
Parte 2: Le sigarette di Ettore
Serie: Menti straordinarie
- Episodio 1: Parte 4: L’amore di Yutaka
- Episodio 2: Parte 5: La penna di Galois
- Episodio 3: Intuizioni
- Episodio 4: L’abaco di Gerberto
- Episodio 5: L’omino di Escher
- Episodio 6: Il bracciale di Antoine
- Episodio 7: Una notte all’hotel Hilbert
- Episodio 8: Parte 1: Le pillole di Paul
- Episodio 9: Parte 2: Le sigarette di Ettore
- Episodio 10: Parte 3: Lo specchio di Sof’ja
STAGIONE 1
Ettore Majorana (5 agosto 1906 –27 marzo 1938 (morte presunta)) è stato un brillante fisico facente parte della compagine dei ragazzi di via Panisperma, insieme a Fermi, Amaldi e altri grandi fisici. Ci sono molti aneddoti e leggende sulla sua figura, uno dei più caratteristici riporta che, il primo giorno presso la compagine di Fermi, lui chiese al fisico alcune tabelle che aveva stilato nei mesi precedenti, le portò a casa e ritornò il giorno dopo assicurandogli la correttezza dei suoi calcoli.
Nel buio in cui sono avvolto mi sento toccare da una mano. Sempre la stessa gracile mano che mi aveva cercato già tante volte, solo in quella mattina. Afferra il mio corpo tozzo e mi lascia uscire da quella tasca scura. Io ne avevo viste di persone e di posti, dalla fabbrica dove nacqui, al tabacchino dove per giorni sono stato appeso nell’attesa che qualcuno mi prendesse, fino a finire sul tavolo liscio di quello strano uomo, eppure non avevo mai visto così tante persone chiuse in uno spazio così stretto come quello. Tutte uguali, tutte con gli stessi musi, lunghi quanto i loro cappotti, gli occhi spenti e il braccio teso all’insù alla ricerca di un appiglio a cui reggersi per non cascare ogni volta che quel tram prendeva una buca o faceva una curva brusca. Quell’uomo mi aprì con fare quasi sacrale e mi liberò dal peso dell’ultima sigaretta che contenevo, se la portò alla bocca, se l’accese e fece una bella boccata. Si vedeva che era diverso dagli altri, lo si vedeva dagli occhi. Non erano cascanti come quelli degli altri uomini, ma erano vispi, vivaci, sembravano quasi scintillare in mezzo a quel cielo grigio che si vedeva dal finestrino. Appoggiò il mio corpo rosso carminio sulle sue ginocchia e si portò la mano fra i capelli nerissimi appoggiando la testa al finestrino vibrante. Quella mano sembrava non avere pace mentre solcava le sue gote già scavate e lisciava il mento perfettamente sbarbato. A cosa stava pensando? Dall’agitazione le sue ginocchia iniziavano a tremare e io finì a terra, tra la cenere e i mozziconi di sigarette spenti. Se ne accorse, dall’alto mi guardò e piano allungò la mano verso di me, poi, forse inibito da tutta quella sporcizia che avevo intorno, la ritrasse. Era irrequieto, chissà quanto era affollata la sua mente, quanti pensieri si susseguivano in un istante. Il tremolio delle ginocchia portava anche il piede a battere insistentemente vicino a me. Vidi che si frugò di nuovo nelle tasche e ne estrasse una penna, poi, ancora più irrequieto iniziò a cercare qualcos’altro intorno a sé. Fu allora che posò di nuovo gli occhi su di me e decise di estrarmi da tutta quella polvere. Le sue piccole mani gracili con estrema precisione mi strapparono gli angoli per far aprire il mio corpo di carta spessa e mi poggiò sulle sue ginocchia in modo tale da avere la parte bianca rivolta verso di lui. La gente si era accorta che qualcosa in lui era diverso e alcuni lo guardavano di nascosto mentre con cura ritagliava i miei bordi. Alzò lo sguardo, forse per assicurarsi di poter pensare da solo, lontano da tutta quella gente che gli stava intorno, e lo sguardo dei curiosi si abbassò immediatamente. E così iniziò. Con la leggerezza di un violinista che pizzica le corde con l’archetto, lui con la sua penna nera a sfera, inizia a ricoprire il mio corpo di segni. Tante piccole lettere, numeri e simboli si incastravano nel poco spazio bianco che il mio corpo poteva offrirgli. La gente intorno lo guardava, con sufficienza, dall’alto verso il basso e poi guardavano me e mi reputavano solo lo strano refuso di un pazzo. Quegli occhietti nerissimi sembravano non sbattere mai, troppo concentrati a incastrare simboli e formule che nella testa di quell’uomo sembravano prendere vita e chiedere di uscire, ma che, appena usciti, si ritrovavano addosso gli sguardi giudicanti dell’avvocato con la valigia e del professore col sigaro o quelli confusi del ragazzo con la cartella