
Riders on the storm
Serie: Bivacchi
- Episodio 1: Nei pressi della morte
- Episodio 2: Stop me
- Episodio 3: Chi ha paura di Lu Barban?
- Episodio 4: E alla fine arriva Dima
- Episodio 5: Alla conquista del Bionaz!
- Episodio 6: Sprofondo bianco
- Episodio 7: Riders on the storm
STAGIONE 1
(Immagine di copertina di Fabio Elia)
Una volta entrati dentro il bivacco, mi sono levato di dosso i vestiti fradici e mi sono infilato dentro il sacco a pelo, camminandoci dentro. Finalmente capivo come facesse a camminare Pisellino di Popeye. Dopo aver visto, con nostro grande sollievo, che la legnaia era ben fornita, Scilli ha cominciato ad armeggiare con la stufa e in un breve lasso di tempo, il fuoco era acceso ed i nostri vestiti stesi ad asciugare. Dopo qualche ora avrebbe persino fatto caldo, tanto da stare in maniche corte. Io ho messo su la mia playlist sullo smartphone. Nonostante molti pezzi risultassero graditi, è stata contestata da Favie ed Ele per via di quella che io chiamo la “teoria dei semafori”. Quando noi viaggiamo in auto e troviamo dei semafori verdi, non ce ne accorgiamo neanche, passiamo oltre dandoli per scontati; ma ecco che, quando ne troviamo di rossi, imprechiamo, sostenendo di essere davvero sfortunati perchè troviamo “tutti rossi”. Dunque, la loro attenzione si focalizzava sui pezzi che non piacevano loro, mentre sembravano non badare ai brani dei Radiohead, ad esempio, che cantavano appassionatamente. Ele, in particolare, si accaniva contro i Depeche Mode (perdonala, Dave Gahan, perchè non sapeva ciò che diceva) dicendo che hanno fatto due brani e poi sono spariti. A breve, io, Scilli e Blaco saremmo andati a vederli allo stadio di San Siro (con nostro grande godimento), pertanto la mia playlist, effettivamente, era ben “farcita” di loro brani.
Ad un certo punto, vediamo Blaco agitarsi. Parlando di lui, ovviamente, bisogna figurarsi che la sua agitazione corrisponde alle movenze che una persona normale fa a media velocità. Ma se si è abituati a vederlo muoversi alla moviola, ogni piccola accelerazione colpisce l’occhio degli osservatori.
-Che c’è, Blaco?-
-Non trovo più il cellulare! Lo avete preso voi?-
-No.-
Dopo qualche minuto.
-Dai, ragazzi, se lo avete preso ditelo. Il gioco è bello quando dura poco.-
-No, Blaco, non lo abbiamo preso.-
-L’avrai appoggiato da qualche parte durante uno dei tuoi momenti di svampitezza e non te lo ricordi.-
-Svampitezza?- Digrigna.
Momento permalosaggine.
-Siete sicuri che non l’avete nascosto voi?-
-No, Blaco, magari ti è caduto sulla neve nell’ultimo tratto.-
-Bastardi…- Bisbiglia, recandosi fuori.
Ridiamo nervosamente.
-Ma perchè “bastardi”?! E’ ancora convinto che ce l’abbiamo noi!-
Riprendiamo il discorso che stavamo facendo, dimenticandoci pian piano della questione.
Circa dieci minuti dopo, Favie si chiede che fine abbia fatto Blaco ed esce per sincerarsene. Poco dopo, quest’ultimo entra con un sorriso imbarazzato, mentre Favie lo insulta. Il cellulare era in una tasca della sua felpa e lui si era fermato a fumare una sigaretta fuori, per ritardare l’ingresso. Con lo sguardo verso il basso per la vergogna, ci ha detto:
-Scusate, ragazzi.-
-Tranquillo, Blaco!- Ma ovviamente, il prezzo che avrebbe dovuto pagare sarebbero stati un po’ di sfotto’. Era il minimo.
Più tardi, durante una lauta cena, eravamo ebbri di vino e Genepy, tanto che io e Blaco ci siamo messi a cantare a squarciagola “La fisarmonica” di Gianni Morandi, un pezzo vecchissimo, lasciando gli altri perplessi ed esterrefatti.
Questo meraviglioso bivacco aveva anche un minimo garantito di corrente elettrica e così, abbiamo allestito la saletta a fianco a sala cinema, portando giù i cuscini dalla stanza da letto del piano superiore per rendere più comode le panche. Volevo iniziarli alla serie Twin Peaks, quella originale del 1991 e perciò avevo portato su chiavetta l’episodio pilota. Quella serie è una delle cose più inquietanti che io abbia mai visto e noi la stavamo guardando, di notte, sperduti in un nulla distante dalla civiltà, in un bivacco che non si poteva chiudere dall’interno. Per me era un momento magico. Ero in apprensione perchè ci tenevo al fatto che piacesse loro.
Beh. E’ piaciuta (Favie ed Ele, tornati a Torino, avrebbero guardato le prime due stagioni complete più il prequel “Fuoco cammina con me”) ed ha sortito il suo effetto: Ele non sarebbe riuscita a dormire, preoccupata per ogni minimo rumore.
Prima di salire su, siamo usciti per una pisciatina e del nevischio ci batteva furente contro la faccia. Rientrati, abbiamo riportato i cuscini su, scelto ognuno il proprio letto e ci siamo coricati. Si stava bene; il calore della stufa era salito al secondo piano, dove c’erano i letti, ma non così tanto da farci patire il caldo. Verso le sei del mattino, ho sentito dei colpi e mi sono svegliato di soprassalto.
-Cos’è stato?-
-Vedi che allora ci sono i rumori?- Ha ribattuto prontamente, Ele.
-Saranno le persiane di sotto che sbattono per il vento.-
-Vado a controllare, tanto mi scappa la pipì.-
Sono sceso giù. Erano le persiane.
Quando sono uscito per orinare, continuava a scendere nevischio in quantità ed ho notato che il livello della neve era salito un pochino. Ma non volevo creare scompiglio. Si sarebbero preoccupati e avrebbero voluto levar le tende subito. Io volevo dormire ancora un po’ e poi magari, nel frattempo, avrebbe smesso di nevischiare. Sono tornato a letto.
Dopo un’oretta, è sceso anche Scilli per lo stesso bisogno, ma lui, al contrario, ha riferito lo stato del meteo con una certa dose di allarmismo. Favie era preoccupato. I cellulari non prendevano e se fossimo rimasti isolati per via della neve, non avremmo potuto avvisare nessuno. Niente dolce risveglio, niente colazione contemplativa.
-Mettete in ordine. Preparatevi più in fretta che potete. Mangiate due biscotti al volo e si parte- Tuonava Favie- Meecs, tu che non hai fatto niente per il gruppo, legati la busta dell’immondizia allo zaino. Mettetevi dei sacchetti di plastica legati attorno alle scarpe e andiamo!-
Poco dopo, eravamo fuori, tesi ed apprensivi nel contemplare tutto quel bianco intorno a noi che avremmo dovuto affrontare e nel sentire la tormenta di neve che ci sferzava i volti. Io mi sono fatto avanti verso la staccionata per cercare il punto dal quale eravamo saliti, ma con mio grande smarrimento, ho potuto constatare che la neve della notte aveva già coperto le orme della sera prima. Non avevamo riferimenti. Qui e là si vedevano sbucare dalla neve profonda, punte di alberi e rocce. Avevamo paura. Scendendo a tentoni, senza riferimenti, poteva esserci sotto qualsiasi cosa, anche un crepaccio. Mi sono fatto coraggio e per primo, mi sono gettato oltre la staccionata. Avevo preso una roccia come riferimento; ricordavo che l’avevamo costeggiata la sera prima durante la salita. Ho cominciato a scendere di culo; era l’unico modo per non sprofondare. La mia solita tattica del ragno (utilizzata sia a Rocca Sella che al Bionaz): per scendere usavo tutto, mani, piedi…e chiappe. Nei punti in cui la pendenza diminuiva, invece, mi mettevo a quattro zampe, come i bambini e procedevo così, con la busta dell’immondizia che, penzolante dallo zaino, mi batteva contro la faccia, con mia grande gioia. Poi riprendeva la pendenza e allora mi riposizionavo seduto e scendevo come un ragno. Dietro di me, gli altri scendevano anche loro a capicollo. Qualcuno mi aveva imitato, qualcun altro trovava uno stile tutto suo.

