Ricordi Bruciati

Saltavo da un’ombra all’altra cercando di non perdere l’equilibrio, cadere o rimanere indietro. Non potevo nemmeno appoggiare un piede fuori dalle macchie nere disseminate sul marciapiede o sarei bruciato nella lava degli inferi. Questo gioco poteva essere davvero scottante, ma era divertente e mi permetteva di restare sempre accanto a quel signore che sentivo di non voler mai lasciare. Era, infatti, saltando nella sua ombra che mi sembrava di essergli un po’ più vicino: me ne stavo lì, immobile, ad osservare le sue spalle possenti, in attesa di capire che cosa dovessi fare o perché sentissi la necessità di non lasciarlo mai da solo.

Stavo fermo a fissarlo fino a che non lo vedevo ripartire, senza aver avuto il coraggio nemmeno di accarezzargli la schiena. Appena i miei piedi si allontanavano da lui, quel tanto che bastava per non cadere, sentivo una fitta al petto che mi spingeva a ricercare la sua ombra. Non era importante quante persone od oggetti avessi vicini, era lui la mia meta; gli altri solo un passaggio per raggiungerlo.

“Aspettami!”

Trovavo il coraggio per parlare, per urlargli la mia supplica, solo quando ero certo non mi avrebbe mai sentito. Persino le altre persone non mi guardavano in faccia, mostrando il disprezzo che provavano per me voltandosi e ignorandomi.

Mi lasciai sfuggire un sospiro più profondo degli altri e partii al suo inseguimento. Lo vidi svoltare un angolo e sparire dalla mia vista: sentii il respiro aumentare d’intensità e le mani sudare per il terrore di averlo perso. La mia missione era così a rischio che saltando nell’ombra di una signora persi l’equilibrio e per poco non le finii addosso. Trattenni il respiro e mi preparai a inchinarmi davanti alla sua ramanzina e, solo quando questa non arrivò, mi resi conto che stavo solo perdendo secondi preziosi. Momenti che avrei potuto passare con chi stavo inseguendo con tanta fretta e che adesso era chissà quanto lontano da me.

Inspirai ed espirai con forza dal naso, aprii e serrai le mani a pugno diverse volte, e piegai appena la schiena in avanti partendo a razzo per raggiungerlo. Ero sempre stato veloce nella corsa, ma il passare nelle zone di luce mi agitava così tanto da non farmi concentrare abbastanza sul ritmo da dare alle mie gambe. Sentivo solo il calore che si propagava risalendo dalle caviglie: la lava non era solita perdonare chi non seguiva le sue regole.

Appena iniziai a sentire odore di gomma bruciata provenire dalle mie scarpe da ginnastica, saltai atterrando a piedi uniti esattamente ai limiti dell’ombra di una panchina situata alla fine del marciapiede. Portai la mano destra alla fronte per schermarmi dai raggi del sole e cercai con lo sguardo e con il cuore quell’uomo. Finalmente lo scorsi poco più avanti di me, compariva e scompariva nella folla come schiuma di un mare agitato, e si stava dirigendo verso i primi alberi del bosco che circondava la città.

Abbassai lo sguardo per capire il perché sentissi i piedi farmi ancora così tanto male, nonostante fossi al sicuro in una macchia nera di salvezza, e dovetti trattenere le lacrime nel vedere le mie scarpe consumate e bruciate quasi completamente. Come potevo ora raggiungerlo?

Provai a parlare alzando di scatto la testa, le mani protese in avanti in cerca di un appiglio, e nella voce così tanta disperazione che finalmente lo vidi fermarsi e voltarsi.

“Aspetta”.

Smisi di respirare.

Il mio sguardo puntato nel suo.

Aprii la bocca, la richiusi, la aprii di nuovo in cerca di una qualsiasi cosa da dire, ma non riuscivo a pensare a niente che non fosse l’azzurro dei suoi occhi in rotta di collisione con i miei. Era come se avessi aspettato quel momento così tanto da aver smesso di sperare che accadesse davvero e, ora che si era realizzato, sentivo che non ne avrei mai avuto abbastanza. Dovevo avvicinarmi fino a sfiorarlo, toccarlo, raccogliere il coraggio e abbracciarlo. Strinsi le mani a pugno e iniziai a correre, incurante di zone d’ombre, di luce, di cose giuste e sbagliate e del bruciore che sentivo ancora circondare i miei piedi, ormai quasi completamente senza protezione.

