Pausa pranzo 

Serie: Clara e Bianca


Al centro del corridoio, la lancetta dei minuti dell’orologio, giallo e ovale, di quel taccagno del capo, segna le tredici spaccate: pausa pranzo. Clara raccatta le ultime cose ancora sparse qua e là sulla scrivania: mette gli occhiali da sole violetti sulla testa, infila il cellulare nella borsa e lo Chanel rigorosamente rosso, con cui aveva ripassato le labbra dopo la sigaretta di metà mattina. Raccoglie alla meglio la mezza misura di capelli castani recentemente tagliati, mano di nuovo alla borsa e con chiavi della macchina fra le dita esce dall’ufficio. La pausa pranzo di oggi però è un po’ più lunga. La sua testa in ebollizione ricorda di botto, mentre cammina tacchettando in modo sostenuto sul marciapiede, che il suo pomeriggio è libero, per via della rotazione con gli altri pallidi smista carte legali, per di più, che i bambini rimangono a scuola fino alle diciassette e che lui, fortunatamente, non torna a casa per pranzo. Questa combinazione di elementi, in un’ alchimia quasi astrale, rallentano lo scorrere del tempo, rubandole una risata un po’ isterica con cui scarica lo stress settimanale e le concede il lusso di camminare con portamento fino alla sua cabriolet, di sistemare come le piace i capelli, di accendere una sigaretta e continuarla a fumare dentro l’auto. Un tiro e poi un altro, assaporandola poco a poco, fanno scivolare via ancora lo stress; un respiro profondo la rilassa, porta giù gli occhiali dalla testa al naso e accende ora il motore. Per arrivare a casa ci vogliono circa una decina di minuti, un tempo in cui la mente viaggia sulla strada e pensa a fare i suoi mille giri in ogni direzione. Il fatto di non dover pensare ad occuparsi di cose o di persone per un pomeriggio intero è tanto piacevole quanto inaspettatamente disarmante. È da tempo che non ritaglia uno spazio tutto suo nelle monotone settimane, in cui sedersi di fronte a sé stessa, guardarsi liberamente in un aspetto meno curato e raccontarsi magari una storia intrigante. Sa benissimo che andare a bere la sera con amiche di vecchia data, in cui si riciclano i soliti pettegolezzi e si parla di qualche libro, o andare a cena fuori, nel sacro rito borghese, con Mario a parlare del mutuo o di come organizzare le ferie, stanno diventando l’ultimo stadio della sua morte spirituale. Per non parlare di quel lavoro senza linfa da burocrate che è costretta a fare, aspettando da tre anni ancora di curare personalmente una causa come una vera avvocata. Le manca il suo gruppo di teatro, lasciato non appena nacque il primo figlio, e quei fine settimana di fuga che trascorreva in qualche bella città europea in compagnia del migliore amico di allora, Alessandro, l’unico che la capiva affondo e con cui si crepava di gusto dalla risate. Quell’amico che è dall’altra parte dell’ Atlantico, nei suoi impegni da attore professionista di buon successo e che, per come va la vita, non vede da sei anni e non sente da chissà quanti mesi. Pensa a quanto le manchi terribilmente quel ragazzo che non è cresciuto mai e che forse richiamerà presto, magari appena sarà a casa. Con le mani al volante e la mente tra noia e desideri, è ormai nei paraggi di casa; accosta vicino al supermercato del quartiere, approfittandone per comprare qualcosa per cena. Gira svogliatamente fra reparti e scaffali con fare assente, come chi guarda le strade di una mappa senza sapere veramente dove andare. Il carrello semivuoto da un quarto d’ora mostra la sua inerzia a ritrovarsi quasi quotidianamente in quel luogo e tutta la sua apatica incertezza se scegliere il biologico o il basso prezzo. Intanto, dalla parte opposta di un reparto si avvicina una ragazza con occhi di fuoco e passo svelto che, facendosi slalom, come in una partita di basket, tra l’umanità assorta che riflette la propria indecisione nei vasetti di funghi o chissà cosa, si scontra con Clara portando tutta la sua giovane irruenza.

Serie: Clara e Bianca


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