
“Post fata resurgo”
Tutto era pronto. I legionari fermi come statue, scudo nella sinistra e pilum nella destra piantato a terra, fissavano dal molo l’ampia entrata del porto di Cesarea Marittima. Le insegne imperiali e quelle della Decima Legione ’Fretensis’ danzavano al vento, elmi e corazze brillavano al sole. L’esareme di Tiberio, salpata alcuni giorni prima dal porto di Miseno, era ormai a pochi stadi dall’attracco, mentre il prefetto Ponzio Pilato non smetteva di ripetersi in testa quel motto che lo ossessionava.
Post fata resurgo… dopo la morte risorgo.
Si toccava la lorica con le mani sudate, girava la testa a desta e a sinistra come a cercare dettagli sbagliati, si aggiustava il mantello bianco sulle spalle, infine tornava con lo sguardo all’esareme e continuava a ripetere quelle tre parole.
Che esprimevano un concetto semplice quanto affascinante, perfino eroico, rifletteva il prefetto, peccato solo che si trattasse di un evento impossibile, almeno per un essere vivente.
Eppure…
Eppure questo era esattamente ciò che credevano i seguaci del Nazareno, Yeshua si chiamava, che per suo ordine era stato crocifisso pochi giorni prima. Da quel momento la situazione, peraltro già tesa nella provincia, si era ulteriormente aggravata. Quella folla cenciosa e puzzolente che lui disprezzava con tutto il cuore aveva scelto il bandito zelota Barabba ed era stata ascoltata, ma non era servito a niente. E adesso ci mancava Tiberio. Che lo avrebbe fissato con quei suoi occhietti neri, da rapace, e che gli avrebbe fatto un mucchio di domande, perché di sicuro le sue spie lo avevano tenuto informato. Tiberio che non poteva essere deluso né ingannato, visto che ne andava della sua carriera politica, forse pure della sua stessa vita. Però c’era anche dell’altro, lo sapeva, e questo accresceva il suo evidente nervosismo. Il prefetto si fermò di colpo, osservò il tempio di Augusto che svettava, maestoso e lontano, dietro la banchina opposta del porto sovrastandola, quindi ordinò a uno schiavo di portargli un’altra coppa di vino.
Dell’altro… già. Parecchio. Molto. Altro.
Prima la storia delle guarigioni miracolose che non poteva essere del tutto falsa, poiché c’era tanta gente che la confermava. Ciechi che avevano ritrovato la vista, lebbrosi guariti col solo tocco delle mani, storpi che camminavano… troppa gente perché non ci fosse del vero. Poi sua moglie Claudia che era rimasta talmente impressionata dal quel Nazareno che parlava bene il latino, al punto da implorarlo di risparmiargli la vita. Non che lui non ci avesse provato, ma Caifa e il Sinedrio erano stati irremovibili.
Almeno lei, però, non aveva perso il senno come invece era accaduto a Longino e a Sesto. Longino, uno dei suoi centurioni più fidati, aveva crocifisso Yeshua insieme a due ladri e lo aveva finito con il pilum. In seguito tuttavia, aveva mostrato gravi segni di squilibrio. Sesto invece, il suo miglior tribuno, era stato incaricato proprio da lui di ritrovare il corpo dell’ebreo dopo che era stato trafugato dal sepolcro e di scovare e arrestare i suoi seguaci, ma era sparito nel nulla. Le ultime notizie che lo riguardavano si perdevano tra le impervie e pericolose montagne dell’Alta Galilea, e lo vedevano incredibilmente insieme – forse per colpa di qualche strano sortilegio – proprio a coloro che avrebbe piuttosto dovuto punire per il furto del cadavere. Stavano ritornando a Gerusalemme per fare nuovi proseliti, questo si diceva in giro, e pareva addirittura che Yeshua fosse con loro.
Post fata resurgo… il figlio di un falegname… possibile? Possibile?
Ma lui aveva mandato il tribuno Gaio al comando di cento uomini per fermarli, ed era sicuro che quell’ispanico duro più della roccia e terribilmente spietato non lo avrebbe deluso. Avrebbe scoperto l’imbroglio, messo in catene i responsabili e riportato indietro Sesto. Vivo o morto. Anche se morto sarebbe stato meno imbarazzante.
A questo punto, tuttavia, era più che evidente il suo ritardo, pensò con rabbia Pilato, osservando le triremi di scorta della nave imperiale sempre più vicine. Arrivò il vino che il prefetto si scolò tutto d’un fiato anche se faceva già abbastanza caldo.
— Notizie di Gaio?
— No, prefetto — rispose lo schiavo, riprendendosi la coppa vuota.
