Piacere, Emily Thompson
Serie: Vacanza estiva
- Episodio 1: Arrivo a New York
- Episodio 2: Da New York a Philadelphia
- Episodio 3: Viaggio nell’Atlantico, 1865
- Episodio 4: L’arrivo
- Episodio 5: Piacere, Emily Thompson
STAGIONE 1
Emily emerse dall’ombra dell’entrata come un personaggio sfuggito a un romanzo di Edith Wharton, tradotta in carne e ossa in un mondo ancora impreparato al suo splendore. I capelli corvini, intrecciati con fili d’argento che ricordavano le cicatrici della guerra sui cancelli della tenuta, incorniciavano un volto scolpito con la precisione di un cameo vittoriano. Gli occhi color ambra—due fiamme sopite sotto una coltre di convenzioni—scrutarono Theodore con intensità velata.
Theodore rimase al fianco di John, osservando George che porgeva il mazzo di fiori alla giovane.
«La timidezza di George ha la grazia maldestra di un dipinto di Millais» sussurrò John, aggiustandosi il colletto. «Ma temo che mia sorella lo trasformerà in un personaggio da farsa shakespeariana.»
Theodore annuì, gli occhi fissi sulle colonne della tenuta, dove l’intonaco era stato da poco sistemato. «Tra due giorni, quel ragazzo trasformerà i suoi sospiri in sonetti interminabili» rispose, notando come la luce del tramonto accendesse i vetri rotti della serra, residuo di un incendio durante la guerra.
«Dovremmo portarlo in città» propose John, ricordando le serate passate nei circoli letterari, dove George declamava poesie a fanciulle che ridevano dietro i ventagli. «Fargli incontrare altre giovani… distrarlo.»
Theodore sollevò un sopracciglio, teatrale. «Dovremmo fare nuovamente da spalle?»
John soffocò una risata. «Siamo dei santi, Theo. Martiri dell’amicizia.»
Quando John presentò Theodore, Emily tese il guanto con una lentezza calcolata. Theodore si inchinò esagerando il gesto, il cilindro che sfiorò il pavimento in un inchino degno di un attore del Globe Theatre. «Il piacere è mio, Miss Thompson» disse, cogliendo nel luccichio dei suoi occhi l’eco delle annotazioni a margine che aveva lasciato nei libri—un dialogo iniziato anni prima.
«Finalmente incontro i due amici di cui mio fratello tace il nome nei salotti» esordì Emily, la voce un accordo minore su un pianoforte scordato. «Curioso, come l’Inghilterra forgia caratteri… singolari.»
George arrossì. Theodore posò una mano sulla spalla di John: «Dicono che ci si circondi di specchi viventi. Guardando noi due, caro John, devi essere Narciso in persona.»
John rise, il suono secco come uno schiocco di frusta. «Modi obliqui per lodare te stesso, Theo.»
«Altruista, io?» replicò Theodore. «Condivido solo i miei vizi. Eccoli: cinismo, arroganza, e una passione per le menti in fermento.»
Emily ridacchiò, il suono che fece tremare una teiera cinese esposta nella veranda. «Dunque è vero che voi inglesi coltivate l’eccentricità come fosse un’arte.»
John si intromise. «Sorella, non alimentare questo rogo. La sua vanità potrebbe riscaldare l’intero emisfero.»
Emily si volse verso George, che impallidì sotto il suo sguardo. «E voi, Mr. Quincy, siete scozzese, corretto?»
George diventò color cremisi. «Nato a Boston, ma… ma cresciuto tra le Highlands.» Le parole si incagliarono nella gola, tradite dal cuore.
Emily inclinò il capo, studiandolo come un esemplare raro. «Com’è la Scozia? Dicono sia una terra di fantasmi e poeti.»
Theodore intervenne prima che George svanisse in una nuvola d’angoscia: «Birra torbida, vento che morde le ossa, e un dialetto che neppure Dio decifrerebbe. Il paradiso degli ubriachi e dei mistici.»
«Sembrate avere una risposta sempre pronta, Mr. Evans» osservò Emily, lasciando trapelare un barlume di sfida tra le ciglia abbassate.
«Classificatelo pure come il mio pregio più fastidioso» ribatté lui, sfiorandosi il panciotto in un inchino caricaturale.
«Dalla balconata si ammira un panorama degno di Turner» annunciò lei, la mano che indicava colline addomesticate a forza di siepi.
