
Occhio, ginocchio!
Serie: La strana storia dei mediamente organizzati
Riordina Episodi- Episodio 1: L’Erta
- Episodio 2: Come tutto è cominciato
- Episodio 3: Il Monte Musinè
- Episodio 4: In cima
- Episodio 5: Nel regno dei ragni
- Episodio 6: Occhio, ginocchio!
- Episodio 7: Il lago di Laux
- Episodio 8: La leggenda della Bell’Alda
STAGIONE 1
(Immagine di copertina di Fabio Elia)
Il tratto di strada sull’asfalto era molto più agevole e, con il solito sottofondo dell’ abbaiare di cani, siamo saliti per alcune vie che si snodavano tra le case, finchè siamo sbucati di fronte all’ingresso dei giardini del santuario. Di fronte vi era un alberghetto col bar aperto. Veo e Blaco volevano entrare a consumare qualcosa. Dopo aver titubato un attimo, abbiamo optato per insultarli, poichè era tardi e dovevamo muoverci. Si sarebbe perso troppo tempo. Blaco e Veo sono i maestri del perdere tempo. Quest’aspetto di Blaco è stato ampaiamente illustrato. Per ciò che riguarda Veo, lui è come Homer Simpson, si distrae e si dilunga per qualsiasi cosa. Per esempio, una volta eravamo tra sentieri di montagna e lui si è fermato per fotografare una lucertola.
-Cazzo fotografi,Veo! A Torino è pieno di lucertole!-
-Sì, ma vuoi mettere fotografarle in mezzo alla natura!-
Cosa si può rispondere di fronte a cotanta saggezza?
Comunque, si è deciso di procedere. Ma l’entrata dei giardini non coincideva con l’arrivo. C’era ancora una bella salita a serpentina di circa mezz’ora, che, urlando e ansimando, abbiamo superato, sbucando di fronte al santuario e ad una vista magnifica della vallata sottostante. Premetto che io sono quasi del tutto immune al fascino delle arti architettoniche, salvo poi rimanere inebetito di fronte a scorci di case normalissime mentre sono in coda nel traffico, a Torino. Pertanto, non ho praticamente considerato il santuario, mentre ho lungamente ammirato la vista che si stendeva sotto di noi. Poi mi sono accorto della presenza di una cavalletta gigante che tentava di nascondersi alla vista, dietro la ringhiera e ho cercato di fotografarla, con scarsi risultati. Gli altri erano sparsi per l’ampio piazzale antistante il santuario. Veo era intento a fotografare quella che secondo lui era l’ombra del diavolo: un’ombra che, secondo me, con un po’ di fantasia, poteva dare l’idea di assomigliare a una comunissima ombra con delle simil-corna nella parte superiore, nemmeno troppo simmetriche, poichè una era stretta e lunga e l’altra spessa e corta. Ma per lui erano motivo di grande entusiasmo e così l’ho assecondato, poichè quando è contento diventa un po’ meno dispettoso. Ci siamo poi accovacciati in un angolo e abbiamo consumato cibo e vino. Io sono ghiotto di vino, perciò Veo mi dà dell’alcoolizzato, poichè ama creare etichette, false verità, zizzanie. Ad esempio, se vede uno giù di tono, è un depresso; se uno, quando c’è lui, non è mai in compagnia femminile, è un morto di figa; se dove sta lui oggi c’è un temporale, ti dice che domani non verrà da tutt’altra parte perchè “c’è brutto tempo”. E’ una delle persone più suggestionabili e influenzabili che io conosca.
-Hai l’herpes, non bere dalla bottiglia!- Mi ha detto, mentre ormai stavo già bevendo.
-Massì- Ho risposto io -E’ ormai seccato. Non dev’essere più contagioso.- Ma devo essere sincero, se io fossi stato in loro mi sarei incazzato ( ho un pessimo carattere). Non ero troppo sicuro, effettivamente, della tesi appena enunciata. Se ci fosse stato professorino Scilli, lui si che ci avrebbe lluminati al proposito. Comunque loro, borbottando, lo hanno bevuto lo stesso. Il fascino del vino ha vinto sulla paura dell’herpes.
Quando siamo arrivati all’uscita del cancelletto, abbiamo chiesto ad un signore una strada alternativa per tornare a valle. Volevamo evitare quell’inferno di ragni da cui eravamo passati. Il signore ci ha detto, per la nostra gioia, che c’era un sentiero che lui ed altri abitanti di questa borgata avevano da poco pulito. Ce lo spiegava come se il grosso del percorso fosse stato pulito e che quindi, poi, sarebbe rimasto solo un ultimo breve tratto di selva simile a quella dell’andata. Io mi immaginavo un sentiero, nei pressi del quale l’erba fosse rasata, stile prato inglese, tra curvette che sembrassero disegnate, come quelle che si vedono nelle illustrazioni delle fiabe. Insomma, pensavo ad una bella discesa agevole. La realtà, invece, ci ha presentato un chilometro scarso di strada pulita, mentre, man mano che procedevamo, la strada si presentava anche peggiore di quella dell’andata. L’erba era così lunga da arrivare ad altezza d’uomo e si afflosciava verso l’interno del sentiero, se sentiero vogliamo chiamare quella striscetta di terra larga venti centimetri. Pertanto, dovevamo farci spazio, strusciando contro quest’ammasso di erba riversa contro di noi. Secondo me, è lì che Basso si è beccato le zecche. Ed è un miracolo che noialtri non le abbiamo prese. Scostavamo l’erba a manate, imprecando contro l’uomo che ci aveva dato indicazioni così nefaste. Sarebbe stato comunque un altro tormentone delle nostre camminate, quello di avere indicazioni dubbie dagli altri escursionisti. E’ karma. Ad un certo punto, io e Blaco siamo rimasti un po’ indietro e lui stava per esaurire la luce della torcia, poichè non aveva ricaricato la batteria in vista di questa escursione. Il mio primo impulso è stato quello di insultarlo, ma poi ho pensato che fosse una buona occasione per trasformare il mio karma e così mi sono offerto di dargli la mia, mentre io avrei utilizzato l’app della torcia sul cellulare. Dopo avergliela passata, stavo camminando e contemporaneamente stavo cercando l’app sul mio smart phone, quando sono inciampato su un masso che sporgeva dal terreno e ho battuto il ginocchio sulla pietra. Un dolore tremendo; l’osso si dev’essere micro-crepato da qualche parte.
