PIOGGIA

La macchina avanzava con difficoltà: il motore perdeva colpi, a volte si spegneva del tutto. Poi ripartiva, sputando una nuvola grigiastra.

“Credo che sia entrata un po’ di acqua nel serbatoio” disse Leo, “maledetta pioggia.”

La strada era mezza allagata; le gomme sollevavano una fanghiglia scura, piena di detriti e foglie marce. A lato dei marciapiedi non si distinguevano più i tombini, ricoperti e intasati di rifiuti.

Pioveva da due settimane. Il cielo era perennemente plumbeo, solcato di tanto in tanto da lampi; la temperatura era bassa, di giorno e di notte.

“Sto arrivando, cara” continuò il monologo Leo “almeno si potesse telefonare. Maledetta nube tossica.”

Schivò con abilità un camion fermo in mezzo alla carreggiata. Guardò poi nello specchietto: sembrava non esserci nessuno in cabina. Meno male, pensò tra sé.

Gli mancavano ancora una decina di chilometri per arrivare. Il cruscotto era spento, la strumentazione non funzionava, non sapeva neanche quanta benzina gli rimaneva nel serbatoio, ma aveva un paio di taniche piene nel baule.

Dentro l’abitacolo c’era caldo, i vetri si appannavano di continuo: li aveva sigillati con del silicone, dopo qualche giorno dall’attacco nucleare. La vita deve continuare, si era detto, troveremo qualche via d’uscita. Ricostruiremo tutto. Ci vorrà del tempo, ma ce la faremo.

“Arrivo, moglie” e poi, alzando la voce, “maledetti russi.”

La macchina sbandò di lato: stava andando troppo veloce. Si guardò intorno; con il buio non era facile orientarsi, ma capiva di essere arrivato nel suo quartiere. Rallentò, allora, e cercò di respirare con più calma. Era tutto sudato, sotto i vestiti.

Finalmente riconobbe la sua villetta; il basculante del garage era sollevato: il telecomando non funzionava più.

Per sicurezza si infilò la maschera, uscì nel locale allagato e scaricò dal sedile posteriore uno scatolone pieno di lattine e barattoli.

Salì con un po’ di fatica al piano superiore. La moglie era davanti al televisore; il camino era acceso e dell’acqua bolliva dentro ad una grande pentola di acciaio.

“Sono arrivato, cara; che notizie ci sono?”

“Ho sentito la macchina, sei in ritardo. Cominciavo a stare in ansia.”

“Le strade sono piene di acqua, e poi senza fari non è facile guidare quando comincia la sera.”

La donna si girò verso di lui, indossava un pesante giubbotto da montagna. Gli tese la mano. Leo si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte.

“Dicono che la nube ha raggiunto anche l’Australia; chissà se è vero.”

Il marito si tolse gli stivaloni di gomma e si massaggiò i piedi indolenziti.

“E poi gli esperti sostengono che la contaminazione sparirà tra un paio di settimane” continuò la moglie.

L’uomo si avvicinò al fuoco per scaldarsi le mani e disse: “sono gli stessi che avevano previsto che sarebbero bastati pochi giorni. Maledetti esperti.”

La moglie tentò un sorriso.

“Hai trovato le batterie per il televisore? Queste ormai si stanno esaurendo.”

“No. Domani torno al magazzino. Per fortuna è poco in vista, fuori non ci sono insegne né indicazioni. Ormai è rimasta merce soltanto sugli scaffali più alti, bisogna arrampicarsi.”

Poi provò a fare una battuta spiritosa.

“Guardala meno, ci stanno imbrogliando da settimane. Almeno passassero un po’ di musica…”

La donna non riuscì a capire se stava scherzando.

“Hai ragione, caro, ma mi fa compagnia quando tu non ci sei.”

Leo le rispose con lo sguardo, un poco rammaricato.

La parabola era fuori uso; si riusciva a ricevere una sola emittente, ormai, e trasmetteva ininterrottamente notiziari. Ma in fondo era l’unico contatto con il mondo esterno. E lui lo sapeva.

Andò in cucina a preparare la cena. C’era un calendario colorato a fianco del frigorifero; sollevò il mese corrente, la seconda settimana di dicembre era segnata con un cerchio di pennarello rosso, e vicino il disegno di un piccolo cuore.

Chissà come sarà il mondo tra un mese, pensò.

Ritornò in sala, si avvicinò alla moglie e le accarezzò dolcemente la pancia gonfia.

“Mangio qualcosa e poi vado subito a letto” le disse “sono molto stanco.”

“Va bene, caro. Ho trovato in soffitta un vecchio piumino, l’ho messo sopra la coperta: avremo meno freddo, stanotte.”

Si guardarono, cercando entrambi un sorriso che usciva a fatica.

Sul tetto la pioggia batteva incessante, mentre finiva un altro giorno.

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Discussioni

  1. Ciao. Hai portato la quotidianità post nucleare, ma si adatta benissimo anche a un’irradiazione solare (surriscaldamento globale) su una Terra privata della sua protezione di ozono. Leggendolo non ho potuto far altro che riflettere su come difenderci da tutto questo. I due protagonisti sono soli, profondamente uniti e in attesa di un figlio e questo ci porta a guardare oltre, nonostante tutto. A volte la miglior difesa è questo, avere qualcuno da continuare ad amare. E grazie, per averci fatto riflettere. Ben scritto.

  2. Concordo con Giancarlo sul fatto che questo tuo racconto sia veramente ben scritto. Si scivola verso la fine senza intoppi e piacevolmente. Hai toccato un tema particolarmente delicato e, credo, molto sentito. Sono decenni che questa paura aleggia nell’aria. Tuttavia, hai puntato sulla speranza che forse è ciò di cui abbiamo bisogno. Bravo

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