
Quel giorno era la prima volta che morivo
Serie: Il dolore delle parole scomposte fra noi
- Episodio 1: Occhi verdi pieni di botte nascoste
- Episodio 2: Psicologicamente sempre
- Episodio 3: Quel giorno era la prima volta che morivo
STAGIONE 1
Quella che mi ero messa a scrivere per salvarmi era una lunga mail.
Una mail lucida, diretta. Di una che sa scrivere.
Avevo raccontato il buio, la paura, il freddo, il sedile della macchina.
Quando l’ho scritta avevo il 12% di batteria sul cellulare e non sapevo quando, dove e come, lo avrei ricaricato.
Mia madre al sedile di guida aveva provato a dormire, tenevo le luci di un autogrill negli occhi, forse qui nessuno ci può violentare né guardare strano, avevamo pensato entrambe.
Le ore senza una casa non passano mai.
Hai paura della notte, del giorno, degli altri, dello sporco che hai addosso.
Alle 04:30 del mattino ero scesa a prendere un altro cappuccino, avevo finito la mail e il barista mi aveva guardato strano, era la terza volta che entravo, caffè, salviettine, cappuccino e un veloce salto nel bagno.
La batteria era arrivata al 7%, il mio portafoglio invece contava 9,23 centesimi.
Questo, in totale, la somma del mio domani.
Risalita in macchina avevo svegliato mamma e l’avevo fatta bere, sapevo che stava per morire se avessimo continuato a vivere così, Lucifero nell’angolo della macchina aveva leccato via la schiuma dal bordo di plastica del bicchiere, aveva fame anche lui.
Avevo ripreso il cellulare e mi ero messa a cercare; enti, comuni, centri di accoglienza, di tutto.
Avevo inviato la mia mail a chiunque mi venisse in mente, compreso a pagine di influencer.
Invio.
Premere Invio era stata la mia notte, poi arrivata l’alba mia madre aveva messo in moto la macchina.
-Cerca un hotel.
Lo aveva detto con un fiato sottile, quasi impercettibile.
-Mamma, ma non abbiamo soldi per andarci.
-Lo so Anna, lo so. Ma dobbiamo salvarci.
Quando aveva pronunciato quelle frasi, io non ci credevo più che fosse possibile, non dopo che avevamo avuto il coraggio di denunciare mio padre.
—
Ora quello stesso padre non c’è a fronteggiarmi nella mia camicia nuova, ma il suo avvocato sembra propenso a stendermi tranelli tra il banco in cui si trova e il microfono in cui sono costretta a dire la verità .
-E mi dica, può dirci giorni e orari precisi delle percosse e delle minacce che lei ha denunciato?
Io sospiro, sono passati ormai cinque anni da quei fatti, come posso ricordarmi l’inquadratura di un orologio o un giorno di bianco candido sul calendario?
Ciò che impari sulla violenza è quanto sia torbida, non ha bordi o confini, ma soprattutto non ha inizi.
Se quando la subisci fossi in grado di riconoscerla subito, in modo netto, ognuno di noi farebbe in tempo a chiudere le serrande, allineare le tende, girare la chiave nella toppa e andarsene.
Ma nessuno di noi se ne vai mai in tempo da una violenza.
-No, i fatti che ho detto del comò sono nei giorni di Ferragosto, quelli antecedenti si tratta dei mesi appena prima, ma non so dirle con esattezza i giorni di ogni avvenimento, è passato troppo tempo.
L’avvocato sogghigna, sta sempre nell’angolo destro del tavolo, con la faccia inclinata, in modo che io non possa mai vederlo del tutto.
-Quindi lei non sa né come né quando. Dice anche che suo padre le avrebbe rubato dei soldi ma ha anche ammesso che i fatti sono accaduti in casa sua, erano suoi anche quei soldi?
-Per la casa? Sì, ma anche altri.
-Però all’epoca dei fatti la sua situazione era già precaria, sbaglio?
-Mio padre aveva già fatto alcuni casini, non stavamo bene in quel momento.
-Mi sembra di capire che avevate però aperto un’attività .
-Sì. Eravamo quattro soci. Nel luglio del 2019, per la precisione.
Lo guardo esausta, non sarà comunque contento di nessuna mia data precisa.
-Ci puoi dire i nomi dei soci?
-Io, mia madre, mio padre e Lorenzo. Lorenzo Parolini.
L’avvocato sorride, sarà Lorenzo il cardine di questa vicenda.
-Eravate amici?
-Agli inizi sì. Ci siamo conosciuti perché entrambi scriviamo sceneggiature, siamo stati amici per tanti anni.
-Ecco, amici, ma poi i suoi sentimenti sono cambiati?
-Sì, certo.
Non vorrei rispondere.
Non dovrei rispondere.
Alla fine, chi ho amato e quando, cosa c’entra con le violenze di mio padre su mia madre e su di me?
-E come mai avete chiuso questa attività ?
Perché dico sempre la verità ?
Perché non so dire di no?
-Parolini aveva dei problemi suoi, poi fra noi, poi mio padre, la pandemia, molte cose.
-Avete avuto una visita dall’ispettorato del lavoro, giusto?
-Sì, e siccome Lorenzo non aveva messo nessuno in regola hanno chiuso il locale.
-Perché Lorenzo era la proprietà ?
-Sì, l’attività era sua, noi soci di minoranza.
-E sa chi ha sporto questa denuncia?
-Parolini dice di mio padre, poi non saprei.
C’è un attimo breve di silenzio in cui finalmente la faccia del giudice si alza su di noi, come se all’improvviso avesse capito perché siamo lì, tranne l’avvocato di mio padre siamo tutte donne.
PM, giudice, cancellerie, carabiniere all’ingresso io.
-Avvocato, mi pare un argomento un po’ fuori tema.
Lui sospira, preparandosi un’ultima domanda.
-Ha detto che la casa era sua, vero?
-Sì.
-Ma in affitto?
-Sì.
Conosce la proprietà ?
-Sì, certo.
-Puoi dirci il nome?
-Avvocato Ginevra Maiorchi.
E improvvisamente nella stanza c’è la presenza di un’altra donna, quella che mi ha tolto tutto.
Quel giorno non avevo letteralmente più soldi, mio padre aveva portato via gli ultimi andando chissà dove, la pandemia aveva bloccato ogni mio lavoro, mamma era malata e in fin di vita, Lucifero anche ed io, io evitavo di domandarmi come stavo, perché farlo avrebbe potuto dire morire.
Eravamo sole, affamate, violentate.
In preda alla disperazione più pura quando la solitudine si tinge della tua vita.
Ginevra Maiorchi ci guardava soddisfatta tra le mura di casa sua, che sarebbe stata ancora nostra, mentre l’ufficiale giudiziario catalogava passo a passo gli oggetti da pignorare, divani vecchi di trent’anni, ormai spogli di rivestimento, lanterne rotte, addobbi natalizi, tutto pur di togliermelo.
Si erano guardati a lungo entrambi davanti alla distesa infinita dei libri miei e di mia madre, una vita intera la sua e la mia, i libri dei nonni, le dediche degli amici, i concorsi vinti.
-Voglio che pignori tutti i libri, ad uno ad uno.
Quando l’aveva detto, l’ufficiale giudiziario pareva non volerne toccare nemmeno mezza pagina, ma l’aveva assecondata, ed io ne ero certa, se si può morire più volte, quel giorno era la prima volta che morivo.
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