Riforma scolastica notturna

«Sei uno stronzo, Giamma. Ma sai chi è il più stronzo?»

Gianmaria lo osservò basito: «Chi?»

«Io! Io che ti do retta in queste imprese che non servono mai a un cazzo!»

La volante inchiodò davanti ai due ragazzi che si azzuffavano per strada, mentre la scuola in fiamme alle loro spalle rischiarava la notte. Prima i documenti, poi un paio di comunicazioni con la centrale; infine, li fecero salire tutti e due, e partirono a tutto gas. «Questa volta l’avete combinata grossa, ragazzi» disse Vargas, l’assistente capo della polizia, mentre scrutava i loro documenti. L’agente scelto Gargiulo alla guida frenò scalando le marce rapidamente per evitare un gatto sbucato da chissà dove. Gli abitanti del quartiere, scesi in strada in pigiama e cappotto, videro la volante scodare leggermente, per poi ripartire ancora più velocemente. Poi si voltarono sgomenti a scrutare l’edificio, sede del noto liceo privato per figli di papà, immerso nel fumo e nelle fiamme. 

Una volta arrivati in questura, Vargas fece cenno a Gargiulo di avvicinarsi, facendo attenzione che i due ragazzi chiusi in macchina non si ammoscassero.

«Gargiu’ siamo nei guai» sbuffò Vargas.

L’agente scelto scosse la testa con fare interrogativo.

Vargas prese un grosso respiro e poi si spiegò: «Quei due stronzetti chiusi in macchina sono Dodi Carano e Gianmaria Croce Blanda…» ma l’agente scelto storse la bocca in una smorfia ancora più perplessa. «Ok Gargiu’, traduco: il primo è figlio di un ammiraglio e l’altro è il rampollo dei Croce Blanda, la famiglia più potente della città. Ci sei adesso?»

L’agente scelto, a quel punto, sbiancò.

Il giorno prima, Dodi Carano e Gianmaria Croce Blanda si trovavano negli spogliatoi del Tennis club.

«Dammi retta, Dodi. Non c’è altra soluzione» disse Gianmaria mentre riponeva nell’armadietto le Stan Smith usate nel match contro l’amico, che aveva appena vinto.

Dodi, seduto su una panca, si asciugava i biondi capelli cotonati con un asciugamano Ralph Lauren, e cercava di srotolare la T-shirt Paul & Shark. Poi replicò ridacchiando: «E’ una cazzata, Giamma. E lo sai pure tu».

Gianmaria si voltò verso l’amico: «No, sul serio, Dodi. È gennaio, sta chiudendo il Quadrimestre e quella kommunista della Terzani ci ha piazzato una sfilza di insufficienze irrecuperabili a greco e latino.»

Dodi adesso era alle prese con i pantaloni Stone Island: «Ma ti rendi conto che vuoi entrare di nascosto a scuola e far sparire il registro con i voti della Terzani?!»

Gianmaria guardò malissimo l’amico, il quale si accorse di aver appena gridato ai quattro venti il quarto segreto di Fatima. I due rimasero un attimo sospesi. Poi fecero un giro ansiogeno degli spogliatoi per ritrovarsi faccia a faccia. Erano soli.

«Dodi, non c’è alternativa» sussurrò Gianmaria serio come un infarto «se mi rimandano anche solo in una materia, con le rette che fanno pagare in quella scuola di merda, mio padre mi fa partire per la Legione straniera e là si occuperà che mi sodomizzino accuratamente. E a te? Cosa ti fa il sor ammiraglio?»

Al solo pensiero l’abituale sorrisetto di Dodi si spense in una maschera di morte.

«Se tutto fosse fatto, una volta fatto, allora sarebbe bene che fosse fatto presto» declamò Gianmaria scomodando Shakespeare (perché sarà stata pure una scuola di merda ma le cose le insegnava).

«Ho capito, ho capito…» sospirò Dodi infilandosi il Barbour verde catrame «stanotte dallo Zozzo. Oh, se manchi ti bombardo la Carlotta, inteso?» 

Gianmaria lo guardò col broncetto, perché la Carlotta, durante un amplesso, gli aveva confessato che se lui fosse morto lei si sarebbe subito messa col Dodi.

Alcune ore dopo, i due rampolli stavano divorando un panino porchetta peperoni e maionese davanti allo Zozzo, un ristoro mobile che cucinava immondizia col grasso di topo. Più di una persona era stata poi ricoverata per intossicazioni alimentari ma i due ragazzi, cresciuti a Dom Perignon e caviale Almas, lo adoravano.

