
Prigioniero del tempo – 2
Serie: Amazing stories
- Episodio 1: Prigioniero del tempo – 1
- Episodio 2: Prigioniero del tempo – 2
- Episodio 3: Prigioniero del tempo – 3
- Episodio 4: Pacheco – 1
- Episodio 5: Pacheco – 2
- Episodio 6: Pacheco – 3
STAGIONE 1
Tornando dal lavoro quel lunedì, si fermò a comperare le pile per la torcia elettrica. E un dolcevita nero, da abbinare ai pantaloni neri, per mimetizzarsi nell’oscurità. Frugò nelle cose di Amanda e trovò una boccetta di tintura nera per capelli.
Si inventò fantomatici lavori di giardinaggio, per poter stare all’aperto e non perdere mai d’occhio la casa. Amanda lo guardava dalla finestra del soggiorno, scuotendo il capo.
Allora si spostò dietro la casa, dove non poteva tenerlo d’occhio, perché non c’erano finestre. Venne sera senza scossoni, ma non si diede per vinto. Appese al sottotetto un potente faro, per illuminare bene il terreno. Scavò e riempì la stessa buca più volte, immaginandosi di trovare uno scheletro alieno.
Sapeva che il quel modo avrebbe corroborato i dubbi di Amanda, ma pensava altrettanto che, prima avesse risolto il mistero, prima sarebbe tornato alla vita di sempre.
Forse.
– O entri adesso, o te ne vai a dormire nel fienile del nostro vicino! – lo minacciò la moglie.
Al che dovette rientrare per forza.
Quando lei annunciò che sarebbe andata a letto, lui spiegò che aveva dimenticato di richiudere uno scavo in giardino. Che non capitasse a un ladro di caderci dentro!
Amanda non replicò.
Uscì nel freddo.
Indossò il dolcevita nero. Si spalmò con cura il volto e il dorso delle mani con la tintura. Accese e spense la torcia.
Le nuvole oscuravano la luna, ma preferì non utilizzarla. Avanzò con cautela, attento alla casa del vicino, ma tutto era silente. Scavalcò la staccionata e fu dall’altra parte.
Scattò fino al fienile, spalle al muro, guardandosi attorno.
Spinse il portone. Era aperto.
Entrò e richiuse. Nessun suono, quindi accese la torcia.
Illuminò scaffali colmi di attrezzi da giardinaggio e da meccanico, abiti da lavoro e una carriola piena di mattoni, come quelli del vialetto d’ingresso. C’era una cassa di legno, ma non sapeva dire con precisione se fosse dello stesso tipo delle altre. Non riportava alcuna etichetta metallica.
Sul pavimento impolverato si notavano segni di trascinamento. Ne seguì la direzione, posando i piedi nelle due scie, per non lasciare le sue impronte. Il locale era diviso da una tenda grigia appesa al soffitto, chiusa con due lacci. Si bloccò, emozionato.
Che spettacolo avrebbe trovato dietro a quel sipario?
La zona retrostante era completamente diversa. Linda.
Non c’era nulla alle pareti bianche, tinteggiate di fresco, a sentire l’odore. Niente sul pavimento appena posato. La finestra sul fondo era sbarrata.
Al centro di quello spazio, poggiata su quattro pile di mattoni, c’era una Chevrolet del 1982 azzurra, senza targa, tirata a lucido come tutto il resto. Ai vetri tendine nere che ne occultavano l’interno.
Fremente, aprì la portiera. Era ben oliata.
Salì a bordo, sul sedile comodo e spazioso.
– Tutto qui? – constatò, rammaricato.
Sfiorò i vari comandi. Pareva tutto usuale. Una normale automobile. Il cruscotto con i vari indicatori e levette. Il volante… quello no, mancava. Già, senza ruote dove poteva mai andare?
Che strano l’orologio, era digitale. Lo confrontò con il suo. Indicava pure l’ora sbagliata. Così lo regolò, spostandolo indietro di due minuti.
Trasse un profondo sospiro. Fine dell’avventura.
Una luce tenue iniziò a manifestarsi dalle bocchette di areazione frontali. Crebbe d’intensità, molto lentamente, avvolgendolo.
Quando l’abitacolo fu ben illuminato da quella luce blu, scoccò un lampo.
Chiuse gli occhi d’istinto. Quando li aprì, per un istante non vide nulla.
– Meglio che me ne vada.
Accese la torcia. Scese dall’auto e richiuse la portiera.
Si voltò a guardare l’auto, prima di dirigersi dall’altra parte, ma venne bloccato da una luce che filtrava da sotto la tenda grigia.
Mi ha beccato! Ora sto fresco.
Spense la sua torcia e si acquattò dietro l’auto. Da sotto vide il sipario aprirsi e qualcuno entrare, puntando la pila sui muri, tutto attorno. Aveva pantaloni neri. Come lui. E le scarpe, come le sue! Iniziò ad avere un capogiro. Gattonando si spostò sul retro del veicolo, mentre l’altro apriva la portiera.
