Nuovo anno, nuovo mondo

Serie: Tre anni in Nigeria


Un Natale a bordo piscina in costume è parecchio strano per noi. Non sembra veramente Natale ma in città, in alcune zone, ci sono festoni e luci. In questi giorni sto scoprendo una parte di Abuja che ignoravo. Il mondo non si divide in baraccopoli e diplomatici, ma è molto più complesso e c’è una parte, per quanto piccola, molto simile a quello a cui ero abituato in Italia. Entriamo dal panettiere che ci accoglie con un sorriso bianchissimo, sta servendo dei clienti prima di noi e così ne approfitto per vedere i dolci in vetrina. Ce ne sono diversi, quelli pieni di zucchero e colorati tanto cari agli americani e alcuni più simili a quelli italiani, sgrano gli occhi perchè vedo proprio quei piccoli cannoli alla crema che mamma mi prendeva la domenica dopo la messa.

Il supermercato è affollato e incontriamo l’addetto militare indiano con la moglie, Praveen. L’ambasciata indiana è ancora a Lagos e Praveen deve viaggiare continuamente. È molto simpatico e parla spesso delle sue figlie a Lagos, Sanja e Sneeh. Sanja è un anno più piccola di me, mentre Sneeh è più o meno coetanea di Chiara. Ela si rammarica di non aver portato le figlie con loro in questi giorni, fa i complimenti a mamma per la festa di Natale, in particolare per il dolce, di cui vuole la ricetta. Le prende la mano, e, senza farsi sentire dagli uomini, la ringrazia anche per tutti i pranzi offerti a Praveen quando è ad Abuja da solo. Ci lasciamo con la coppia indiana che ci invita a fargli visita a Lagos.

In questi giorni approfondiamo la conoscenza anche del piccolo gruppo di italiani espatriati non legati all’ambasciata. Momo ha vissuto come Vieri sempre in Africa, gestisce assieme al padre e alla sorella una ditta edile. Ha origini piemontesi, come la moglie, e i loro due figli, più piccoli di me, sono nati ad Abuja. Ai bambini viene più naturale parlare inglese che italiano. Una sera siamo andati anche alla pizzeria di Simona, altra italiana espatriata che ha aperto un locale assieme a suo marito thailandese. Per le vacanze è arrivata anche la figlia del carabiniere Boggio, ma la serata è stata scandita dalle battute di Mancini e moglie. La pizza non era un granchè, ma per un paio d’ore è sembrato di essere tutti in Italia.

Sembra di essere in Italia anche a casa, perché ci litighiamo il telecomando dell’unica televisione, nel soggiorno piccolo, quello che viviamo. Io e papà vorremmo vedere le partite di calcio, Chiara e Cristina le puntate di una stagione non ancora uscita in Italia di “The O.C.”, mentre mamma, come in Italia, non concepisce niente al di fuori della Rai. La sera, vince sempre lei, si guarda Rai International e il TG1. Le notizie sono dominate dallo tsunami nel sud est asiatico, le immagini sono terribili e mi chiedo se possa mai succedere anche da noi.

«Tranquillo Alex, i terremoti ci sono, ma la Sardegna è poco sismica, e un maremoto è molto improbabile» mi rassicurano.

Sarà, ma, alle elementari, ricordo che assieme alle esercitazioni antincendio facevamo anche la simulazione di un terremoto. Finito il TG1, corro a prendere Monopoli. Tutti sbuffano, ma alla fine giochiamo ugualmente e ci divertiamo, nonostante quello che dicono.

Gli Alleati si sono riuniti anche durante le vacanze, ed Harry è venuto assieme a suo fratello Jamie e chiacchera con Chiara sotto al gazebo, vicino alla piscina. Io ho insegnato Schiacciasette ai ragazzi e ci giochiamo in piscina ma Amber resta seduta nel bordo, con i piedi in ammollo pensierosa. Mentre gli altri continuano a giocare io esco e mi siedo vicino a lei.

«Che succede?» le chiedo.

Lei scrolla le spalle.

«Niente» e si tira via una ciocca ribelle dei suoi capelli scuri e ondulati.

Conosco quel “niente”, è tipico delle donne quando c’è qualcosa invece. Perché devono essere così complicate? Tocco con il gomito il braccio di Amber e la invito a parlare.

