sue mani che stringevano. I segni sulle cosce apparivano pennellate frammentate e rapide. Tutti i giorni guardavo quel quadro, notando quanto fosse vivo, cambiava colore passava dal blu al verde al giallo infine al bianco. Era l’unica cosa che subiva il passaggio del tempo.

La morte, alle volte, è come se spegnesse una persona e ne facesse nascere un’a altra, ed ogni nascita è violenta perché non c’è morte senza dolore, maggiore è la tempesta che si attraversa più in profondità le nostre radici scendono, per evitare di essere abbattuti un’altra volta. Ancora tutto questo non lo sapevo, lo avrei capito solo il giorno in cui mi fossi assolta.

Serie: Minerva


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