
Ricordi di una capinera
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: L’arrivo e le altezze
- Episodio 2: Il coltello e i ricordi
- Episodio 3: Nel cuore della notte
- Episodio 4: Ombre rosse
- Episodio 5: Le parole nel buio
- Episodio 6: Il temporale
- Episodio 7: La visione
- Episodio 8: La rivista di poesia ermetica
- Episodio 9: La finestra dell’albergo
- Episodio 10: Il solletico dell’assassino
- Episodio 1: Ipotesi di accoglienza
- Episodio 2: La prima accoglienza
- Episodio 3: Ingresso in camera
- Episodio 4: Prima di cena
- Episodio 5: Inizio della cena
- Episodio 6: L’arrivo a Praga
- Episodio 7: Vita con Edo
- Episodio 8: Delle carte utili e inutili
- Episodio 9: Col respiro spezzato
- Episodio 10: Primi mutamenti
- Episodio 1: Incontro con il direttore
- Episodio 2: L’invito domenicale
- Episodio 3: La sentenza
- Episodio 4: Riverberi dal pranzo
- Episodio 5: Il sonno di Edo e la telefonata
- Episodio 6: Dalla parte di Gustav
- Episodio 7: L’arrivo di Lara in albergo
- Episodio 8: Il rischio e l’abisso della fiducia
- Episodio 9: La sosia
- Episodio 10: La fuga e il rigagnolo
- Episodio 1: Primi barlumi di vertigine
- Episodio 2: Sola al mondo
- Episodio 3: Un faro nella notte
- Episodio 4: Battiti nel sole
- Episodio 5: L’inaugurazione
- Episodio 6: In sala Picasso
- Episodio 7: L’ingegnere astrofisico, Cleofe e un avvelenamento
- Episodio 8: Impulso di fuga
- Episodio 9: Diramazioni, rimpianti e incantamenti
- Episodio 10: Confidenze notturne di una cantante in crisi
- Episodio 1: La trappola
- Episodio 2: La stipula
- Episodio 3: La seduzione
- Episodio 4: Il sole di mezzanotte
- Episodio 5: Prime ore da direttore
- Episodio 6: Servizio in camera
- Episodio 7: La partenza
- Episodio 8: Ricordi di una capinera
- Episodio 9: Il numero di Alex
- Episodio 10: Il cartolaio
- Episodio 1: Riverberi percettivi
- Episodio 2: Incontro con il giudice Max
- Episodio 3: L’interruzione
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
STAGIONE 4
STAGIONE 5
STAGIONE 6
La notizia si diffuse in breve tempo nell’albergo e nei suoi immediati paraggi, e poi ancora oltre. Non si parlava d’altro, ormai. Era indubbio che lo spaventoso incidente dell’autobus dell’orchestra da ballo avrebbe aperto nuovi scenari sui diretti o sul diretto responsabile, così sulle cause, sui sopravvissuti con i loro familiari, o sui soli familiari dei morti che avrebbero preteso con ferocia e dolore la massima chiarezza, al di là di un adeguato risarcimento. Dopo un sinistro di tale portata era d’obbligo un percorso accurato di indagine, che solo un tribunale avrebbe potuto garantire in pieno, e non certo una rivista di ermetismo lirico spicciolo, fondata da un poeta incompreso, per giunta fallito. Il tribunale sarebbe stato l’unico luogo idoneo a cui avrebbero fatto capo i familiari delle vittime, ciascuno con i suoi canali e contatti, il resto era fumo. La mia figura avrebbe quindi rivestito un ruolo fondamentale, al quale non mi era dato sottrarmi.
Avevo gli occhi stanchi, la mente in fibrillazione e non trovavo più la cantante. Ero consapevole di averle salvato la vita, ma non da avvocato, nemmeno da direttore di rivista, ma da amante d’ufficio di una notte. Si può salvare una vita da amanti di una notte senza essere poeti?, pensai. In effetti avevo salvato una vita umana sollazzandomi a sbafo con il suo corpo giunonico, invitante come un gioco d’azzardo, un’attrazione, una ruota panoramica in fiamme. Niente di eroico o di romantico, ma solo di torbido e di lascivo. Di certo, se non mi avesse incontrato e sedotto, avrebbe fatto per benino le sue valigie e sarebbe scesa giù per ripartire con tutti gli altri, andando incontro alla sua fine.
Non trovando più la cantante, rientrai nel disordine della sua camera, dove avevo trascorso la notte fino a quell’alba di morte, per ricompormi, darmi una ripulita, prima di precipitarmi in tribunale. Solo nel tardo pomeriggio sarei passato allo studio legale, dove avrei cercato di chiarire i vari aspetti legati alla mia nuova responsabilità direttoriale per la rivista, dichiarando a tutti che la cantante era rimasta uccisa nell’incidente, cercandole nel frattempo un rifugio segreto, che avrei condiviso con lei sin quando non avrebbe trovato un luogo più idoneo e sicuro dove stare. Mi sembrava una pianificazione di tutto rispetto.
Quel mattino ricevetti la colazione in camera – nella camera della cantante, naturalmente. Me la portò una camerierina macilenta, tremante, visibilmente sconvolta dall’accaduto.
