Rivangando il passato

Serie: Prison Planet 001


La pozza di sangue sul pavimento si allargava inesorabile, con calma e tranquillità come se tutto fosse già scritto e determinato. Il metallo grigio donava una tonalità particolare a quel liquido scuro che era alla base del mistero della vita umana. Il tacco dello stivale gocciolava copiosamente ogni volta che si alzava da terra, poi riatterrava con violenza su una mano ridotta a poco più che una poltiglia indistinguibile di ossa e carne.

“Ancora non ti torna in mente niente? Proprio nessun dettaglio, Vernon?” urlò Ripley caricando l’ennesimo colpo con la solita violenza.

“Te l’ho detto, non lo vedo da una vita, forse non saprei nemmeno riconoscerlo se lo incontrassi per strada tanto è il tempo passato.”

La donna non stava prestando attenzione a quello che blaterava il malcapitato, era del tutto ininfluente, sapeva per certo che nulla avrebbe detto per mettere nei casini il suo collega. I suoi occhi correvano sulle pareti di quella lurida stanza in cerca di un dispositivo di archiviazione, qualcosa da poter portare via per consultarlo con i dovuti strumenti. Vernon era un hacker, tutt’altro che un uomo d’azione, di quelli che si buttano in mischia con il fucile spianato e la vena sulla tempia che pulsa, la puzza di fritto che impestava l’aria già pesante non faceva altro che confermarlo.

Lo sguardo si fermò sulla libreria, un mobile lungo tutta una parete composto da quattro scaffali pieni di libri di vario genere e diversi colori; c’era in particolare un volume che la colpì più degli altri, di colore nero con una scritta dorata.

“Sei molto credente?”

“Cosa?” farfugliò quello con la mano schiacciata a terra, gli occhi fuori dalle orbite per il dolore.

“Ci sono diversi libri tecnici ma uno solo colpisce l’attenzione perché stona tremendamente rispetto a tutti gli altri: la Bibbia.”

“Certo che sono credente, in un modo o nell’altro il Signore ci salverà tutti quanti, ne sono certissimo” ma il tono della voce tradiva paura ed incertezza, segno che l’intuizione era giusta.

“Aspettami qui, buono buono come un cane” disse Ripley puntandogli contro la canna del fucile.

Si diresse verso lo scaffale incriminato a passo svelto, afferrò il libro e lo aprì di scatto, le pagine non si divisero affatto perché erano fasulle come un’arma giocattolo per bambini. All’interno del volume di legno una piccola nicchia ospitava quella che sembrava proprio essere un’unità di memoria d’archiviazione, di certo contenente qualcosa di interessante per le indagini.

“E qui dentro che cosa abbiamo, amico mio?”

“Niente, sono tutti i dati che ho rubato in questi anni, li tengo nascosti perché potrebbero salvarmi la vita, un giorno.”

“O forse potrebbe rivelarsi proprio la causa della tua prematura dipartita, amico mio” concluse la cacciatrice di taglie mentre faceva scivolare il prezioso rettangolino nel reggiseno.

“Non vorrai portarlo via con te?”

“No, tranquillo, poi te lo renderò a tempo debito, non ti priverei mai del tuo prezioso oggettino. Adesso ho proprio un impegno al quale non posso mancare ma ti prometto che mi farò viva, un po’ a sorpresa perché non vorrei mai che ti venisse in mente di spararmi addosso.”

Una volta tornata a casa decise di mettersi all’opera su quella chiavetta che aveva tutta l’aria di nascondere qualcosa di prezioso; aveva previsto che, trattandosi di un hacker, fosse protetta da qualche sistema di crittografia avanzato ma quando il computer rivelò il tempo necessario ad abbattere la barriera i suoi occhi rimasero impietriti: otto giorni.

“Cristo santo, siamo nella merda, in un bel barilotto di merda di quelli da mangiare col cucchiaino.”

“Che cosa intendi, Ripley?” domandò il pappagallo mentre i suoi occhi elettronici mettevano a fuoco lo schermo “Ah, ora capisco…”

“Non possiamo aspettare tutto questo tempo.”

“Perché non torni da Vernon, magari il tuo caro amico potrebbe svelarti qualcosa in più su questa chiave.”

“Per quanto si tratti di un cagasotto non sarebbe disposto a rivelare la chiave che permette di accedere all’unica cosa in grado di tenerlo in vita.”

“Abbiamo problemi più grandi ai quali far fronte.”

“Altri?”

“I sensori di sicurezza hanno rivelato la presenza di quattro persone nel perimetro dell’edificio, due da sopra e due da sotto, credo proprio che qualcuno sia intenzionato a farci visita, Ripley.”

“Merda santissima” esclamò la donna legandosi i capelli dietro la nuca, negli occhi la determinazione di chi non si sarebbe fatto ammazzare con tanta facilità.

Si alzò di scatto dalla sedia e si diresse verso la rastrelliera alla sua sinistra, afferrò due pistole e le infilò nella fondina, poi prese il fucile a pompa automatico, proprio mentre stava per andarsene l’occhio cadde su un paio di granate che le sue mani non poterono far a meno di prendere. Nella sua testa ballavano diverse piste, ora si domandava chi diavolo avesse spedito con tanta rapidità dei sicari pronti a farla fuori: qualcuno l’aveva pedinata uscita dal covo di Vernon? Oppure si trattava di qualche amico dell’uomo nel bagno? In ogni caso non l’avrebbero portata all’inferno con facilità, avrebbe lottato con le unghie e con i denti per ucciderli tutti, come aveva sempre fatto.

“Stanno per entrare, ho già attivato le difese anti-sfondamento, si troveranno un paio di sorprese davanti prima di entrare qui dentro” sussurrò Alfred con tono rassicurante, l’unico che non l’avrebbe mai tradita per nulla al mondo, semplicemente perché l’algoritmo non glielo permetteva.

“Sei sempre un passo avanti a tutti, amico mio” rispose Ripley mentre controllava che tutto fosse pronto a sparare senza sorprese.

Il silenzio regnava sovrano, nemmeno si fossero già trovati dentro la bara in un cimitero di terza categoria, nemmeno la polvere nell’aria sembrava voler rovinare il momento d’attesa; un rumore di passi fu tutto quello che udì prima dell’esplosione che le fece sanguinare i timpani.

Conosceva bene quella sensazione di smarrimento, il fischio assordante nelle orecchie rendeva i suoi movimenti lenti e goffi, nonostante tutto i suoi riflessi furono abbastanza buoni da permetterle di aprire lo stomaco del primo assalitore, proprio sull’uscio, le budella che non volevano proprio saperne di rimanere al loro posto.

Gli altri tre non furono così stupidi da buttarsi in mischia al seguito del loro amico cadavere; Ripley rimase trincerata dietro la scrivania che era l’unico luogo abbastanza sicuro, almeno fino a quando qualcuno non avesse deciso di stanarla con una granata, ma quella era un’evenienza che, per il momento, non voleva considerare. L’adrenalina le permetteva di rimanere concentrata sulla situazione senza troppi voli pindarici, pian piano il fischio stava scomparendo e i suoni stavano tornando a “parlare”.

“Venite avanti, brutti figli di puttana” urlò mentre tirava una bomba a mano in direzione della porta.

Serie: Prison Planet 001


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. Ciao Alessandro. Il dispendio di forze lascia intendere che sotto si nasconda più, di una vendetta orchestrata dall’ex socio: Occhio Freddo. Se abile come descritto, forse avrebbe affrontato Ripley per regolare i conti a viso aperto.