(Foto di Fabio Elia)
Nel giro di dieci minuti, la discesa dal bivacco era finita, ma arrivati giù, un’altra amara sorpresa ci aspettava.
-Ragazzi, la neve ha cancellato il sentiero.-
-Cazzo!-
Poteva essere pericoloso. A fianco al sentiero, c’erano dei crepacci e senza vederlo bene, c’era il rischio di scivolare giù. Poi mi sono reso conto di una cosa: guardando a terra non vi era traccia del sentiero, ma guardando in avanti, in controluce, si riusciva a distinguere una lieve inflessione del terreno che indicava il tracciato. Non c’era alternativa; seguendo, con lo sguardo in avanti tale traccia, mi sono incamminato, seguito dagli altri. Precedendo, pronunciavo ad alta voce la mia preghiera buddista, nel silenzio della montagna.
Superando il tratto che costeggiava uno scosceso pendìo, durante il quale procedevamo pianissimo per non scivolare giù, il percorso si faceva un po’ meno rischioso. Le buste di plastica legate ai piedi si erano spappolate. Gli occhiali di Scilli si riempivano di neve e, ogni tanto, dovevo fermarmi a pulirglieli con un fazzoletto perchè non vedeva più niente. Il sentiero un po’ più agevole ci permetteva di guardare intorno che meraviglia fosse il paesaggio imbiancato e silenzioso. Ci siamo fatti i complimenti a vicenda, che guerrieri eravamo stati!

(Foto di Fabio Elia)
Ma non era ancora tempo di rilassarsi. Eravamo preoccupati del fatto che la macchina era parcheggiata su un prato. Sarebbe riuscito Scilli a farla camminare? O le ruote avrebbero slittato sulla neve?
L’ultimo tratto di bosco, ci vedeva talvolta prendere scivoloni degni del miglior Charlie Chaplin, ma poco più tardi avevamo raggiunto l’auto. Scilli ci ha tranquillizzati, riuscendo a domare la sua auto “come don Chisciotte il suo Ronzinante”, osservava Favie.
Per un tratto, gli abbiamo camminato dietro pr non appesantire il veicolo, ma una volta raggiunta la strada principale, ci siamo tolti i vestiti fradici e, in calzamaglia ed asciugamano, ci siamo accucciati in macchina, pronti per affrontare il viaggio di ritorno, forti della consapevolezza di aver affrontato come leoni una pericolosa avventura. Ci guardavamo ancora attorno increduli, era il primo maggio, ma sembrava Natale.

(Foto di Fabio Elia)
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