«Non riesco a crederci. Li avevo salutati poco prima che partissero, servendo le loro tavolate più di una volta, in sala ristorante. Erano tutti sereni, contenti, spensierati. Uno di loro, un tipino simpatico, con un bel ciuffo biondo, fiammante, aveva persino scherzato con me. Mi aveva chiesto se mi piaceva la musica, e io gli avevo risposto che amavo molto la musica. Mio nonno al paese suonava la fisarmonica e l’ocarina; da bambina, tutte le domeniche, mi divertivo a sentirlo suonare, cantando e ballando fino a tardi sulle sue note semplici, che io trovavo meravigliose. Il nonno mi chiamava capinera, per quanto fossi piccola, sottile e canterina, e per come mi muovessi bene, con la giusta agilità , alle frasi della sua musica, ma la mia vocina non riusciva mai a coprire gli accordi della fisarmonica e nemmeno gli svolazzi dell’ocarina.
«Più forte, canta più forte, capinera» mi incitava il nonno. Io cercavo di cantare più forte, ma non riuscivo a farmi sentire come lui avrebbe voluto; allora cercavo di compensare con il ballo e sgambettavo a più non posso, pur di mostrargli il mio amore per lui e per la sua musica. Quando il nonno si stancava, posava la fisarmonica a terra, la schiena accanto a un albero di noce, e si riempiva un bicchiere di vino rosso. Lo sorseggiava con lentezza, fino in fondo, con lo sguardo nel cielo del crepuscolo, che entrava in silenzio nei miei capelli e nella nostra vita, come faceva il vento delle montagne vicine. Io continuavo a ballare e a cantare, anche senza musica, ma lui mi diceva di non sentire la mia voce da capinera, quando invece non era possibile che non la sentisse, perché la fisarmonica non suonava più e io avvertivo che nell’aria la mia vocina era chiara come un uccellino del freddo e non aveva rivali. Ho anche sospettato che lo facesse apposta, perché voleva rendere la mia voce da capinera sempre più chiara e infinita. Dopo aver raccontato questo episodio, l’orchestrale mi è venuto vicino e mi ha dato un bacino invisibile dietro l’orecchio; poi mi ha chiuso nella mano un biglietto con il suo numero di telefono. Mi ha guardato per un’ultima volta, prima di andare, allungandosi un dito sul naso, poi sulle labbra, per intimarmi di tenere per me il nostro segreto. Adesso non riesco a pensare al fatto che siano morti tutti, compreso lui, il più carino e gentile del gruppo. Mi manca l’aria e anche la voce, al solo pensiero, come mi succedeva col nonno durante i giorni di festa, su al paese, prima che si impiccasse allo stesso albero di noce dove la domenica riposava bevendo il suo vino rosso. Mi perdoni, ma adesso non riesco più…»
La cameriera si interruppe di colpo, con la voce rotta dall’emozione, gli occhi neri di paura e di malincuori. Io sbranavo la mia colazione e piangevo a dirotto, di fronte a lei, senza ritegno. La pregai di chiudere la porta, di venirmi vicino e tentare di chiamare il numero di telefono che le aveva dato l’orchestrale, nell’ultima sera del suo soggiorno – o della sua vita –, non escludendo che almeno uno di loro, se non proprio lui, per un colpo di fortuna o un miracolo, si fosse salvato. Lei mi assicurò che erano morti tutti, essendo una notizia confermata dalla radio nazionale, aggiungendo che non aveva il coraggio di comporre quel numero di telefono. Se potevo farlo io sarebbe stata la soluzione migliore, secondo lei. Non ne vedeva altre, al momento, la capinera.
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: La trappola
- Episodio 2: La stipula
- Episodio 3: La seduzione
- Episodio 4: Il sole di mezzanotte
- Episodio 5: Prime ore da direttore
- Episodio 6: Servizio in camera
- Episodio 7: La partenza
- Episodio 8: Ricordi di una capinera
- Episodio 9: Il numero di Alex
- Episodio 10: Il cartolaio
Struggente questo episodio. Il destino a volte ci aspetta dietro l’angolo senza pietà , e non possiamo farci nulla. Siamo impotenti. Eppure speriamo fino all’ultimo, anche quando sappiamo che nulla è rimasto da salvare. Il finale mi ha ricordato proprio questo, il nostro non arrenderci, aggrapparci ai dettagli. Come fosse più semplice discutere su chi deve fare la telefonata, piuttosto che accettare la realtà .
Ciao, Irene. Mi ritrovo molto con la tua lettura. Lo struggimento è davvero invasivo in questa zona che considero di snodo, dove forse per la prima volta si concretizza in pieno il senso della vulnerabilità . Questa componente pervaderà diversi personaggi, in contesti diversi. In quel numero di telefono si evidenzia il confine misterioso tra più dimensioni, la speranza e insieme il dolore di poter ricostituire un contatto impossibile con un incanto rivelatore e poi perduto ancor prima di suggellarlo e perpetuarlo nel proprio cuore, come nel caso dell’incontro sublimato dalla cameriera con l’orchestrale nelle sue ultime ore di vita. Davanti alla tragedia si abbattono le convenzioni, le barriere del tempo, gli ideali, e si dilatano nel contempo gli spazi onirici e immaginativi, mentre tutto viene attraversato da una particolare traslucenza di inconsolabilità , che insieme ferisce e rigenera. Da questo momento in poi una buona parte delle dinamiche di sviluppo della serie saranno segnate da questa condizione, come se lo sguardo della capinera rappresentasse l’approccio universale al mistero perenne che avvolge la storia. Un saluto e ancora grazie del tuo bel commento.
“Si può salvare una vita da amanti di una notte senza essere poeti?, “
bellissimo questo passaggio