Punti di osservazione

Serie: Il solo modo che conosco


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: In sintonia con il mio corpo che manifesta, chiari ed allarmanti, i sintomi della disidratazione, anche il navigatore si surriscalda, costringendomi ad una pausa tecnica sulle rive di Trezzo sull’Adda.

Il navigatore inizia a dare segni di cedimento in un punto imprecisato della provinciale 104, che si insinua piatta e regolare tra campi in semina e una centrale elettrica il cui gigantesco comignolo fatto di azzurri, di rossi e di bianchi comincia ad intravvedersi già a distanza di chilometri. A percorrerla tutta, quella strada fa ancora in tempo a cambiare numerazione un paio di volte prima di portarti a destinazione a Lecco. Sempre che sia quello il posto in cui vuoi andare.

Le informazioni di viaggio sullo schermo si alternano con sempre maggiore frequenza ad un messaggio che mi informa circa il surriscaldamento del dispositivo. Del resto, come dargli torto? Il calore inizia ad accumularsi in maniera esasperante nelle trame del tessuto in Cordura della giacca, persino in movimento e con le cerniere di ventilazione aperte.

Approfitto allora della tarda ora di pranzo per concedere un po’ di tregua al telefono e cercarmi un posto dove mangiare. Vorrei qualcosa sulla strada però, qualcosa di vero, un posto con un parcheggio polveroso pieno di furgoni e tir, un locale dove ci si fermano i maschi alpha che non hanno bisogno del GPS per girare il mondo. Tipo il Mel’s Diner a Phoenix, alzi la mano chi si ricorda di cosa sto parlando.

Trovo “La Perla Blu – Osteria del pesce – Menù lavoratori a pranzo”, con annesso parcheggio, furgoni, tir e tutto quello che uno come me può desiderare. E mentre me ne sto fermo con la moto all’imbocco del vialetto ostruendone l’ingresso, con già una fila di mezzi alle mie spalle che mi bestemmiano contro in un bouquet di accenti ed inflessioni perché non riescono a passare, ci penso su bene ma alla fine decido che proprio non ce la posso fare, anche con tutta la buona volontà.

Primo perché sono uno spocchioso altezzoso e ho questa convinzione che il pesce buono, magari, non lo mangi per forza solo al mare, ma così nel mezzo della Pianura Padana, sia pure col fiume lì a fianco… boh, non so, c’è qualcosa che mette in allarme il mio senso di ragno.

Secondo, anche non fossi uno spocchioso altezzoso sono comunque un uomo delle caverne e il pesce non mi piace. Quindi scusate ragazzi per avervi bloccato l’accesso, se mi date giusto due secondi faccio manovra e mi levo dalle palle, che la moto è pesante e io sono sminchio.

Nel frattempo il navigatore, che invece di prendere aria in movimento ha preso un’insolazione per via della mia natura di eterno insoddisfatto, mi molla definitivamente non appena varcati i confini di Trezzo sull’Adda. E allora faccio come Ligabue, metto via le mie illusioni e i miei sogni di rock’n’roll da camionista, che un posto qualsiasi me lo faccio andare bene basta che non sia a picco sotto il sole come adesso che mi sto guardando intorno e per le vie del centro non trovo niente. A Trezzo sull’Adda, quando Apollo è allo zenit, l’ombra è un bene prezioso e irraggiungibile, ancor più raro delle terre rare tanto bramate da donal trump.

Muovendomi a caso lungo corsi e vie, guidato più dall’istinto di sopravvivenza che dal senso dell’orientamento, imbocco senza aspettative una discesa di tutto rispetto che al termine di una curva cieca mi conduce direttamente in riva al fiume e ad un locale che non riesco ad inquadrare precisamente ma va bene così.

Acqua, alberi, fronde.

Nel momento in cui spengo il motore dopo aver posizionato Greta all’ombra fra le righe bianche di un parcheggio per motociclette, percepisco chiaramente tutto il suo sollievo mentre un leggero venticello inizia paziente il lavorio di raffreddamento sui cilindri. Scendendo dalla sella e voltandomi a guardare il mezzo ancora una volta prima di entrare ho proprio l’impressione di vedere la massa d’aria calda salire su dal blocco motore e distorcere la visuale di tutto quello che le sta dietro, come quando vedi ondeggiare l’orizzonte sopra un fuoco acceso e capisci finalmente quello che ti dicevano a scuola sul fatto che l’aria sia un fluido.

Il locale affaccia direttamente su un’ansa dell’Adda che quasi dà l’impressione di essere un piccolo lago, affiancata da una centrale elettrica di quelle vecchio stampo, in mattoni, dallo stesso fascino di una villa d’epoca.

