
Ri – vivere
«Vivere, è passato tanto tempo» in contemporanea alle prime parole cantate da Vasco e da quasi ognuno dei presenti di un San Siro stracolmo una lacrima riga il mio volto. Gli ultimi cinque mesi sono stati pesanti, i più duri della mia vita, il passaggio verso la maturità attraverso un evento doloroso come una perdita. Nel corso di questo periodo la canzone che tutti i presenti allo stadio stanno intonando ha ben racchiuso e rappresentato parte delle emozioni provate.
«Vivere, è sperare di star meglio» continuo a cantare, ad alta voce, stonando come di consueto, ma tanto in mezzo a quella confusione chi vuoi che senta o ne sia infastidito. In quella lacrima che continua a scendere c’è un fiume di emozioni, sono parte della festa, del happening che si sta svolgendo. Libero di essere me stesso, di sfogare il dolore, di esprimermi abbassando le difese «Oggi non ho tempo, oggi voglio stare spento» quanto ho condiviso e capito quelle parole nelle ultime settimane durante le quali più volte hanno rappresentato anche lo stato d’animo da cui ero pervaso.
Sul palco ci sono anche gli attori del Sarajevo Festival Ensemble che su quelle note ballano con movimenti lenti, una specie di volo silente, un canto di dolore e voglia di reagire, accomunate in una emozione speciale. Perché si può continuare a lottare e avere voglia di fare arte, anche in un periodo di guerra. Vivo quella emozione in maniera diversa e amplificata, strettamente personale, è la fine di un percorso di mesi emotivamente difficili da reggere.
«Vivere è come stare sempre al vento»
A gennaio di quell’anno è mancato mio padre, sotto i ferri, cedendo alla maledetta bestia che lo stava divorando dentro. Fu uno shock, non eravamo preparati, non così, non così presto. Uno sconvolgimento, soprattutto per chi arriva da una infanzia serena, felice, senza problemi al punto tale di essere ingenuo e disarmato di fronte alla vita ed alla sua durezza. Quel giorno fu il punto più basso di un lungo percorso di sofferenza, iniziato qualche settimana prima e che sarebbe durato ancora per qualche mese. La canzone di Vasco insieme a “The man who sold the world” nella versione dei Nirvana rappresentano per me ancora oggi due pugni nello stomaco, ad ogni ascolto ricordi legati a quei mesi, ma in momenti e contesti diversi, emozioni intense e talvolta ancora lacrime.
Questa sera, dentro lo stadio è tutto più forte, è la fine di una fase della vita. Il passaggio era stato lento ma dall’ingenuità ero passato alla maturità, alla presa di coscienza delle responsabilità e delle asprezze della vita.
Dopo il tremendo giorno della scomparsa di mio padre, smaltita la sbornia di dolore è iniziata una esistenza nuova e diversa. Era necessario far convivere i tempi di elaborazione della perdita con le necessità pratiche. La ricerca di un lavoro, che per fortuna trovai dopo appena una settimana, stare vicini a mia madre affranta dal dolore, svuotare la bottega di falegnameria di mio padre. L’attività non sarebbe stata portata avanti da nessuno e, l’affitto dei locali, non era di certo una spesa che fosse possibile mantenere a lungo. Così, mentre ad aiutare inconsapevolmente mia madre a superare il dolore fu la bimba piccola che guardava per i vicini crescendola amorevolmente, io e mio fratello aiutati spesso anche da quello all’epoca era nostro cognato e da amici anche di mio padre ci impegnammo a fare il resto… Rintracciammo i clienti che ancora avevano mobilia presso la bottega e con pazienza certosina restituimmo tutto. Smontammo tutto ciò che era possibile, recuperando i macchinari per poterli rivendere, trasferimmo nei garage del suocero di mia sorella i mobili che erano nostri. Non furono giornate semplici, non per la polvere e la segatura respirata o per la fatica fisica, ma per i ricordi che alcune cose, all’apparenza insignificanti, scatenavano in me che per mesi avevo frequentato abitualmente quella bottega. Con alcuni clienti non fu nemmeno facile avere a che fare, ci fu chi contestò, ma anche chi con grande classe sorvolò sulle decorazioni delle gambe di un tavolo che proprio non riuscimmo a trovare. Le gratificazioni arrivarono dagli attestati di stima di colleghi e amici di mio padre ed anche di un antiquario, suo cliente di vecchia data, che era molto affezionato a lui. Oltre a riconoscere l’alta qualità del suo lavoro lo definì l’uomo del sorriso. Lui infatti aveva sempre un sorriso per tutti e la sua serenità era contagiosa, la sua bontà d’animo rasserenava chiunque entrasse in quella bottega. Quell’antiquario, che ricordo sapeva anche suonare il violino molto bene, scrisse una lettera bellissima a mia madre dove parlava di lui e ne decantava le virtù. Oggi darei non so cosa per poterla ritrovare, la farei leggere a chiunque volesse capire almeno un po’ chi era mio padre.
