Ritorno in paese

Serie: DE SILVĀ


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Trasferendosi di nuovo in paese, Desilva andò ad aggiungersi ad una famiglia che contava già otto persone. Secondo la più ristretta accezione moderna del termine, probabilmente non si dovrebbe parlare di una sola famiglia, ma di tre, dato che tre erano i fratelli a vivere sotto allo stesso tetto con le rispettive consorti e i figli. Una situazione tanto affollata non dissuase comunque mio nonno dall’accogliere la sorella; d’altronde, anche avesse avuto un altro posto in cui mandarla, dubito lo avrebbe fatto, stando all’attaccamento quasi morboso che lo legava a lei. Chiaramente, il suo smisurato affetto non aveva uguali negli altri abitanti della casa e la convivenza poteva farsi difficile, specie nei casi in cui portava allo scontro le personalità più forti e risolute. Il maggior numero di questioni si sollevava soprattutto dai rapporti col fratello Aldo: a differenza del prediletto Pietro, Aldo aveva un carattere impulsivo e fumantino e non dava alcun freno alle sue reazioni più immediate. In tutte le discussioni in cui Desilva si intrometteva prendendo le parti dei suoi avversari, lui la zittiva senza troppi giri di parole.

– Ma tu che vòi? S’è stata finora a fa l’comodo tuo a Roma e ora che n’te la vole più nessuno s’è arnuta tu qui a scoccià i coglioni!

D’altra parte, motivi di attrito potevano nascere anche dal contatto con le cognate, per cui non nutriva una simpatia indistinta. Nello specifico, pare che nelle sue grazie non riservasse un posto per Carola a cui peraltro si riferiva spesso con un appellativo ironico. Considerata la marcata peluria che le incorniciava il labbro, Desilva aveva infatti ribattezzato quella cognata “abbaffona”, pronunciando articolo e nome tutto d’un fiato e con un raddoppiamento rafforzativo di b ed f.

Piccoli screzi a parte, non ebbe nulla di cui lamentarsi; al contrario, venne quasi trattata alla stregua di una signora. Dal locale del vecchio granaio venne ricavata una stanza appositamente per lei dove furono sistemate due macchine da cucire con mobiletto richiudibile. Sopra a quella di minor utilizzo, Desilva poggiò una televisione portatile Siemens in modo da poterla guardare completamente indisturbata.

D’altronde, in quel cantuccio le era dato intrattenersi a suo piacimento: poteva cucire, ascoltare la radio o anche solo sporgersi dalla finestra a spirare distratta qualche boccata di fumo. 

Naturalmente, dopo aver speso anni a fare la sarta, era impensabile che potesse adattarsi alle vesti contadine che non aveva mai indossato. Così, mentre il resto della famiglia lavorava nei campi, lei dava il suo contributo domestico con ago e filo. Oltre ai rammendi, quando aveva della stoffa a disposizione, si dedicava a confezionare vestiti, soprattutto per mia madre. Da bambina, mamma era tutt’altro che una buona forchetta e aveva una corporatura piuttosto gracile; in una fotografia in cui indossa un ampio abitino a pois, dalla ruota della gonna le spuntano due gambette pallide e sottili come stuzzicadenti. 

Non potendo giovarsi dei cordoncini elastici oggi tanto diffusi, Desilva aggiungeva alle gonnelline della nipote delle bretelle del tutto simili a quelle portate dagli uomini per sorreggere i pantaloni. Benché efficace, la soluzione non risultava affatto gradita; all’opposto, mamma la giudicava di pessimo gusto e, dando precocemente prova del suo carattere ostinato, rifiutava di portare le gonne della zia.

Negli anni successivi al ritorno, oltre al proprio mestiere, Desilva mantenne anche i modi più aggraziati a cui la città l’aveva avvezzata. In un’occasione, mio nonno si offrì di accompagnarla in vespa in paese, dove aveva da sbrigare alcune commissioni in centro. Stando alle sue maniere signorili, era impossibile che vi montasse a cavalcioni e difatti si sedette alle spalle del fratello lasciando ciondolare le gambe su uno stesso lato dello scooter. Così composta, doveva certo apparire molto elegante; fu dunque tanto più comico vederle battere una culata a terra quando mio nonno la perse di sella accelerando.

Nel giugno del 1978, mamma ebbe un incidente col motorino: si fratturò entrambe le gambe e fu costretta a circa tre mesi di immobilità a letto. Non avendo parte nelle attività di campagna, fu Desilva ad accudirla. In una delle meste giornate trascorse con la zia, una vignetta di Topolino si impresse curiosamente nella mente di mia madre. Vi era disegnata la strega Amelia intenta ad ascoltare una canzone; la nuvoletta accanto al suo grammofono ne riportava il testo:

Sofia, senza di te la vita è una pazzia!

Canto perché son triste, canto perché son giù,

ma l’unica mia allegria, Sofia, sei proprio tu.

Quelle righe in rima si intrecciarono spontaneamente al suo presente, lo stesso in cui Desilva era, se non un’allegria, quanto meno la sola compagnia che aveva. Per associazione, prese a prestito il nome dal fumetto ed iniziò a chiamarla Sofia. A dispetto di ogni anagrafe, è ancora questo il modo con cui viene chiamata. Lo stesso con cui ho imparato a ricordarla. 

Serie: DE SILVĀ


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

    1. Come sempre, ti ringrazio enormemente Cristiana! Magari, prima a poi, tradurrò il tuo desiderio in realtà, anche se non nego che al momento non sono ancora riuscita a creare una cornice organica in cui inserire questo ed altri racconti simili. Tendo a rendere meglio sui frammenti, le piccole costruzioni, ecco perché i racconti brevi mi sono congeniali; sulle grandi strutture riconosco i mie limiti.

  1. Non so se ci saranno la terza e la quarta parte, o persino la quinta, ma la caratterizzazione del personaggio di De silva mi sembra ricca di dettagli. Il linguaggio aulico del racconto è chiaramente un’arma a doppio taglio: puo’ piacere come il contrario. Ma questa è la scelta stilistica che hai perseguito. Devo dire che non ho ancora ben capito la trama del racconto, ma forse è perché siamo ancora agli inizi. 🙂

    1. In realtà, sarebbe un racconto auto-concluso, al momento non ha un seguito. Una trama vera e propria in effetti non c’è: nasce come un ritratto colorito ed aneddotico di un’antenata 🙂