Era tutto vestito di nero.
Tutto di nero?
Anche la faccia.
– Ma, sono… – mormorò, incredulo.
L’altro lui salì sull’auto, come aveva fatto in precedenza.
Attese di vedere come andava a finire. Poi scattò verso l’uscita, abbattendo un badile con gran baccano. Uscì fuori con il respiro mozzato, saltò la staccionata come un Ribot scosso e cadde sulla soglia di casa.
Maledizione, la porta era chiusa! Si accasciò a terra.
Sarebbe stato costretto a svegliare Amanda, con tutte le complicazioni del caso.
Eppure quello, convenne, era il suo problema minore.
*
– Pazzo! Mio marito è impazzito!
Tampinò Amanda per tutta la casa, cercando di spiegarsi. Non aveva saputo trovare una scusa plausibile, perciò le aveva raccontato tutto, senza lesinare dettagli. Inutilmente.
Abbandonandosi sul divano, osservò la donna in preda al panico.
– Non ha tutti i suoi a casa! Ma cosa ho fatto di male? Qualcuno me lo dica, per favore!
Stupido! Sei un maledetto stupido, pensò di se stesso. Come aveva potuto chiudere la porta… come poteva chiudere la porta dall’interno, se era fuori? Chi aveva chiuso la porta? Era così confuso… forse era davvero impazzito!
Nei giorni che seguirono Amanda lo evitò.
Il sabato vennero a bussare. Aprì a un uomo in completo grigio, con una ventiquattrore.
– Il signor… Buster?
– Sì, sono io.
– Mi fa accomodare?
Che cavolo voleva quel tizio?
– Prego.
Prima ancora di essere dentro, l’uomo estrasse dei fogli, impugnandoli come carte da gioco.
Li sbatté sul tavolino.
– Ho ricevuto mandato dal mio cliente di procedere alla requisizione della casa per un debito non pagato.
– Guardi… credo abbia pescato il pesce sbagliato, – sorrise compiacente, – non mi risulta di avere alcun debito con…
– No no, qui è chiaro, – lesse l’indirizzo.
Corretto. Era casa sua.
Sudava freddo.
L’altro proseguì: – Il giorno 12 ottobre 1983, il signor Buster, che sarebbe lei, presso il Belvedere Casinò di Las Vegas, contrasse un debito di gioco di ottantacinque dollari e 65 centesimi con il signor J.J.O. Zucker. Come da accordi con la controparte, si impegnava a restituire la somma entro 30 giorni, – alzò gli occhi sul povero uomo, sempre più inebetito. – A oggi il debito risulta insoluto. E ammonta a 35.320 dollari e 80 centesimi.
Fu sul punto di svenire. L’ometto l’aiutò a sedersi.
– Potrebbe… chiedere al suo… cliente… una… dilazione?
– Me l’aspettavo, – commentò cinico. – Una settimana, signor Buster, – lo ammonì con il dito teso. – Una settimana soltanto.
Disperazione.
Guardò il lugubre messaggero trotterellare sul vialetto, mentre se ne andava portandosi appresso il suo matrimonio. Annessi e connessi.
Per fortuna Amanda non era in casa! Sarebbe tornata dal pomeriggio di Burraco con le amiche solo all’ora di cena.
Ho tempo, si disse, ma nessuna idea.
Quando mai era stato a Las Vegas? E J.J.O. Zucker, chi era costui? Era una presa in giro di qualche buontempone? O il suo vicino, sapeva che lui sapeva?
Ripetutamente rivisse il momento nel quale si era seduto al posto di guida, cercando di ricordare i gesti compiuti.
Quanto era stato sull’auto? Poco, qualche minuto forse. Aveva fatto qualcosa che aveva a che fare con il tempo? Oltre a registrare l’orologio?
Ricordava di essersi come risvegliato nel buio più totale. Poi quella luce sotto la tenda e l’uomo in nero. L’altro lui!
La porta di casa chiusa dall’interno… Un attimo. Non sapeva se fosse chiusa dall’interno. Amanda lo aveva solo rimproverato di essersi chiuso fuori. Non aveva accennato a nessuna chiave nella toppa. E lui si era guardato bene dal fare domande inopportune.
Ci pensò e ripensò. Le chiavi se le era portate dietro l’altro lui, quando era uscito chiudendo.
Ritornò a consultare l’archivio segreto, l’oracolo che gli dava tutte le risposte, in cerca dell’illuminazione.
E la trovò sul foglio ingiallito di un vecchio numero di Amazing Stories.
Un viaggio di 60 secondi nel passato.
Per un tempo indefinito stette lì a interrogarlo. Ripetendosi che non poteva essere. Che era pura follia.
Che era l’unica spiegazione.
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- Episodio 6: Pacheco – 3
La risposta è nelle stelle!
Ciao Emanuele, il paradosso ormai è fuori controllo. Sono curiosa di conoscere cosa accadrà in seguito e se il poveretto riuscirà ad avere la meglio sul suo “doppio”