o dell’impiegato con la sigaretta. In quella catarsi solo il fumo leggero della sua ‘macedonia’ riusciva a volte a distrarlo, con la sua cenere che a volte cadeva su di me e a volte su di lui. Appena non riuscì più a scrivere niente su quel poco spazio che aveva, rimise la penna in tasca e iniziò a fissarmi. Muoveva le labbra velocemente e farfugliava qualcosa mentre con gli occhi sfogliava tutti quei calcoli e quelle formule. Sembrava stesse pregando, e quella sua mente era la sua chiesa. A volte con la penna correggeva con un tratto un simbolo che non si leggeva bene, un numerino diverso o una lettera mancante. Poi, per la prima volta in tutti quei minuti, alzò lo sguardo. Tutto il tram smise di fissarlo appena i suoi occhi potevano guardare quelli degli altri che lo guardavano. Poi lo abbassò di nuovo, ma non sui calcoli, bensì sul pavimento grigio e sporco. Gli occhi, da vispi e pieni di vita, iniziarono a brillare e una piccola e innocente lacrima non fece tempo a solcargli le guance che fu spazzata via dal suo lungo indice. Sospirò. Sospirò di nuovo. Il tram si fermò e lui si guardò intorno, magari era la sua fermata. No, non lo era. Il tram ripartì. Io non ero più un semplice pacchetto di sigarette, io ero suo figlio, e giacevo sulle sue gambe guardandolo mentre finiva l’ultimo tiro della suo sigaretta e buttava la cicca dietro il sedile. Era calmo, con la testa appoggiata al finestrino che guardava la strada sparire dietro la coda dell’occhio. Poi istintivamente, come svegliato da un brutto sogno, mi afferrò con forza e sotto quegli occhi accesi da un fuoco innaturale mi accartocciò rendendomi una piccola palla di carta. Mi ritrovai di nuovo tra la sporcizia sotto il sedile, mentre lo vedevo afferrare la sua valigetta e con un’andatura timida dirigersi verso l’uscita del tram. Poco prima di scendere quel gradino rifilò un’ultima occhiata a quello che era rimasto di me. Sorrideva, come se avesse vinto ad un gioco, come se mi avesse battuto. Ma io non ero altro che un pacchetto di sigarette. Lui non aveva battuto me, lui aveva sfidato quello che aveva scritto e aveva vinto. Lui ha vinto. Rimase qualche secondo a guardarmi sorridendo, poi scomparì dietro la porta del tram. Così rimasi lì, ad ingiallire tra le scarpe sporche dei ragazzi che mi calciavano e quelle in cuoio di chi invece mi evitava. Alla fine della giornata arrivò un uomo. Sembrava anziano. Aveva la pelle rugosa e spessa e le borse sotto gli occhi che quasi non arrivavano sulle guance. Il tram era fermo e non c’era nessun’altro a parte lui. Il mio corpo non era più perfettamente appallottolato e forse alcune grinze riuscivano a far sbirciare ai curiosi quello che avevo scritto addosso. Proprio per questo la mano grossa e callosa di quell’uomo mi afferrò e mi aprì di fronte a quello sguardo stanco. La prima smorfia che vidi sulla sua faccia fu un’espressione confusa che poi fece contrarre le sue sottili e smorte labbra in un sorrisetto. Sembrava quasi divertito dal non starci capendo niente. Mi studiò ancora per qualche secondo, poi mi gettò in una grande busta nera.
Leonardo Sciascia nel suo libro ‘La scomparsa di Majorana’ lo descrive come un personaggio sofferente del suo stesso talento, il cui istinto di sopravvivenza lo porta a cestinare grandi scoperte. Addirittura Sciascia racconta di come lui sia arrivato a delineare la struttura del nucleo dell’atomo prima di Heisenberg, ma che poi avesse abbandonato la sua idea ritenendola spazzatura. A soli 32 anni decide di scomparire, forse a causa della pressione dovuta all’ottenimento di una cattedra all’università di Napoli, forse a causa della sua sofferenza dovuta al suo essere. Solo e soltanto la sua scomparsa portarono Fermi, con cui aveva un rapporto difficile, a scrivere una lettera al tanto odiato Mussolini, dove pregava di dispiegare più forze possibili per il suo ritrovamento.
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- Episodio 10: Parte 3: Lo specchio di Sof’ja
Ciao Moreno! Ben fatto anche con questo episodio 🙂 È avvincente poter assistere a uno sprazzo di vita quotidiana di tali persone. Inoltre così si possono incontrare personaggi che non sono stati inclusi nei libri di scuola o di cui si è parlato poco. Ribadisco che hai avuto una bella idea.
Alla prossima!
Grazie Linda! Purtroppo è proprio un peccato che la vita di personaggi come questi rimanga spesso sconosciuta 🙁