“Aspetta!”

Finalmente il mio grido fu forte come me lo ero immaginato. Allargai così le braccia nella speranza di poterlo stringere, per poi richiuderle nel vuoto. Le lacrime, ormai senza controllo sulle mie guance, mi impedivano di vedere chiaramente la sua schiena che si stava allontanando.

Il grido e la corsa non erano serviti a niente; la mia ancora di salvezza ormai sprofondata.

Feci un passo in avanti, poi un altro ancora, non mi era permesso non seguire quell’uomo. Anche con il cuore distrutto, le spalle piegate per la disperazione provata e il respiro mozzato dalla malinconia, nonostante tutto, dovevo comunque sia stare con lui.

Sospirai e continuai a camminare.

I piedi, ormai scalzi, sembravano provare almeno sollievo al contatto con il terriccio del sottobosco e con l’ombra del querceto che ora si estendeva ovunque. Se non fosse stato per il pugno allo stomaco preso da poco, quella freschezza mi sarebbe apparsa persino piacevole.

L’uomo continuò ad avanzare ancora, poi si fermò e lo vidi inspirare a lungo. Fermo, sotto la luce del sole ormai calante, appariva ben più grande di quanto non fosse. D’un tratto fu come se le gambe non lo reggessero più e, senza poter fare nulla per evitarlo, lo osservai accasciarsi a terra.

Gli corsi accanto e mi rannicchiai vicino a lui: non voleva essere abbracciato, vero, ma forse mi avrebbe permesso di restare lì. Mai ero riuscito ad avvicinarmi così tanto e solo allora potei studiargli il viso accorgendomi di quanto apparisse triste, troppo magro e bagnato per le eccessive lacrime versate.

I suoi occhi erano puntati in qualcosa di indefinito davanti a sé.

Spostai la mia attenzione facendola vagare nella radura in cui ci trovavamo, in cerca di indizi su ciò che lo tormentasse così tanto da impedirgli di rialzarsi. Ciò che vidi mi fece raggelare il sangue: il terreno era disseminato di cenere e macchie nere e tutto intorno era ricoperto di polvere e brandelli grigiastri. L’odore di legno marcio era insopportabile e il fuoco scoppiettava bruciando assi e asticelle nate come riparo e trasformate in una tomba a cielo aperto.

Mi voltai terrorizzato verso l’uomo, ma lui continuava a fissare un punto imprecisato davanti a sé. Il suo viso, ora illuminato dalla luna nascente iniziava ad apparirmi familiare, ma dei bagliori oscuri apparsi improvvisi nei suoi occhi chiari mi spinsero a girarmi di nuovo verso la radura.

Al posto di cenere, pulviscolo e legname marcio, ora vedevo una sorta di capanna completamente avvolta dalle fiamme. Mi alzai in piedi di scatto e cercai di afferrare l’uomo per un braccio per portarlo, trascinarlo se necessario, lontano da lì. Le fiamme avvolgevano ogni cosa davanti ai miei occhi terrorizzati e il fumo, acre e denso, pungeva i miei polmoni come tanti piccoli aghi. Cercavo ancora di scuotere il signore, ma era come se le mie piccole mani non riuscissero nemmeno a scalfirlo, figurarsi toccarlo appena. Un tonfo improvviso mi costrinse nuovamente a volgermi verso la capanna, scoprendo così che una parete, avvolta dalle lingue di fuoco, si era sgretolata a terra: ora potevo vedere all’interno.

La mia attenzione venne catturata da due corpi accasciati a terra, ormai privi di vita, circondati dalle fiamme. Vicino a loro scorsi una figura più piccola, chissà come sopravvissuta, tremante e scossa da profondi e incessanti singhiozzi.

Stavo per accorrere in suo soccorso quando, nella foga, scorsi un ragazzino riverso in modo scomposto a terra tra le macerie. In una mano stringeva ancora un fiammifero e i moncherini che intravedevo dalle sue caviglie erano testimoni della tremenda esplosione da cui l’incendio aveva preso vita.