C’è ancora un tavolino libero sul pontile ombreggiato che dà direttamente sull’acqua e mi ci butto a pesce (sul tavolino, non sull’acqua) poggiando a terra borsa e casco. Tolta la giacca, la sensazione di refrigerio è immediata, provo quasi un brivido lungo la schiena quando un refolo mi saluta attraversando la veranda per poi proseguire lungo il suo viaggio.

Per sicurezza ordino subito una birra, hai visto mai che con quella calura si svuotino i fusti e non rimangano che piatti di minestrone fumanti e brocche incandescenti di the verde.

Il cameriere è solerte ma sbaglia a prendere l’ordinazione, e me ne porta una piccola. Tutti possiamo confonderci nella vita, sia chiaro, ma questa volta sicuramente non è successo a me; non ordino mai una birra piccola, è contro la mia religione. Ma non sono nemmeno il tipo che rimanda indietro le comande (mi è successo solo una volta, anni fa: Cameriere, una bistecca al sangue, praticamente cruda – Ecco a lei signore, la sua bistecca ben cotta, praticamente copertone), così nel tempo che impiego per scorrere il menù me la sono già fatta fuori e ne ordino poi un’altra, come Dio comanda, assieme ad un maxi toast, che assaporo guardandomi attorno e in direzione degli alberi oltre la sponda del fiume, senza un orario da rispettare.

Lo faccio nel tavolo che più amo occupare quando viaggio da solo, seduto in disparte in un angolo ad osservare la quotidianità delle persone che mi circondano, consapevole del fatto che un giorno qualcuno che assomiglierà in maniera impressionante a Marco Giallini si alzerà dalla sua sedia, si avvicinerà a me e parlandomi dall’alto verso il basso mi dirà:

«Oh, è un’ora che mi fissi. Ma che ti guardi?».

Avrà la voce roca ed un marcato accento romano. Ovunque mi trovi, anche seduto sulla sponda dell’Adda a Trezzo.

Serie: Il solo modo che conosco


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Discussioni

  1. La statale 104 passa da parte a casa mia, la faccio tutti i giorni, e quasi tutti i giorni passo di fianco alla Perla Blu (ho scritto gran parte de la Diva alla biblioteca di Vaprio, proprio lì a due passi). Un’altra cosa che faccio ogni giorno è passare lungo l’Adda, perché ci vivo a fianco. E sai cosa? Mentre leggevo mi sono resa conto che questi posti io non li ho mai visti. O meglio, non li ho mai sentiti. Sono così abituata a vedere tutto quello che hai descritto con gli occhi della quotidianità che praticamente non lo vedo più. Il tuo sguardo di scrittore errante ha dato alla mia casa un sapore nuovo. Non avrei mai pensato ci potesse essere una così bella poesia in una cosa che ho sempre avuto sotto il naso. Grazie per avermela mostrata.
    Uno pensa di doversi andare a rincorrere i sogni chissà dove, alle volte. E invece. Ti passano accanto e nemmeno lo sai. : )

  2. Questa tappa in Pianura Padana sa di caldo e di nostalgia. Come se tu, pur non essendoci mai stato, provassi quella sorta di nostalgia per il luogo che hai idealizzato ascoltando musica, leggendo libri e facendoti mille film in testa. A me, personalmente succede spessissimo. E adesso, leggendo te, percepisco quella stessa sensazione che, se vissuta con serena accettazione, non fa male, anzi, diventa arricchente. Una domanda ‘ Hai poi trovato la tu Flo in quel locale? 🙂

  3. Quei fantastici posti nella provincia USA: parcheggi pieni di camion e metri quadri di piastre dove sfrigolano bacon e hamburger dal primo mattino…
    Per il resto, birra media e bistecca al sangue, praticamente cruda: dobbiamo organizzare…
    In questo episodio si sente il caldo sotto la giacca in cordura.

  4. Mel’s Diner… negli States non sono mai stato, ma non ho difficoltà a rammentare la serie televisiva “Alice” (sarò vecchio…?). Molto piacevole anche questa tappa, ricca di fotogrammi catturati dal motociclista, ma soprattutto dallo scrittore, che osserva il mondo col tacquino sempre in azione, nella testa, se non realmente; e a tal proposito, ho trovato la chiusura particolarmente calzante. Grazie per la lettura, Roberto

  5. Menù di pesce e Pianura Padana stonano tantissimo, hai fatto bene a tornare indietro😂molto piacevole anche questo episodio, come sempre mi fai sorridere. Leggere questa storia è ammirare il paesaggio con il vento in faccia, bravissimo!