
RI…CONOSCERSI
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
STAGIONE 1
Quella notte, Andrea era sdraiato sul letto.
La luce del telefono disegnava ombre spezzate sulle pareti, come crepe invisibili.
Il diario stava sulla scrivania, chiuso, l’elastico che pendeva come un nervo scoperto, allungato e secco come tirato mille volte.
Non era il diario a tormentarlo, ma i pensieri che arrivavano senza permesso, come voci che ti svegliano e poi si nascondono.
Difficile farsi ascoltare. Difficile che qualcuno volesse davvero sapere cosa pensava. Ogni volta che ci provava, era come lanciare un sasso contro un vetro: o non succedeva niente, o si rompeva tutto.
A casa, ogni parola rischiava di innescare il solito tiro al bersaglio. In classe, meglio non dare fastidio: un profilo basso che gli stava stretto.
Non era sempre stato così. Con sua madre, prima, c’era almeno uno scambio: due frasi non d’obbligo, un commento la sera. Ora le parole si erano ridotte a inventario secco: «C’è il pane? Hai la chiave? Torna presto. Ti servono soldi?» Forse era lui a sentirla così, forse no; il risultato non cambiava.
Rise. Una risata vuota.
Gli sfiorò il pensiero assurdo che l’unico disposto ad ascoltarlo potesse essere il prof di filosofia. O Samir.
Il prof lo detestava da sport, a Samir aveva già piantato un pugno in faccia. Almeno erano onesti: uno ti odiava a ragione, l’altro ti guardava come se non valessi nemmeno il tempo di arrabbiarsi. Gli altri si tenevano la versione utile di lui: quella andava sempre bene.
Si voltò sul fianco. La scrivania lo fissava.
Il diario sembrava aspettare, immobile.
Si tirò su lentamente, i piedi che cercavano il pavimento freddo, e si mise seduto sul bordo del letto. Allungò la mano, lo prese, lo avvicinò al viso.
Non era solo polvere: c’era un sentore di legno vecchio, di panca di chiesa lucidata troppe volte, e sotto una punta amara, come monete tenute nel palmo per troppo tempo. Gli venne da chiedersi se quell’odore venisse dalla stanza in cui era stato nascosto o dalle mani di chi lo aveva aperto per ultimo.
Sul dorso la pelle finta era liscia in certi punti, ruvida in altri, come se anni di presa avessero lasciato impronte invisibili.
Gli tornò in mente la porta della cantina di suo nonno: vernice verde che si staccava a scaglie, odore di vino e segatura, il pomello freddo anche in estate.
Lo aprì.
24 ottobre 1975
Caro Ludovico,
mi presento: Marco, sedici, terzo scientifico. Milano. “Cittadino” mi fa ridere: suona come uno che compila bollette e chiede permessi. Sto con mia madre; mio padre c’è quando serve, e anche di più. A scuola parlo poco, guardo tanto. Gli altri hanno sempre la battuta pronta; io ho la lingua che resta appesa. Sono comunista e tifo Inter. Tienilo per te.
Le sopracciglia di Andrea si alzarono da sole. Comunista e Inter alla prima botta: dritto al petto.
Mi attacco alla musica perché costa meno del prete: Battisti quando nessuno guarda, Dalla piano piano, Morandi di nascosto (se lo dico mi prendono per cretino, a scuola fanno tutti gli inglesi col chiodo addosso). I Led Zeppelin li lascio agli eroi: io metto su il 45 giri e respiro.
Onesto, non figo. E — malgrado tutto — quella cosa gli piaceva.
Gli parve di vederlo: un giradischi graffiato, l’ago che salta, la stanza che sa di legno e fumo freddo. E per un attimo fu nella sua, seduto a terra, il primo vinile dei Nirvana che aveva trovato nello scaffale di suo padre. Lo aveva messo per riempire un silenzio che, a quindici anni, era già troppo grande. Il disco aveva preso una botta mentre lo estraeva: un graffio invisibile ma letale, che faceva impazzire la puntina sempre allo stesso punto. Non lo aveva mai detto a suo padre, e ogni volta che lo vedeva lì, infilato di sbieco tra gli altri, sentiva addosso un piccolo debito che nessuno gli aveva chiesto di saldare.