Pilato lo congedò con un gesto secco e tornò a concentrarsi sui suoi uomini. Tutto era pronto e tutto doveva essere perfetto, si ribadì, strizzandosi il naso. Tiberio veniva accolto coi massimi onori e doveva avere la netta sensazione, nonostante i suoi sospetti, che la provincia della Giudea fosse sotto il pieno e totale controllo di Roma e che non ci fossero problemi troppo gravi da affrontare. Niente era stato tralasciato – almeno per quanto dipendeva dal suo potere – Barabba sconfitto in battaglia, riacciuffato e giustiziato, i suoi amici e sostenitori in prigione e prossimi a seguirlo. Perciò il suo successo di fronte all’uomo più potente del mondo era garantito, doveva smetterla di torturarsi. Lui sì che era un dio, si ritrovò a pensare il prefetto, un dio mortale certo, ma un dio. Il Nazareno invece, che si era sempre proclamato ’figlio dell’unico e vero Dio Jhavè’, da molti considerato proprio quel Messia tanto atteso che avrebbe liberato Israele, era morto sul Golgota come un criminale comune per mezzo di un supplizio infamante. Con tanto di corona di spine in testa, così gli avevano riferito, e con l’iscrizione beffarda ’Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum’ come suo gentile omaggio.
Un dio che non si difende, che non combatte, che non mostra la sua potenza che razza di dio è? Come avrebbe mai potuto sconfiggere Roma?
Pilato guardò il cielo azzurro come a cercare le risposte.
Dopo la morte risorgo… che sciocchezza, se fosse ancora vivo lo ucciderei di nuovo!
Proprio in quel momento arrivò il tribuno Gaio. A passo svelto si avvicinò e gli esibì il saluto romano.
— Ave, prefetto.
— Sei in ritardo.
— Perdonami.
— Allora?
— Niente. Abbiamo individuato le loro tracce ma non siamo riusciti a trovarli.
Pilato fece una smorfia, si accostò ulteriormente e gli mise una mano su una spalla.
— Notizie di Sesto? — domandò, a bassa voce.
Gaio scosse la testa, poi rivolse gli occhi marroni verso l’esareme che stava iniziando le manovre di attracco. Due castelli a poppa e a prua, più alta di una quinquereme, lunghissima e ampia. Molto ampia. Almeno a giudicare dal numero di rematori che doveva contenere. Una vera fortezza galleggiante e loro al confronto parevano formiche. Era la prima volta che ne vedeva una e gli parve davvero enorme. Enorme come il potere dell’uomo che trasportava.
— A quest’ora quei folli saranno già morti o nelle mani di qualche ribelle.
Le parole di Pilato lo riportarono all’istante ai suoi doveri.
— Certo, prefetto.
— Quanti erano?
— Una dozzina, più o meno.
— Un pugno di stolti… hanno avuto ciò che si meritavano… Mi dispiace solo per Sesto — Pilato sospirò, massaggiandosi la fronte rugosa. A differenza del suo tribuno, non sembrava affatto impressionato dalla nave da guerra che gli era davanti e che aveva appena gettato due grosse àncore di ferro nelle profonde acque del porto. — Era un buon soldato, ancora non capisco cosa gli sia successo — concluse, amaro.
Gaio lo guardò con l’abituale espressione glaciale. Sesto aveva disertato. Sesto era un traditore e andava punito con la morte. Tutto qui. Non c’era bisogno di girarci intorno.
Stava per ribadirglielo ma non ce ne fu il tempo, perché ormai mancava davvero poco allo sbarco dell’imperatore e il prefetto aveva altro di cui occuparsi.
Fra le grida indaffarate dei marinai, fra gli alberi possenti che reggevano le maestose vele color porpora rettangolari si vedevano già schiavi, carriaggi e pretoriani pronti a scendere sulla banchina.
Prima di andare ad accogliere Tiberio, Pilato gli rivolse un’ultima parola.
— Non sentiremo più parlare di loro — tacque un momento, si concentrò sulla profonda cicatrice che deturpava il volto del tribuno all’altezza delle labbra. — Vincere la morte e risorgere a nuova vita… fanatici incoscienti!
— Li ha puniti Marte, prefetto. Io credo molto in Marte.
— O Giove Ottimo Massimo, oppure il divino Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto… chi può dirlo? — rispose Pilato in tono ironico, indicando il tempio lontano.
Gaio non disse nulla, si passò una mano fra i capelli sporchi e tornò a fissare l’esareme.
— Va’ adesso, mi servi a Gerusalemme. Mantieni l’ordine pubblico a qualunque costo — lo ammonì il prefetto.
Il tribuno abbozzò un ghigno di soddisfazione, mostrando gli incisivi neri e spezzati.
— Ne sono certo — sentenziò Pilato, esibendogli il saluto romano, — ci siamo liberati per sempre di quell’ebreo e della sua dannata marmaglia!
Detto questo, trasse un profondo respiro e si diresse a passi decisi verso l’esareme.
Restava solo un uomo da convincere.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Simone, complimenti per la forma che hai dato al racconto: ineccepibile. Anch’io ho apprezzato il “dubbio”, che dà cadenza a tutto il racconto; si insinua come veleno, goccia a goccia.
Grazie mille, mi fa molto piacere.
Ciao Simone, bel racconto! Scritto con uno stile pulito e scorrevole, ed è evidente che ci sia una buona conoscenza storica da parte tua, sia per quanto riguarda i romani (l’esareme, la lorica, il pilum), sia per quanto riguarda la specifica vicenda di Gesù, o meglio Yeshua (ad esempio, non tutti conoscono Longino).
E, soprattutto, mi è piaciuto molto come la tua narrazione lascia trasparire tutti i dubbi e le preoccupazioni di Pilato.
Grazie per le tue belle parole, mi fanno molto piacere.