Lei mi guarda con occhi tristi. Ha grandi occhi neri in genere molto luminosi e brillanti, soprattutto quando mi vede. Ha la pelle più chiara di sua madre e dei nigeriani in generale e odora sempre di vaniglia. Si mette sempre il burrocacao alla ciliegia per non far seccare le sue labbra carnose con il vento secco dell’harmattan, e così mi ricorda una dolce ciliegia affogata nella Nutella con una spruzzata di vaniglia.

«Mio fratello parte per l’Iraq.»

«Oh.»

Quasi tutti gli americani qui presenti hanno un membro della propria famiglia sotto le armi. Il ricordo del 9/11 è una ferita ancora aperta e sono tanti i ragazzi che dopo il liceo decidono di prestare servizio per un paio d’anni. Lo sentono come un dovere. Anche il fratello maggiore di Tom, Sam, si trova al fronte. È un marine che combatte i talebani in Afghanistan.

Mi ricordo l’attentato di Nassirya che ha colpito gli italiani l’anno prima e della mia paura dopo l’attentato alle Torri Gemelle che anche mio padre dovesse essere inviato in uno di quei posti che non avevo mai sentito. Prendo per mano Amber e le sorrido. Sorride anche lei, sembra che funzioni. Harry mi schizza e io ritraggo la mano. Mi guarda con espressione strana, poi mi fa segno di guardare sotto il gazebo. Chiara e Jamie sono sdraiati nello stesso lettino e ascoltano musica dal lettore MP3.

Alzo gli occhi al cielo, le donne…

Chiara sarà molto felice, per la notte di Capodanno partecipiamo alla festa organizzata da Neil. Harry mi ha confessato che avrebbe preferito una cena da noi, all’italiana, anziché i piatti preparati dal loro cuoco sotto la supervisione di April e Mrs. Glenn, moglie e madre di Neil. Quando arriviamo a casa loro, ad accoglierci viene proprio Harry. Ha il suo solito stile alla mano, nonostante sia una festa formale, veste in jeans e maglietta a righe verde e blu. Jamie è decisamente più galante, fa il baciamano a mia sorella, che diventa rossa come la carlinga della Ferrari, e sparisce con il suo cavaliere lungo il giardino dei Glenn. La carriera di Neil si è sviluppata sempre in Africa, sempre a rappresentare Sua Maestà in uno dei Paesi del Commonwealth. Jamie è nato in Egitto mentre Harry in Kenya, paese a cui è legatissimo e dove, dice lui, ha una ragazza. Nonostante torni in Scozia raramente, Neil è estremamente legato alle sue origini e alle sue tradizioni. Ci accoglie vestito con un kilt a quadri verdi e grossi e alti calzini, in quello destro ha inserito anche un coltello. La mia missione della serata è riuscire a fargli una foto perché anche quando sarò vecchio e decrepito vorrò ricordarmi di Neil versione Braveheart. Papà fa da mattatore in un gruppo con alcuni pezzi grossi nigeriani, l’ambasciatrice svizzera e l’addetta militare americana, Sally. Sta raccontando dell’episodio del coccodrillo, condendolo un pochino. Sally, con i capelli grigi e corti in stile militare si avvicina e mi dà una pacca sulla spalla.

«Hai proprio la stoffa di un cecchino, piccolo» mi dice. Lei era una tiratrice scelta dei Marines e ha pure partecipato alle Olimpiadi.

Arrivati in prossimità della mezzanotte, Neil mi chiama. Sono il più piccolo e mi affida il compito di accendere i fuochi d’artificio che ha messo in alcuni vasi. Me li indica e mi dà l’accendino. Sento il coro di persone iniziare il conto alla rovescia e mi affretto. Vedo la miccia del primo razzo e a qualche secondo dalla mezzanotte l’accendo. A mezzanotte in punto parte il razzo ed esplode in aria mentre io accendo gli altri in rapida successione. Arrivato all’ultimo mi si rompe la miccia in mano. Mi guardo attorno, sono tutti con il naso all’insù e allegri. Nascondo il razzo dietro al vaso e faccio finta di niente e vado anche io a festeggiare.

Quella notte veniamo svegliati da un rumore infernale. Io, con i rimorsi di coscienza, penso sia Neil con la SAS che si vendica per la miccia rotta, ma i rumori provengono dalla casa vicina. Sento tamburi, cori e le grida disperate di una donna.

Papà esce di casa e sbraita contro David, ordinandogli di andare dai vicini a dirgli di smettere. Sono proprio sotto la mia finestra e vedo un bagliore sopra al filo spinato, come di un falò, un falò molto grande.

David balbetta impaurito, mai visto così, di solito gli piace scherzare e ha sempre una scusa pronta.