Il concerto è il secondo a San Siro nell’ambito del tour Rock sotto l’assedio, occasione per protestare contro la guerra in corso nella ex-Jugoslavia e comunque contro la guerra in generale. Mi ci ero recato l’otto luglio del 1995 con mio fratello ed un suo caro amico. «Vivere, è sorridere dei guai proprio come non hai fatto mai e sperare che domani sarà sempre meglio» urla Vasco, poi partono le schitarrate potenti dell’assolo finale. Dopo aver cantato a squarciagola, lascio che quelle note mi cullino mentre le lacrime e i sentimenti di dolore, gioia ed euforia prendono il sopravvento, perché ce l’ho fatta a uscire indenne da questo periodo buio. Ho i brividi, eppure la serata estiva è caldissima. Mi sento fuso con il pubblico e ancora di più con gli attori sul palco, l’emozione si fa unica. Ho voglia di urlare ma lo faccio solo dentro, nel fluire dei miei pensieri c’è mio padre e una strana sensazione di gioia, di liberazione ed è con orgoglio che mi dico e dico a mio padre che ce l’ho fatta, sono rimasto in piedi e sono forte, sono cresciuto. Sono sensazioni tutte mie e non so, e neanche penso che mi curerò di appurare, se anche mio fratello ne ha sentite di simili o diverse. Questo è un momento solo mio, la rinascita, perché vivere è sorridere dei guai, proprio come non hai fatto mai e pensare che domani sarà sempre meglio!
Partono le note del pezzo successivo, si torna al rock puro, si cambia registro, ora mi godo di nuovo il concerto per quello che è, una festa!
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“nel fluire dei miei pensieri c’è mio padre e una strana sensazione di gioia, di liberazione ed è con orgoglio che mi dico e dico a mio padre che ce l’ho fatta, sono rimasto in piedi e sono forte, sono cresciuto.”
👏
Sono lieto che ti sia piaciuto particolarmente questo passaggio.
“Perché si può continuare a lottare e avere voglia di fare arte, anche in un periodo di guerra”
Un concetto splendido e assolutamente vero. Una frase incastonata su un buon racconto che si lascia leggere piacevolmente e che suscita molte riflessioni. Il tutto mentre canticchiavo le canzoni nella mente. Molto bravo
Grazie, è sempre un piacere vedere apprezzati i propri scritti. Poi un piacere ancora più grande è leggere autori validi che nella grande distribuzione non avrei trovato.
Commovente ed intenso come solo l’agra autenticità della vita può esserlo.
PS Secondo me quello è stato l’acme di Vasco. Gli spari sopra e rock sotto l’assedio.
Grazie per il bel commento, effettivamente sono d’accordo con te che Gli spari sopra e Rock sotto l’assedio siano l’acme di Vasco Rossi.