Primo incontro e risalita

Serie: Il dipinto sul muro


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Alcuni ragazzini scendono nei sotterranei del vecchio edificio per dimostrare il loro coraggio. "Quando infine decidemmo di tornare indietro sperimentammo la paura."

Percorremmo a ritroso il corridoio per tornare alla scala da cui eravamo scesi. Eravamo certi di non aver effettuato alcuna deviazione nei corridoi laterali. I fasci di luce delle torce si intrecciavano creando mutevoli geometrie penetrando il buio alla ricerca della via di uscita. Camminammo ancora mentre i nostri passi e il nostro respiro diventavano via via più veloci, finché ci rendemmo conto di non riuscire a ritrovare la scala da cui eravamo scesi.

«Non abbiamo preso un corridoio laterale, giusto?» dissi cercando di mantenere un tono di voce sicuro. «E allora come cazzo è possibile che la scala non è qui?»

«Abbiamo svoltato senza accorgercene» piagnucolò il mio amico. «Forse la muffa che stiamo respirando ci fa qualche effetto strano, come un’am…am…amnistia…»

«Amnesia!» lo corresse una delle ragazze.

Sempre lei, pensai. Non perde un’occasione per mettersi in mostra. Anche il nome mi sta sulle palle: Eleonora

«… amnesia.»

«Non diciamo stronzate!» esclamai. «Piuttosto guardate là…»

Una decina di metri davanti a noi le torce illuminarono una serie di gradini.

«Dài, andiamo! Usciamo da qui!»

Corremmo verso la scala ormai certi di poter presto respirare aria pulita, ma ci fermammo prima di iniziare a salire.

«Che cos’è quello… cosa vuol dire?» domandò una delle ragazze con un tono di voce troppo acuto.

«Cosa vuol dire non lo so» risposi con un certo sarcasmo per nascondere la mia paura. «Ma posso dirti che è un muro…» Volai per quanto possibile sui pochi scalini irregolari che si interrompevano davanti alla barriera, «…di mattoni.» continuai con lo stesso tono.

«Quindi non siamo scesi da qui!» sentenziò il mio amico.

«Tu che dici? Io direi di no» replicai ancora sarcastico.

«E adesso come facciamo a uscire! Arriveremo tardi a scuola!» Urlò la ragazza un’ottava più in alto del sul normale registro vocale, cosa che avremmo voluto fare tutti. Urlare per chiedere aiuto a qualcuno che potesse sentirci da fuori anche se sapevo quanto fosse improbabile a causa degli schiamazzi dei nostri compagni di scuola che aspettavano di entrare nelle aule e dalla distanza tra noi e loro. E in ogni caso la consideravo un’opzione da evitare a rischio di restare intrappolati qui sotto tutto il giorno, per non diventare i loro soggetti preferiti da prendere per il culo fino alla fine della scuola.

Ci muovemmo ancora lungo il corridoio, ma avevamo perso quel poco di lucidità di pensiero che avevamo avuto fino a qualche minuto prima. Le due ragazze si tenevano per mano e le loro torce erano puntate verso il pavimento. Il mio amico tentava di sconfiggere le tenebre con il suo fascio di luce che si muoveva fulmineo senza sosta, tanto che se avesse illuminato un elemento importante per la nostra fuga non saremmo stati in grado di percepirlo. Tentai di mantenere uno sprazzo di pensiero razionale, ma il terrore era ormai prossimo incrinare l’ultima tenue barriera.

Fu in quel momento che lo udii.

«Silenzio!» sussurrai ad alta voce.

Gli altri mi fissarono.

«Zitti… Non lo sentite?» continuai portando l’indice davanti alla bocca senza modificare il tono di voce.

Ci fu un attimo di silenzio assoluto. Neppure il fruscio dei nostri respiri, forse neppure i battiti dei nostri cuori. E tutti udimmo chiaramente l’abbaiare di un cane.

«C’è qualcuno!» La voce era talmente acuta da essere fastidiosa.

«Di là» disse il mio amico indicando un corridoio laterale.

«Ma non abbiamo mai cambiato corridoio… l’uscita non può essere da quella parte.»

Udimmo ancora il verso dell’animale. Sembrava che si stesse allontanando.

«Voi fate quello che volete. Noi andiamo da quella parte» sentenziarono le ragazze.

«Aspettate!» Ma le due si erano già allontanate di alcuni metri.

Le seguimmo, o meglio seguimmo tutti il suono confortante del vocalizzo canino. Era un verso acuto e gioioso come se l’animale fosse eccitato per qualcosa, un verso che di tanto in tanto si trasformava in un latrato forte e insistente come per mantenere attiva la nostra l’attenzione. Lo sentivamo sempre alla stessa distanza da noi, abbastanza vicino, ma non riuscivamo a raggiungerlo. Continuammo a seguirlo in silenzio, finché non ci fu più alcun suono. Ci fermammo ormai in preda al panico. Il silenzio era opprimente, e in quel silenzio udimmo in lontananza un leggerissimo vociare. Puntammo le torce davanti a noi e in fondo al corridoio che stavamo percorrendo vedemmo quei gradini che avevamo percorso in senso opposto qualche minuto o qualche ora prima.

Uscimmo con le lacrime agli occhi cercando di nascondere il nostro stato d’animo, una perfetta miscela di terrore e sollievo. Facemmo il possibile perché i nostri compagni di scuola non ci vedessero in quelle condizioni. Giurammo di non raccontare a nessuno quanto era accaduto. Perché in realtà neppure noi comprendemmo cosa fosse realmente accaduto.

Prima di entrare in classe feci ancora un giro nel piazzale. Non lo dissi ai miei compagni di avventura, ma stavo cercando un cane, quel cane, stavo aspettando di sentirne l’abbaiare acuto e gioioso. Avrei voluto chiedere a tutti se ne avessero visto uno, ma non lo feci.

Non fu l’ultima esplorazione di quell’anno scolastico. Avevamo ancora buona parte dell’inverno e tutta la primavera per continuare a gonfiare il petto davanti alle nostre compagne di scuola. Ma non scendemmo più nelle cantine. Le affrontai solo molti anni dopo, quando al grande edificio fu data una nuova vita.

– – –

È la prima volta che racconto questa storia. L’ho fatto per voi, spero mi siate riconoscenti. Credetemi: è successo davvero, non ho concesso nulla alla mia fantasia. Ma ancora non vi ho narrato la leggenda del cane fantasma. Sono certo che morite dalla voglia di conoscerla (qui ci sta bene una pausa nella lettura, giusto il tempo per guardarvi negli occhi e chiedervi per quanto tempo ancora mi divertirò alle vostre spalle). Alle due ragazze che quel giorno affrontarono la discesa agli inferi con me e con il mio amico la raccontai qualche tempo dopo. A Eleonora la raccontai altre mille volte… A voi chiedo ancora un po’ di pazienza, poi soddisferò la vostra curiosità. E se non vi importa nulla del cane, del dipinto e di tutto il resto tranne, ovvio, degli altri documenti allegati a questo plico, non abbiatevene, perché comunque sarete costretti ad ascoltarmi.

Continua...

Serie: Il dipinto sul muro


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Anche qui ho apprezzato tantissimo l’ultimo paragrafo che in un certo senso rompe la quarta parete.. l’idea di un morto che parla ai suoi lettori è davvero troppo affascinante, anche perché un album della mia band preferita ha lo stesso concept