
Positiva
La colazione era qualcosa di sacro nella sua famiglia. Suo padre diceva che era la parte più importante della giornata, quella in cui erano tutti e tre a tavola freschi e riposati dopo una notte di sonno. A pranzo non sempre era possibile vedersi e la sera solitamente cāera sempre una materia da ripetere per lāindomani oppure una videochiamata da parte della sua migliore amica.
Quella mattina non era diversa dalle altre, sua madre stava versando il caffĆØ, suo padre aveva in mano lāEspresso per leggere i primi articoli. Eppure lei, fin dal primo passo che mosse in cucina, comprese che la loro tranquillitĆ si sarebbe presto interrotta. E la colpa sarebbe stata solo sua.
Si sedette dopo aver salutato entrambi e si versò, come di consuetudine, una generosa dose di latte nella tazza. Guardò lāora mentre pensava che sua madre aveva lezione alla prima ora alle scuole medie del loro paese e che suo padre aveva giĆ detto che non sarebbe rincasato per pranzo. Nulla di strano, solitamente si sarebbe immessa nel traffico mattutino col suo motorino guidando verso il liceo che frequentava. Ma non quella mattina. Aveva una cosa importante da dire. Poggiò entrambi i gomiti sul tavolo e si schiarƬ la voce per richiamare lāattenzione degli adulti. I suoi genitori si fermarono e la osservarono.
-Voglio incontrarla- disse semplicemente.
-Mer- iniziò lāuomo con calma āNon devi vederlo come un obbligo perchĆ© non lo ĆØ.
-Infatti- fece eco Emilia sedendosi di fronte alla figlia.
La ragazza scosse il capo e sorrise a entrambi. Li amava più di qualunque altra cosa.
-Voglio farlo, davvero.
Sua madre le prese una mano e gliela strinse sentendosi orgogliosa della figlia che aveva e che stava diventando una donna, anche se non riuscƬ a cancellare del tutto quel senso di disagio che provava da quando, una settimana prima, era arrivata quella lettera. Era indirizzata a sua figlia, lāaveva aperta e letta con loro per poi riporla nellāultimo cassetto della scrivania. Ma, anche se nessuno ne aveva parlato apertamente, il contenuto era rimasto stampato nelle loro menti cosƬ tanto che Meredith preferƬ non andare a scuola per tre giorni di fila. Poi la routine era tornata prepotente e sembrava quasi che tutto fosse stato solo una nuvola nera passeggera. Per la ragazza, però, non era stato cosƬ e adesso, finalmente, aveva espresso il suo parere. Non era stato semplice, aveva trascorso due notti completamente insonni mentre rifletteva sulla scelta da fare e alla fine era arrivata alla conclusione di voler procedere a un incontro. Non sapeva bene per chi lo stesse facendo, ma una parte di sĆ© desiderava vederla.
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Lāincontro era stato fissato in un piccolo e grazioso bar della periferia, poco frequentato proprio per la sua posizione. Faceva caldo quel pomeriggio. Meredith uscƬ di casa unāora prima dellāappuntamento e rimase oltre quaranta minuti sul suo motorino spento a osservare i passanti e a mangiarsi le unghie nervosamente. Un paio di volte pensò di lasciar perdere e tornare a casa, nessuno gliene avrebbe fatto una colpa, e altrettante volte aveva fatto dei respiri profondi. Lo stava facendo solo per se stessa. I suoi genitori si erano offerti di accompagnarla e di darle tutto il supporto di cui aveva bisogno, ma lei aveva rifiutato con quella gentilezza che la contraddistingueva. Era una cosa che doveva fare da sola. Si diresse velocemente verso lāentrata quando si accorse che, nonostante fosse in anticipo, ora era in ritardo.
Positiva, pensò varcando la soglia.
Era una cosa che sua madre le ripeteva in continuazione con un sorriso.
Si guardò intorno e individuò subito lāunico tavolino al quale era seduta una sola persona. Si avvicinò a grandi passi dissimulando in questo modo lāansia che provava in quel momento e le gote le si colorarono di rosso quando la donna alzò gli occhi su di lei. Anche lāaltra pareva nervosa e in preda ai dubbi.
-Cā¦ciao- mormorò la donna con voce sottile āIo⦠non⦠non credevo che saresti venuta.
Meredith inclinò leggermente la testa e i boccoli chiari le oscillarono davanti al viso.
-Avevo detto che sarei venuta. Non mi rimangio mai la parola.
-Certo, io non intendevo cheā¦
-Posso?- la interruppe la ragazza indicando la sedia vuota.
Lāaltra si limitò ad annuire temendo di balbettare ancora. Era tesa come una corda di violino, si capiva da come teneva i palmi delle mani sulle gambe e dagli occhi che guizzavano da una parte allāaltra sulla figura della sedicenne. Un cameriere giovane e carino arrivò per prendere le loro ordinazioni, dopodichĆ© furono lasciate nuovamente sole.