Mentre i fratelli Thompson avanzavano, George era rimasto indietro, impalato in un alone di luce che lo trasformava in una statua di cera—un San Sebastiano trafitto non da frecce, ma da parole mai pronunciate. Theodore tornò sui suoi passi, le scarpe che scricchiolarono come ossa sotto il tappeto del mondo.
«Cosa ti consuma, Georgie? » sibilò Theodore, affondando le dita nella spalla dell’amico.
«Le parole… si sono solidificate in piombo nelle vene» rantolò George, la fronte lucida di un sudore da condannato.
Theodore gli diede un colpo sulla guancia, un suono secco. «George, caro, hai la stessa nenia per ogni donna che incrocia il tuo sesto senso. Sei sobrio, ecco il problema. Beviti del whisky.»
«No, questa volta è diverso» insisté George, gli occhi fissi in quelli di Theodore. «Ho paura.»
Theodore sospirò, estraendo l’orologio da taschino per guardare l’ora. «Paura? » domandò ironico. «Si deve avere paura solo di una cosa e non è certo questa.» Lo spinse verso la veranda, dove Emily e John preparavano tè in porcellane Wedgwood. «Cammina» ordinò Theodore, la voce un bisturi che sezionava l’aria. «E smetti di fingere. Le donne odorano la finzione come avvoltoi la carogna.»
George avanzò goffo, un orso ammaestrato i cui artigli erano stati sostituiti da guanti di cotone. Theodore lo sistemò accanto a Emily con la precisione di un entomologo che appunta una farfalla rara. «Parlale di Boston» gli sussurrò, soffiandogli nella nuca.
Emily alzò gli occhi, lasciando danzare un sorriso appena accennato. «Mr. Quincy, sostenete di essere nato a Boston. Ci fate mai ritorno?»
George aprì la bocca, ma furono i tuoni a rispondere—un coro di dei annoiati che ridevano del dramma in atto.
Theodore e John, gemelli nella postura ma antagonisti nell’anima, osservavano la scena sorseggiando tè Darjeeling. Era sempre lo stesso copione: Theodore in veste di burattinaio, George come marionetta romantica, e John… John era lo spettatore perpetuo, costretto a equilibrare il peso del lignaggio con il vuoto di ciò che avrebbe potuto essere.
«L’uragano è servito» borbottò John, osservando nubi violacee divorare l’orizzonte.
Theodore incrociò le gambe, gli angoli della bocca inarcati. «Finalmente un clima all’altezza del mio umore.»
«Sorprendente come il tuo arrivo riesca a corrompere persino il cielo» replicò John, accarezzando il bordo della tazza con un dito.
Serie: Vacanza estiva
- Episodio 1: Arrivo a New York
- Episodio 2: Da New York a Philadelphia
- Episodio 3: Viaggio nell’Atlantico, 1865
- Episodio 4: L’arrivo
- Episodio 5: Piacere, Emily Thompson
“George era rimasto indietro, impalato in un alone di luce che lo trasformava in una statua di cera—un San Sebastiano trafitto non da frecce, ma da parole mai pronunciate.”
😂 😂 😂 Hai reso l’ idea
“Era sempre lo stesso copione: Theodore in veste di burattinaio, George come marionetta romantica, e John… John era lo spettatore perpetuo, costretto a equilibrare il peso del lignaggio con il vuoto di ciò che avrebbe potuto essere.”
Questo passaggio è incredibile. Condivido l’opinione di Alberto: sintetizza il carattere dei tre personaggi 👏
Sempre cordiale e gentile. Grazie mille.
“Era sempre lo stesso copione: Theodore in veste di burattinaio, George come marionetta romantica, e John… John era lo spettatore perpetuo, costretto a equilibrare il peso del lignaggio con il vuoto di ciò che avrebbe potuto essere.”
Ho trovato molto interessante questo modo di caratterizzare i personaggi. Cioè, il fatto di fissare in maniera ancora più incisiva aspetti che il lettore aveva già intuito nel corso della storia e della lettura! 👏 👏 👏
Grazie. Nella mia testa ho sempre avuto il desiderio che il lettore si sentisse parte attiva, che sviluppasse un suo pensiero.
“«Birra torbida, vento che morde le ossa, e un dialetto che neppure Dio decifrerebbe. Il paradiso degli ubriachi e dei mistici.»”
Modo fighissimo di descrivere un Paese e allo stesso tempo di raccontarlo!!!👏 👏 👏
Gentilissimo. Non nego che avevo paura di annegare negli stereotipi.