Alle due di notte precise, giro di Rolex, col panino ancora piantato nello sterno, salutarono lo Zozzo e si recarono sul luogo del delitto. La scuola, un enorme palazzone del Cinquecento forse rifatto nell’Ottocento, giaceva placida e addormentata in fondo alla via. In un silenzio di tomba circumnavigarono il palazzone, e si trovarono davanti alla porticina della palestra, una frontiera fragile come la plastica di cui era fatta. Con qualche scossone ben assestato furono subito dentro. Lasciata la palestra, entrarono nei corridoi illuminati a sprazzi dalla luce lunare. Mentre li percorrevano quatti quatti ebbero la spiacevole sensazione che questi si allungassero a dismisura. Poi un rumore metallico improvviso li paralizzò davanti alla porta della loro classe, la quarta B.

BZZZ! I due si guardarono con aria spersa. Poi Gianmaria si riebbe «Effanculo: è il distributore automatico!»

I due annuirono facendosi il gesto del silenzio, poi iniziarono a ridacchiare dandosi dei benevoli calci nel culo.

Finalmente a tentoni raggiunsero il sancta sanctorum.

Il grande orologio sopra la presidenza, che da secoli scandiva gli orari delle lezioni, li guardò con disapprovazione. 

«I registri sono in presidenza» ribadì una cosa nota Gianmaria.

Dodi sibilò «adesso dobbiamo sperare che il preside si sia dimenticato la porta aperta».

E così, magicamente, fu.

In un baleno i due dilagarono nell’ufficio, dove avevano sostato più di una volta per difetti di condotta, e per un attimo si sentirono potenti e invincibili come i re del mondo. Si abbracciarono. I registri dormivano negli schedari, ignari, come piccoli mostri di carta pronti a risvegliarsi ad ogni fine quadrimestre. Gianmaria vide il fantasma della Terzani che vergava brutti voti, convinta di vendicare così la classe lavoratrice. 

Non mi avrai vecchia baldracca, pensò.

Dopo una rapida compulsata negli schedari, ebbero in mano il registro di greco e latino.

«È fatta!» esultò Dodi brandendo il registro, ma l’espressione dell’amico lo zittì. 

«Che ti prende adesso?»

Gianmaria aveva messo su l’espressione di Napoleone dopo la vittoria di Austerlitz. Poi con lo sguardo allucinato delirò: «Bruciamoli. Bruciamoli tutti, Dodi!» e iniziò a rovesciare tutti gli schedari per terra, poi tirò fuori il liquido per accendini e lo rovesciò sui registri. Il «NOOO!» di Dodi non impedì all’accendino di trasformare la presidenza in un falò folgorante che ben presto dilagò per tutta la scuola, divorando banchi di legno, lavagne e libri. 

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Discussioni

  1. Ciao simone. Un racconto feroce e lucidissimo, che usa la commedia nera per smascherare l’impunità di classe. Dietro il linguaggio triviale e il ritmo cinematografico, il vero incendio non è quello della scuola, ma quello di un sistema dove il privilegio trasforma la stupidità in tragedia senza conseguenze.

    1. Esatto. Sempre più siamo costretti a riconoscere che è la fortuna a governare le cose. Se poi è una fortuna ‘raccomandata’ allora il cocktail è micidiale: vincente e impunito.

    1. Grazie Arianna. Ci sono dei modelli che sono inaggirabili, per lo meno per quelli della mia generazione. L’umorismo grottesco di Paolo Villaggio è uno di questi. Una traccia indelebile.

  2. Delizioso siparietto intriso di atmosfera e topos anni 80/90, tipo il paninaro laido come somma vettoriale delle pulsioni più sordide, la scuola privata, il club dei rampolli, le incursioni notturne stile Guerrieri della notte, impreziosito dal delirante crollo psicotico finale, assolutamente inopportuno

      1. Quale tuo lettore privilegiato da sempre (onoratissimo di ciò al punto da ritenerla una fortuna difficilmente commensurabile, anche se dall’esterno i più la leggono come una immonda connessione di due menti disturbate e disadattate), non ho potuto non concedermi una risata sguaiata all’uso del termine “kommunista”, riemergendo al soglio della coscienza un ricordo, opportunamente rimosso, di un messaggio sms, vero e proprio lapillo espulso, in modo inappropriato ed immotivato, dal delirante magma psicotico, recante la scritta “Gabri, i comunisti stanno invadendo la città”

        1. Già, già. All’epoca la frequentazione quotidiana di certe aule universitarie, che ben conosci, poteva avere effetti allucinatori devastanti. Comunque, se ben ricordi, ci fu un periodo in cui quando il campanello di casa suonava alla domanda «chi è?» la risposta non era «testimoni di Geova» come in tutte le altre città, ma «stampa comunista». Quella storia è durata pure per qualche anno. Impossibile fuggire.