Prima della stagione di caccia

Serie: Prison Planet 001


C’era puzza, più puzza del solito, disgustosa e rancida puzza di cadaveri misti a chissà cosa; quella sera l’aria era davvero insopportabile, la donna che camminava nel vicolo buio si strinse nel cappotto alzando il bavero per arginare il più possibile il problema. Le luci al neon, bianche come l’osso scoperto di una carcassa, facevano male agli occhi, tanta era la potenza luminosa che emettevano, non c’era traccia del vento che di solito spazzava via ogni odore rendendo la notte più vivibile del giorno. Il vicolo fungeva da scorciatoia tra due grandi strade, a quell’ora già del tutto deserte, proprio in fondo si scorgeva l’insegna blu e bianca di una tavola calda: “Da Alfredo”.

Quando la donna uscì dal passaggio angusto si diresse subito verso la porta a vetri che fungeva da ingresso, a destra si potevano scorgere attraverso i vetri gli avventori del posto, la clientela non sembrava promettere nulla di buono, soprattutto alcuni volti. Con un movimento secco aprì la porta e subito l’odore di caffè misto a cibo caldo invase le narici con prepotenza, sempre meglio del puzzo di qualche minuto prima, pensò tra sé e sé.

Al bancone un uomo barbuto, i capelli grigi gli incorniciavano una fronte ampia e squadrata, era intento a parlottare con un paio di uomini mentre puliva un bicchiere di metallo. Quando con la coda dell’occhio vide la donna alzò lo sguardo con un sorriso tirato: non pareva proprio contento di vederla.

“Ripley, come mai passi di qui a quest’ora?”

“Un “buonasera” non avrebbe guastato, Pablo, come sempre sei senza il minimo tatto” rispose quella mentre richiudeva la porta e si dirigeva verso il bancone d’acciaio lucente.

“Cosa vuoi da bere? Il solito?”

“Il solito andrà benissimo.”

Qualche istante dopo un bicchiere colmo di birra e schiuma giallognola fluttuava allegramente in attesa di essere bevuta, la differenza tra la temperatura esterna e quella del liquido aveva già favorito l’appannamento del vetro. Ripley osservò quel boccale senza troppa convinzione, sapeva con certezza che dentro si poteva trovare una delle birre più scadenti della zona ma, del resto, si pagava poco e poco si poteva pretendere da un posto come quello.

“Devo parlarti, Pablo, adesso” sussurrò quando il barista si sporse nella sua direzione come per incoraggiarla a parlare.

“Se vuoi proprio, dovrai aspettare la chiusura.”

“Non posso star qui dentro per cinque ore come se fosse niente, lo sai anche tu. Trova una scusa per andare in bagno, io ti aspetterò lì.”

La donna sorseggiò più in fretta possibile la birra, poi si diresse a passo veloce verso il bagno, lo sguardo di alcuni avventori metteva i brividi, qualcuno avrebbe provato di certo a seguirla se non avesse deciso di mostrare il fucile a canne mozze che parve spegnere gli entusiasmi. Qualcuno avvicinò la bocca all’orecchio del compagno di bevuta, di certo per commentare un avvenimento del tutto fuori dai canoni della zona.

Il bagno era poco più che uno stanzino di appena tre metri per due, sulla destra uno specchio olografico proiettava un’immagine distorta della realtà, tanto da far sembrare verde la pelle della donna che, notando il dettaglio, sorrise divertita. A sinistra un bagno un water di piccole dimensioni se ne stava lì timido, quasi a vergognarsi di far parte di un simile ambiente, il pavimento sudicio non invogliava affatto ad utilizzare il bagno. Quel “cesso” non era mai cambiato, Pablo aveva poca voglia di pulirlo e, di solito, non delegava l’attività nemmeno alla sua cameriera che odiava anche solo pensare a quella parte del locale. Il puzzo di piscio era abbastanza eloquente di una situazione ormai sfuggita a qualsiasi controllo, l’unica cosa certa era che quel posto non vedeva donne da una vita e avrebbe continuato a non vederne per molto tempo con l’unica eccezione di Ripley.

“Quando cazzo arrivi, Pablito?” bisbigliò tra sé e sé osservando il bracciale sul suo polso.

Qualche minuto dopo la porta si aprì e la pancia del barista annunciò l’arrivo dell’uomo che, con aria stanca, fece il suo ingresso, teneva lo sguardo basso, come per evitare quello della donna, evidentemente la temeva.

“Cosa c’è, allora?” domandò stizzito mentre si guardava alle spalle, nonostante la porta fosse chiusa.

“Ho bisogno di qualche informazione che solo qualcuno che fa il tuo mestiere può fornirmi.”

“Sentiamo, su” disse facendo segno di procedere.

“Voglio sapere che fine ha fatto Occhio Freddo.”

“Tu devi essere pazza” disse sgranando gli occhi per lo stupore.

“Pazza? E perché mai, perché voglio tirare su qualche soldo e levarmi dai coglioni?”

“No, perché stai giocando con il fuoco, un fuoco molto più forte di tutti noi messi insieme. Cosa credi che una taglia come quella si metta tanto per giocare? Se lo vogliono far fuori è per un motivo ben preciso che non conosciamo.”

“Quanto vuoi?” domandò la donna spazientita mentre frugava con foga nelle tasche in cerca di qualche pezzo di metallo.

“Niente: ci sono informazioni che hanno come prezzo la vita e la vita non ha prezzo” gli occhi dell’uomo rivelavano una paura quasi incontrollabile, spalancati fin quasi a poter uscire dalle orbite.

Serie: Prison Planet 001


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. Ciao Alessandro, da questo incipit, sempre condotto meravigliosamente grazie alle tue precise e coinvolgenti descrizioni, già l’interesse verso Ripley da parte mia è incredibile, con quel suo fucile a canne mozze che tiene e il suo carattere tagliente, deciso e determinato. Ovviamente sono curioso di sapere come se la caverà questa cacciatrice di taglie contro tale fantomatico Occhio Freddo! Un saluto, alla prossima!

  2. Ciao Alessandro, ecco l’occasione per conoscerti in una nuova veste ? Fantascienza.
    Fin dalle prime righe permetti al lettore di avere un’immagine chiara del tuo mondo, grazie al richiamo dell’olfatto. Gli odori hanno molto da raccontare e quelli per le vie della città “puzzano” di disperazione. Voglio saperne di più del tuo mondo prigione e della cacciatrice di taglie ☺