-Tutto a posto?- Mi ha chiesto Blaco.
-Mhhh sì- Gli ho risposto a denti stretti- Nn ti proccpar! Tutt pst!-
Lo avrei insultato, fino alla morte. Cazzo! Se avesse caricato la sua fottuta torcia, non avrei dovuto dargli la mia e non mi sarei distratto per cercare l’app sul cellulare e non sarei caduto, cazzo! Ma tutto ciò era inutile spiegarlo; un punto di vista differente non lo avrebbe compreso come lo stavo vivendo io, dolore al ginocchio compreso. Abbiamo continuato a camminare, ma quel ginocchio mi avrebbe fatto male per tutta l’estate. Come diceva un certo filosofo che non ricordo, nessuna buona azione resterà impunita. Di certo, non doveva essere buddista. Un buddista ti avrebbe detto, in una situazione simile, che, grazie alla buona azione posta, avevi scontato una bella fetta di karma e che il ginocchio era il pegno da pagare per aver scalato sfortuna dal tuo debito karmico. In pratica, è come se un creditore cosmico ti dicesse:
“Ok, dovevi fratturarti la gamba, a breve, ma siccome hai fatto questa buona azione, la risolviamo subito con una bella botta al ginocchio e siamo a posto così; considera questo debito estinto. E’ sempre un piacere fare affari con te. Torna pure a trovarci.”
Perciò, grazie Blaco (bastardo) che mi hai permesso di scalare il mio debito. Grazie, amici che camminate più avanti e non ci aspettate, poichè anche grazie all’apprensione che mi avete messo addosso, ho potuto estinguere il mio debito.
Finiti i ringraziamenti, ho continuato ad avanzare. Il tempo trascorso era superiore a quello dell’andata, pertanto avremmo dovuto quasi esserci, a questo punto, ed invece il sentiero sembrava salire anzichè scendere. Eravamo stanchi, snervati, preoccupati ed incazzati con quel tipo che ci aveva consigliato questa strada. Cercavamo di farci forza l’un l’altro, spiegando quanto le luci della valle sottostante sembrassero avvicinarsi. La preoccupazione era che stava finendo la batteria di alcune torce. Ma dopo un altro quarto d’ora di cammino, finalmente la strada cominciava a discendere. Intravedevamo le prime case, sentendo i cani abbaiare. Le viuzze quiete e silenziose ci aspettavano là sotto. Favie ha voluto fermarsi a fotografare il momento. Ele ha sentito un rumore strano (tanto per cambiare), come se un uccello stesse male e chiedesse aiuto. Ele è animalista e vegetariana ed ha spesso di queste fantasie in cui c’è un animale bisognoso di aiuto; fantasie che si alternano con quelle invece in cui finiremo malissimo, aggrediti o sgozzati da qualcuno. Lasciando Favie alle suo foto ed Ele ai suoi rumori, siamo arrivati fino al punto in cui cominciava l’asfalto e vi ci siamo sdraiati sopra. Stanchi, sfiniti, ma contenti di tornare nel mondo civile. Poco dopo, ci siamo sciacquati presso una fontanella, rimettendo indosso i nostri abiti borghesi. La roba sporca, ben chiusa dentro lo zaino, sarebbe andata dritta dritta in lavatrice, appena entrato in casa, come spiegava un articolo in merito al rischio zecche, per evitare che una o più di esse, che potenzialmente si aggirassero sugli abiti sudici, fuoriuscisse e proliferasse nell’appartamento. Infilatici in macchina, credo di essere crollato, come mi capita spesso nei viaggi di ritorno, quando non guido. Ero in macchina con Favie ed Ele. Prima di chiudere gli occhi, mi sono ricordato che all’andata, mentre sceglievo tra i CD di Favie qualcosa di decente da metter su, avevo visto, fuori dal finestrino, un falco poggiarsi su una balla di fieno. Con questa immagine suggestiva, il sonno veniva a prendermi. Poco più tardi, qualcuno mi svegliava per dirmi che stavamo passando vicino al Ponte del Diavolo e, ironicamente, chiedeva se volevo che ci si fermasse a visitarlo. Erano le tre di notte circa. Devo aver farfugliato qualcosa che comunque è risultato loro comprensibile. Favie ha sorriso ed ha lasciato che mi riaddormentassi.
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