«Boss, se vado, quelli ammazzano anche me, non si può interrompere un sacrificio.»

Papà non replica e torna dentro. I tamburi, le urla e le grida della donna continuano ancora a lungo. Mi raggomitolo sotto la coperta, stringo gli occhi e i denti finchè quel ritmo assordante non entra dentro di me e mi addormento, pensando che la Nigeria è molto più complessa di quanto pensassi, e che a volte, il mondo reale e il mondo sotto la cupola si incontrano, forse molto più spesso di quanto pensassi.

Serie: Tre anni in Nigeria


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Young Adult

Discussioni

  1. Confesso che il finale mi ha raggelato. Accostare la pratica dei sacrifici umani alla serena quotidianità fa riflettere su come l’atavico non sia del tutto scomparso in noi. Società tribale o meno.

    1. Lo so, questo episodio, in realtà successo in estate ed una sola volta nell’arco dei tre anni, quantomeno quando eravamo presenti anche noi, lo volevo inserire assolutamente. Questo è un fenomeno che esiste, che si combatte più o meno efficacemente, ma che esiste, al pari della criminalità organizzata nostrana. Nasconderlo sarebbe stato offensivo non solo per me ma anche per tutti i nigeriani e non che lo combattono, e spesso muoiono, al pari delle nostre forze dell’ordine che combattono la mafia. Gli incubi sono passati da un pezzo, ma quelle urla, quando ci penso, sono ancora molto forti, e per fortuna, perchè aiutano sempre a ricordare l’esistenza di queste realtà

  2. Questo capitolo mi ha travolto in vortici di immagini e sensazioni a volte piacevoli, a volte disturbanti. Il ricordo degli attentati e le grida della donna fra gli ultimi. Bellissima invece l’immagine della ragazzina, mi è tanto piaciuta. È vero che l’autore non deve mai svelarsi fino in fondo, ma sembra proprio che quella vita tu l’abbia vissuta…

    1. Ciao Cristiana, sì hai avuto esattamente le reazioni che ho avuto io a scrivere e che volevo trasmettere, suppongo sia una buona cosa quindi! Ogni episodio, soprattutto gli ultimi due, li ho voluti creare con il parallelismo di questi due mondi, distinti fin da subito dal protagonista ma che in realtà si incrociano parecchie volte, non necessariamente in negativo come nell’ultimo episodio. La storia narrativa è immaginata, ma molti episodi sono esattamente così come successi a suo tempo (le gite del precedente capitolo, la festa di Capodanno e il rito in questo) altri episodi sono adattati alla storia (il coccodrillo per esempio). Ho giocato molto tra realtà e immaginazione, mischiando, così come i personaggi, molti veri, veri adattati e immaginati. Amber per esempio è un mix di due ragazzine vere che ho incrociato, una a Lagos e una a Cagliari. Buona domenica!

  3. Sai, io conosco delle ragazze nigeriane che vengono a degli scambi linguistici nella mia città. Magari gli dico che leggo i tuoi racconti sul loro paese!
    P.S.: Ho letto il tuo racconto “La mareggiata” su Librick

  4. Un dolce inizio con qualcosa di buono che fa venire l’ acqolina in bocca.
    Qualcosa di carino, “con i suoi capelli scuri e ondulati”, che sa di buono anche lei, come “una ciliegia affogata nella Nutella con una spruzzata di vaniglia”.
    Qualcosa di triste, da non dimenticare mai, come gli attentati terroristici di quegli anni.
    E infine qualcosa che rompe bruscamente i festeggiamenti natalizi. Paese che vai usanze che trovi. Il mondo e` vario in ogni luogo, in Nigeria come in Italia e ovunque, sono d’ accordo con te. Non tutto puo` essere dolce e profumato. C’est la vie.

    1. Una cosa che rende tutto il mondo paese è che c’è chi può e chi non può. La piaga dei sacrifici umani è qualcosa che esiste ancora oggi, ovunque (basti pensare ai riti satanici da noi). Non è ovviamente una pratica tollerata e si sta cercando di fermare il fenomeno in maniera più o meno energica a seconda del Paese, per esempio in Uganda si sta provando a fare parecchio a riguardo, ma è come con il fenomeno delle spose bambine in Turchia e Afghanistan, ci sono diverse sfumature. E infine c’è chi può fregarsene della legge, il “mafioso” di turno, o più semplicemente, in taluni casi, è più comodo per il governo chiudere un occhio. E questo vale ovunque, come anche da noi.