Ricostruire la storia

Serie: Il secondo bacio


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: «Devi dormire qui, in fianco a me.» Mi sentivo strana, un nodo intorno alla gola. «Ma non ti credere.» Poggiai la valigia sopra quello che sarebbe stato il suo letto e d’un fiato confessai il mio segreto. «Io sono già fidanzata.»

«Io qui non ci resto.»

Patrizio aveva spinto le valigie sotto il letto senza nemmeno aprirle. In bagno si era rifiutato di lasciare asciugamano e spazzolino insieme a quelli di tutti gli altri e per l’intera durata del suo tempo al casolare di condividere armadi e vestiti non avrebbe mai voluto saperne. Lo avevo accompagnato per l’intera casa mostrando le stanze, spiegando regole, spazi comuni, turni e orari. Sbadigliava seccato, lo sguardo oltre le finestre a rincorrere i polli per l’aia.

Quella sera a cena rifiutò le verdure.

«Io queste non le mangio.»

Il volto di cera, il piatto spinto al centro del tavolo.

Nella cucina calò il silenzio. Con gli occhi sgranati e il boccone a mezz’aria aspettavamo una punizione che non arrivò.

«E invece devi fi—»

Uno dei piccoli provò a intervenire ma Algida zittì lui e non l’insolenza del nuovo arrivato.

«Non è giusto!»

«Lo devi punire.»

Qualcuno si ribellò, qualcun altro tirò calci da sotto le sedie.

«E noi perché sì, allora?»

Non servì a nulla. Algida restò inamovibile e Patrizio impunito.

Soltanto a cena finita, quando fu il momento di alzarsi e ritirarsi per la lettura e il sonno, lo fermò.

«Tu no.» Il dito mozzo a trattenerlo per la spalla. «Da qui ci si alza soltanto a piatto vuoto.»

Lasciammo la cucina soddisfatti. Dopo essermi infilata il pigiama e lavata i denti tornai a spiare. La tavola era già sgombra, il piatto con le verdure l’unico rimasto. Sedevano uno in fronte all’altro. Lui giocava con la forchetta, spostava il cibo nel piatto senza ingoiare nulla. Lei, a testa bassa, rammendava un paio di calze fingendo di non guardare.

Quando Patrizio venne ad infilarsi sotto le mie coperte era mezzanotte passata.

«Hai sbagliato letto.»

Mi si rannicchiò addosso, schiena contro schiena. Sentivo le sue costole magre premere contro le mie.

«Lo so.»

«Non puoi stare qui.»

Lo spinsi di sotto con una pedata. Risalì.

«Da solo faccio gli incubi.»

Si accucciò più in basso, ai miei piedi. Tirava su col naso, doveva aver pianto.

«Le hai finite, almeno?»

«Dopo sì.»

La luce nella stanza di Algida era spenta da un pezzo. Capii che aveva aspettato di restare solo per svuotare il piatto. Lo avrebbe fatto sempre. Opporre una muta, ostinata resistenza, per cedere soltanto dopo, quando lei non guardava.

Si attorcigliò alle mie gambe, una scimmietta con il ramo. Singhiozzò ancora un paio di volte poi il respiro si fece calmo e pesante. Sentivo il suo cuore battere contro una coscia, i suoi riccioli mi pizzicavano i piedi. Non riuscivo a muovermi e fui di nuovo tentata a cacciarlo, poi modellai la posizione del mio corpo intorno al suo e mi addormentai anch’io.

Gli altri iniziarono a chiamarci i fidanzatini. A Patrizio non importava, come di tutto il resto. Io invece avrei voluto ribattere, urlare che no, non era vero, quel bimbo imbronciato e bizzoso non mi piaceva per niente. Muta, li lasciavo parlare. D’altronde il mio vero fidanzato era un ragazzo morto più di quarant’anni prima e questo in giro non lo potevo certo dire. Nessuno avrebbe mai capito.

Mi ero procurata un libro sulla Seconda guerra mondiale. Una versione illustrata, per ragazzi. C’erano cartine geografiche, linee del tempo, fotografie. Lo portavo sempre con me e la notte lo conservavo sotto il cuscino.

Un viso, un nome, due date. Di Peter non avevo altro. Lo cercavo in quel libro, costruivo così la nostra storia. Imparare i fatti, studiare i tempi e i luoghi era un modo per sentirmi vicina a lui.

C’era un’immagine, in particolare. La fotografia di una spiaggia a nord della Francia, dov’erano sbarcati gli inglesi e gli americani. Era scattata a colori, ai giorni nostri. La guerra ormai relegata alla storia, i resti abbandonati di navi e container ancora lì a riposare tra i turisti e la sabbia dorata. Il tempo li aveva resi innocui, ricoperti di ruggine e alghe, simili alle carcasse di enormi animali stanchi. Le persone ci camminavano a fianco, addomesticate a un terrore che non faceva paura più.

Ogni sera, prima di dormire, con il mio libro sotto il cuscino e Patrizio attorcigliato ai miei piedi sognavo Peter. A volte veniva dal mare, a salvarmi da sotto le bombe come le notti dentro il granaio. Altre volte invece camminavamo lungo la spiaggia, mano nella mano come i veri fidanzati, tra i resti di acciaio dimenticati. Ci giocavamo a nascondino, schizzavamo tra le onde e non c’era mai stata nessuna guerra.