Leggo. Non i mattoni che ci tirano addosso: ammazzano la voglia. Gialli, meglio. “Dieci piccoli indiani” l’ho rifatto due volte e ogni volta mi scordo l’assassino; forse perché ci incastro sopra le facce di chi mi siede davanti e i colpevoli cambiano.
Andrea fece una smorfia: rincoglionito o lucidissimo? L’idea di attaccare volti veri ai personaggi gli sembrò una fucilata giusta.
Amici veri: boh. Due chiacchiere in cortile, una partita al biliardino al bar della piazza, fine. Quelli che ti ascoltano senza ridere li conto sulle dita di una mano fatta male.
Quella frase gli rimase dentro: inventario, non teatro. E in quell’inventario c’era anche lui.
Lo sentì come un colpo secco allo sterno, uno di quelli che non ti tolgono il respiro ma ti costringono a fermarti un attimo. Si rivide, infilato in fondo alla lista, tra nomi storti e spazi vuoti. Non era sicuro se fosse un onore o una condanna.
Mi hanno detto che parlare a un amico immaginario aiuta a non impazzire. Così sei nato tu, Ludovico. Non fare lo spiritoso: lo so che non esisti. Mi servi perché non interrompi, non alzi gli occhi al cielo, non mi dici “passerà”. Scrivo, e se poi divento ridicolo, pazienza: ridicoli ci si nasce.
Andrea pensò che questo non se la menava: buttava giù e basta. Forse, scomodo com’era, preferiva Marco a quasi tutti i vivi che conosceva.
Ho sedici anni e mi sembra di averne trenta quando rientro la sera. La casa sa di sapone e brodo Star, fatto col dado; la radio gracchia la pubblicità del Cynar; mia madre mi chiede “com’è andata” come se fosse la formula di una cassaforte. Io dico “bene” e chiudo tutto. Ho la testa piena e le mani vuote. E tu? Tu come fai a non giudicarmi mentre scrivo? Ah già: non esisti. Meglio.
Gli rimase addosso l’odore inventato di sapone e brodo, come quando torni in cucina e la porta è chiusa e dietro c’è una vita che non ti lascia entrare. Niente fiocchi, niente bon ton: solo uno che si mette nudo quel tanto che basta per non vergognarsi di respirare.
Chiuse il diario e restò immobile, il pollice sull’elastico. Non sapeva se lo confortasse o lo spaventasse il fatto che qualcuno, quasi cinquant’anni prima, avesse già pensato quelle stesse cose.
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
Quanta nostalgia in questo episodio e quanti ricordi che mi sono tornati alla mente. Bravo, come sempre d’altronde. 🙂
“Comunista e Inter alla prima botta: dritto al petto.”
😂 😂 😂
“Gli altri si tenevano la versione utile di lui: quella andava sempre bene.”
Bellissimo questo pezzo. Almeno per me. Bravo 👏 👏 👏
Interessante, il diario gli offre l’occasione di analisi la sua vita con una visione più ampia.
Questa storia ti scava dentro come se fosse una vanga, e chi legge fosse la terra che si arrende e dice: arriva fin dove vuoi.
Un episodio un po’ più soft, dove Andrea e noi con lui, iniziamo a scoprire i segreti contenuti nel diario di Marco. La storia si fa sempre più interessante, soprattutto per chi, come me, anche per motivi anagrafici, scopre di avere alcuni ricordi e gusti e vissuti simili. Entrare in empatia, anche e soprattutto per la tua capacità di sondare e mostrare l’interioritá dei personaggi, offre ogni volta una piacevole lettura.
Ti ringrazio di cuore per il commento e per la costanza con cui hai seguito la storia.
In pochi giorni si è trasformata quasi in un piccolo romanzo, ma credo che leggerla a puntate non renda appieno l’atmosfera, e il limite delle 1000 parole a episodio a volte diventa davvero un’impresa.
Per questo penso di tornare ai racconti brevi, dove riesco a dare il meglio e mantenere il ritmo che sento mio.
Questo racconto, invece, lo terrò nel cassetto: aspetterà il momento giusto per tornare a farsi leggere.
😢
“Non era il diario a tormentarlo, ma i pensieri che arrivavano senza permesso, come voci che ti svegliano e poi si nascondono.”
Colpita.