-Ioā¦- iniziò la donna -ā¦volevo ringraziarti per essere qui. Mi⦠mi rendo conto della situazione e che tu non⦠però⦠eccoā¦- si mise nervosamente una ciocca di capelli dietro lāorecchio -ā¦la mia analista dice che incontrarti mi⦠mi avrebbe fatto bene.
Meredith la fissò senza dire niente. Non sapeva nemmeno cosa si dicesse in una occasione simile. La persona che le stava di fronte aveva trentatrĆ© anni, era magrissima, forse troppo, con un paio di occhi azzurri che potevano tranquillamente parlare da soli. Ma la pelle sul suo corpo era raggrinzita troppo precocemente, appariva molto più grande della sua etĆ . Indossava dei vestiti semplici e un poā troppo abbondanti, come se volesse nascondere le sue forme. Per qualche secondo entrambe non parlarono, la tensione fu smorzata dallāarrivo della coca-cola e del caffĆØ macchiato. La donna verso lo zucchero e iniziò a girare nervosamente.
-Forse⦠non ricordi comeā¦.
-So perfettamente come ti chiami e chi sei, Marisol.
Non aveva mai pronunciato il suo nome a voce alta, farlo le fece sentire una strana sensazione allāaltezza dello stomaco. Marisol annuƬ a disagio e poi la guardò ancora.
-Hai gli occhi di mio padre, sai?
Ovviamente Meredith non poteva saperlo, per cui si limitò a posare un gomito sul tavolino per invogliarla a continuare.
-Sei⦠sei molto bella. Un poā ci somigliamo, non trovi? Ć passato cosƬ tanto tempo dallāultima volta cheā¦.
-Dieci anni, per la precisione- puntualizzò lāadolescente.
-Già , dieci anni. Ma io non sono più la persona che ricordi. Sono stata in cura e finalmente sono fuori da quel maledetto tunnel. Ho persino un lavoro adesso. Sono in cura da una psicologa e le ho parlato spesso di te.
-Per questo hai voluto incontrarmi? PerchĆ© te lāha detto la tua strizzacervelli?
Marisol inghiottì a vuoto un paio di volte e la mano le tremò mentre posava la tazzina sul piattino.
-Lei ĆØ convita che interagire con te possa solo farmi bene. Meredithā¦- fece una pausa per guardarla ancora -ā¦ti piace il tuo nome? Quando avevo la tua etĆ era la protagonista di una serie tv molto famosa, forse tu nemmeno la conosci⦠io non perdevo mai nemmeno una puntataā¦
Non sapeva nemmeno lei cosa dirle, era la prima volta dopo tutti quegli anni che si vedevano ed era più a disagio di quanto si aspettasse.
-Ed ĆØ sempre alla mia etĆ che hai iniziato a drogarti?
Quella domanda cosƬ diretta equivalse a un pugno in pieno viso. Era cosciente che avrebbero toccato quel punto, solo non cosƬ presto. AnnuƬ cambiando leggermente posizione.
-SƬ- ammise in un soffio āAvevo sedici anni. Non⦠non mi rendevo conto di quanto stessi sbagliando. Ero sola e la droga non mi faceva avvertire la solitudine. Avevo giĆ provato a smettere quando scoprii di aspettarti. Forse non te lo ricordi, ma per un periodo siamo stateā¦- aveva quasi paura di dirlo -ā¦felici. Eri una bambina bellissima.
-FinchƩ non ci sei ricaduta.
-Meredithā¦- provò a dire Marisol mentre sentiva la situazione sfuggirle di mano āI soldi non bastavano mai e lavoro non ce nāera, almeno non per me. La droga era cosƬ semplice, cosƬ a portata di manoā¦.
La sedicenne la guardò negli occhi.
-Ed era più importante di me? Più importante di tua figlia?
-Io non volevo dirā¦.
-Marisol- la interruppe Meredith. Non riusciva più a tenersi tutto dentro āSono voluta venire a questo incontro credendo che fossi diversa da come ti ricordavo, che non fossi il mostro che per anni ha invaso i miei sogni. Ma mi sbagliavo. Non mi hai mai chiesto come stessi, se fossi felice di essere qui, di rivederti. Di come avessi trascorso questi dieci anni lontana da te. Ci avevo sperato.
-So che sei stata adottataā¦
-E i miei genitori sono persone fantastiche, che hanno amato la figlia di una drogata dal primo attimo in cui mi videro, che non hanno esitato ad aiutarmi. Qui, invece, vedo solo una donna egoista che per il suo bene ha chiesto di incontrarmi. Non per me, per te. E lo so che la tua vita non ĆØ stata semplice, ma non lo ĆØ stata nemmeno la mia! E non lo sarĆ mai. Grazie a te, io sono sieropositiva.
Tra le due cadde il silenzio; poi Meredith si alzò estraendo dalla tasca del jeans dieci euro. Li posò sul tavolino.
-A⦠aspetta Merā¦
-DƬ pure alla tua analista di trovare unāaltra strada per la tua guarigione. Io non sarò il mezzo della tua salvezza.
UscƬ senza voltarsi mai indietro.
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