A scuola, durante l’intervallo sfogliavo il mio libro invece di giocare con gli altri.

«Ti piace la storia?»

Alla maestra brillavano gli occhi.

«Sì.»

Mi si sedeva a fianco, entusiasta. Raccontava aneddoti, consigliava nuove letture.

«Non perdere mai questa passione.»

«No.»

I mei occhi brillavano quanto i suoi, ed era Peter.

Ancora oggi, mi chiedessero di descrivere con una sola immagine cosa è l’amore, userei questa. Una bambina e il suo segreto, un libro aperto su di un cuore che batte. Lo sguardo incantato di una maestra a non capirci niente.

Algida invece aveva capito tutto. Da quando mi aveva riacciuffata al cimitero e chiusa dentro il granaio si comportava in modo diverso. Dopo la punizione non aveva più fatto cenno alla mia disobbedienza. Ogni domenica le sgattaiolavo da sotto il naso, mi lasciava fare. Non solo. Iniziò a comprare due rose bianche, prima di separarci me ne infilava una nella tasca senza farsi notare.

«La ricordi la strada?»

«Sì.»

«Torna in tempo e non ti perdere.»

Con il cuore in gola e lo stomaco in disordine correvo da Peter. Sistemavo la rosa insieme agli altri fiori, sopra le punte alzate lo baciavo e vi giuro, sotto le mie labbra quel ragazzo era vivo. Ma a dispetto di tutte le belle addormentate quei baci non mi levavano dal sonno, anzi. Sognavo ancora di più. Perché non è mai l’inizio di un nuovo amore a svegliarci, ma la sua fine. 

Serie: Il secondo bacio


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Questa bimba diventa quasi reale all’interno di una narrazione che si costruisce attorno a lei come fosse una fortezza. Dentro c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno per immaginare, sognare e visualizzare la storia.
    Lei, invece, da quella fortezza entra ed esce come vuole, quasi ci prendesse in giro. E semplicemente perché lei non è una. Lei è il suo corpo che vive e sente, e poi è il suo dentro che inventa storie d’amore e di guerra. La capacità che sviluppano certi bambini particolarmente sensibili (e anche certi adulti fortunati) di vivere la propria vita non come vita vissuta, ma come vita raccontata. Esattamente come diceva Marquez.
    Mentre leggevo, pensavo a una cosa. Da tempo non entro in un cimitero, per scelta. Però, nella parte vecchia del cimitero del mio paese c’è una piccola tomba con una lapide semplicissima, una sorta di palo in marmo. È sepolto un fratello di mio nonno disperso in guerra. Il mio nonno, nato dopo, porta lo stesso nome, Bonifacio. Per anni ho portato fiori su questa tomba perché provavo pena per lo stato di abbandono in cui si è sempre trovata. E per anni ho immaginato come potesse essere questo giovane soldato, se più o meno bello di mio nonno e ho fantasticato storie su di lui. La prossima volta ti ci porto e grazie per questa splendida storia e per i ricordi che evoca in me.

  2. “«Tu no.» Il dito mozzo a trattenerlo per la spalla. «Da qui ci si alza soltanto a piatto vuoto.»”
    Forse, uno dei tuoi personaggi più belli, interessanti, completi. Parli di lei senza le parole. Ce la mostri, semplicemente. E noi lì, a pendere dalle tue labbra (Sai una cosa curiosa? Non so perché ma di lei mi sono fatta un’immagine che è tipo alla Ave Ninchi 😃. Non odiarmi!)

  3. Patrizio è tenerissimo: mi ha fatto commuovere quando, dopo cena, è andato a rannicchiarsi accanto alla sua nuova amica. E la strana storia d’amore con Peter è una delle cose più romantiche che abbia mai letto. Confermo: adoro questa serie!

  4. Molto bello e vero questo tuo racconto. Riporta indietro nel tempo: quando sei adolescente, vuoi sapere tutto di chi ti innamori, ma non per gelosia, bensì perché tutto quello che lo riguarda e gli somiglia te lo fa sentire vicino. In questa inquietudine appagante, il nostro io quasi non esiste più perché si è trasferito in un altro essere. Brava, Irene👏👏👏

  5. Tempo fa, nel commento a un mio racconto, avevi detto di essere un’inguaribile romantica. Questo tuo racconto, tutto il racconto ma in particolare questo episodio, lo dimostra in modo perfetto.
    Bellissimo, emozionante. Non ho altre parole da aggiungere.

  6. Dice bene Paolo, con questo episodio, ma anche dal primo al quarto, rapisci il lettore, con la profondità, l’ intensitá e la bizzarria di ciò che la meravigliosa protagonista ci racconta.
    Dimmi che non finisce qui.

  7. Ho trovato questo episodio strepitoso. Una conferma (che non serviva) della bella premessa e di quanto sinora hai proposto. E non saprei dire quale parte mi abbia più colpito, perché mi è piaciuto proprio tutto: la scelta degli accadimenti, il modo con cui li racconti e rapisci il lettore, facendolo sentire in quel luogo e in quel momento. E poi, le figure dei personaggi, dipinte attraverso loro azioni. Bravissima! E grazie anche per questa puntata