Caddi a terra.

Sentii ogni forza abbandonarmi e un dolore lancinante assalirmi percorrendo le gambe e arrivando dritto al petto. Cercai di alzarmi, ma degli spasmi violenti e improvvisi me lo impedirono. Riuscii solamente ad abbassare lo sguardo, pentendomi subito di averlo fatto: i miei piedi erano spariti. Vedevo solo le mie caviglie annerite e un odore pungente di carne e gomma bruciata che si innalzava da queste.

Sollevai lo sguardo verso la figura più piccola, ancora tremante e scossa dai singhiozzi, scorgendone gli occhi chiari illuminati dalle fiamme che ancora avvolgevano la capanna. Mi voltai poi verso quell’uomo, stringendo i denti per il forte dolore, e trovai quegli stessi occhi chiari ora puntati nei miei. Ancor prima di realizzare davvero ciò che dei ricordi bruciati cercavano di farmi apparire davanti, percepii delle calde lacrime solcarmi il viso.

“Mi dispiace, fratellino mio”.

– – – –

Nota dell’Autrice.

Ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la mia partecipazione a questo concorso, grazie a tutti voi. Inoltre sono così emozionata che non vedo l’ora di conoscere i risultati. Ora mi metto tranquilla e aspetto. Grazie mille.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Giulia grazie per aver scritto questa storia, è davvero ben concepita, con elementi calibrati e un finale toccante e drammatico. Originale anche la modalità con cui si sviluppa la trama. Mi è piaciuto.

    1. Ti ringrazio davvero tanto per questo commento. Tengo molto a questo racconto e, quindi, vedere quanto sia stato apprezzato mi rende euforica. Non avrei, credo, sperato niente di meglio. Grazie!

  2. Complimenti, ho apprezzato davvero molto questo racconto.

    L’inizio, alquanto curioso, ti trascina nella lettura presupponendo si sviluppi in cose banali.
    Invece, man mano che si prosegue con la lettura, si vien a conosceza di dettagli sempre nuovi, che lì per lì sembrano non centrare nulla
    con il racconto, ma nel finale si riallaccia il tutto dando un senso a quello strano gioco che il bambino faceva inizialmente saltellando
    da una ombra all’altra, del perchè seguisse quello sconosciuto, del perchè sentisse bruciare i suoi piedi quando non era in una ombra qualunque.

    Il finale poi, lascia un gran vuoto interiore,
    facendo sembrar quasi quel bambino fosse incappato in una sorta di maledizione,
    che lo costringe a guardare senza poter influire con gli esseri viventi,
    e quindi senza riuscir a togliersi questo macigno che ha sulla coscienza riguardo ciò che ha fatto.

    Dentro di me avrei voluto il racconto continuasse, mi sarebbe piaciuto sapere cosa accade poi, e perchè no, magari sperare in un lieto fine 🙂

    Ancora i miei complimenti,
    – Requiem

    1. Ciao Requiem Hollow,
      sono molto felice di leggere che il racconto sia stato di tuo gradimento ma ancor di più nel leggere che ti ha fatto provare delle emozioni. Una delle cose più importanti, infatti, quando si scirve – almeno questo capita a me – è cercare di trovare le giuste epressioni / descrizioni per far sì che si provi qualcosa leggendo.
      Il bambino è stato vittima di un fato malvagio e, forse, persino macabro.
      L’uomo, invece, non sa che nonostante lui pensi di essere solo non lo è mai davvero.
      Ho cercato di far vedere come una qualsiasi casualità potesse creare una serie di conseguenze, non solo per chi la provoca ma per tutti coloro che lo circondano.
      Ripeto, sono veramente felice di aver scritto questa storia e di aver seguito il consiglio di una persona per me che mi ha portato sulla giusta via, in un momento in cui non ero certa nemmeno se partecipare o meno al concorso.

      Grazie ancora di aver commentato ^.^

  3. Inizialmente pensavo si trattasse di un amore che non si voleva lasciare andare, poi andando avanti nella lettura ho immaginato si trattasse di una cosa tragica e ben più profonda.
    Mi ha toccato l’anima, quasi come se fossero miei quei piedi che correvano disperatamente per raggiungere il caro perduto. Davvero, complimenti.