Rosso come il mare

Una goccia, due, tre, quattro. La pozza sul pavimento si andava ingrandendo.

La casa l’aveva costruita lei con le sue mani. Vero, c’era ancora un po’ di lavoro da fare, alcune stanze erano piuttosto rudimentali, ma in generale si poteva dire un lavoro ben fatto.

Se non fosse stato per quella perdita dalla crepa sul soffitto.

C’erano mesi in cui non pioveva per settimane e allora quasi se ne dimenticava. L’alone rossastro sul parquet però era sempre li.

Prima o poi avrebbe dovuto occuparsi del problema, ma c’erano altre cose da fare, prima. Come al solito – pensò tra sé – l’urgente non lascia tempo per l’importante.

Si spostò nell’altra stanza e riprese a dipingere la parete che aveva lasciato in sospeso. Verde questa volta, scuro e intenso.

Finita la parete avrebbe trasferito in quella stanza gran parte delle piante sparse per la casa. Sarebbe stato bello, una volta finita, portarsi lì un bel libro e immergersi allo stesso tempo in una buona storia e in una sorta di bosco artificiale.

Per un po’ si abbandonò alla fantasia. Nell’angolo più vicino alla finestra avrebbe messo fiori colorati, dall’altro lato gli arbusti amanti della penombra.

Una goccia, due, tre, quattro.

Aveva ricominciato a piovere. Tornò di la per controllare le dimensioni del danno. La pozza rossa era un po’ più grande, ma ancora non così grande. Può aspettare un altro giorno – si disse – e tornò alla sua parete verde.

Si svegliò di soprassalto. Il tonfo era stato così forte che l’urto doveva aver fatto dei danni seri, questa volta.

Scese al piano di sotto e, senza perdere tempo ad indossare le scarpe, spalancò la porta per valutare la gravità della situazione.

L’onda la investì.

Era quello il problema del vivere vicino al mare. Ti regalava giorni calmi, lunghi e lenti. La sicurezza di una superficie piana. La luce del sole che ti entra negli occhi e la forza dell’acqua e del sale che può reggere qualsiasi cosa.

Una mattina ti svegli e il mare è cambiato, senza preavviso un’onda travolge la tua casa e ti lascia i vestiti inzuppati. Ti trascina e ti atterra e non ti lascia muovere. Ti da tutto ciò che è, ma pretende in cambio tutto ciò che sei.

Risalì in fretta le scale mentre l’acqua riempiva la casa. Ne osservò il livello alzarsi dal pianerottolo del secondo piano e capì che poteva smettere di correre, non ce l’avrebbe mai fatta.

Così come era arrivata, la marea si ritirò.

Quanto tempo era rimasta senza respirare? Poco probabilmente, perché era ancora viva, ma abbastanza perché le facessero male i polmoni, adesso che ingoiava voracemente boccate d’aria ancora salata.

La parete verde era macchiata di rosso. Il mare si era allontanato, ma le sue incursioni lasciavano sempre tracce. Asciugò quello che poteva, si rimboccò le maniche, e andò a cercare un nuovo secchio di vernice.

Si guardò ancora una volta intorno prima di decidersi finalmente a prendersi una pausa.

Aveva finito di montare una grande finestra nella stanza azzurra. Quella stanza sarebbe stata perfetta per lavorare, un luogo dove concentrarsi. Ma non c’era ragione per cui non dovesse concedersi, di tanto in tanto, di dare un’occhiata fuori. La scrivania sarebbe stata infatti proprio sotto la finestra. Avrebbe alzato lo sguardo per riposare gli occhi e non avrebbe visto un muro di cemento, ma il cielo e, nei giorni senza nuvole, i gabbiani sulla spiaggia, il riflesso rosso del mare.

Una goccia, poi due, poi tre, poi quattro.

Al ticchettio della perdita della crepa si aggiunse quello della pioggia contro il vetro. Striscioline rosse si rincorrevano lungo la superficie esterna man mano che l’intensità andava aumentando.

L’acqua batteva, bussava. Ma non aveva senso. L’acqua non bussa, l’acqua invade.

Il vetro si ruppe e i frammenti le graffiarono gambe e braccia. Immaginò che stesse sanguinando, ma era difficile a dirsi mentre l’acqua le schizzava addosso.

Non provò nemmeno a scappare. Non scese al piano di sotto. Non sbarrò le porte. Non chiamò nessuno.

Che inondasse la casa, che la affogasse, che arrivasse il mare a prendersela e la trascinasse via incosciente. Che fosse una tempesta perenne e mai più uno sgocciolio incessante. Che fosse tutto rosso, una buona volta. Che non fossero macchie rosate ma una colata di vermiglio. Che le riempisse le narici, la bocca e lo stomaco, che la riempisse al punto da non lasciare spazio per nient’altro. Niente più aria, niente più colori, solo rosso e sale.

Guardò i gabbiani volare vicini alla superficie. Ogni tanto uno di loro schizzava verso il basso e risaliva un attimo dopo, quasi sempre con un grosso pesce nel becco. Dentro e fuori in meno di un secondo.

La stanchezza, non la sopportava proprio. Sentiva di non avere le forze per riparare i danni dell’ultima incursione, eppure le aveva. Fra un minuto si sarebbe alzata, si sarebbe rimboccata le maniche, e sarebbe andata a riparare la finestra.

Per ora però, ancora per qualche secondo, decise di restare a guardare il mare. Oggi calma piatta, luce, rossi caldi.

Sembrava non sarebbe mai cambiato, ma l’avrebbe fatto, era quello il problema del vivere vicino al mare.

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Discussioni

  1. Leggendo il tuo racconto mi sono lasciata trasportare da emozioni estemporanee. Mi sono vista costruire dentro di me “stanze” fatte di speranze, buona volontà, progetti. Ho sentito le “onde” della vita portarne via alcune, lasciando rovine. Mi sono ritrovata a tirare su nuovamente le maniche per ricostruire e ridipingere i muri.

  2. Bel racconto che esprime il desiderio estremo di vivere a contatto con la natura. Io sono nato in montagna a contatto con i gelidi inverni, il freddo estremo, le nevicate notturne, che quando ti alzavi la mattina avevano ostruito finestre e porte. Ho amato il mare, che sa essere crudele quando con le trombe marine capovolge le imbarcazioni e stravolge i camping estivi. L’ho solcato con esili imbarcazioni, piccole barche a vela ed esili kayak di vetroresina. Continuo ad amarlo comunque.

  3. Bellissimo il tuo racconto Federica e a tratti spaventoso. Il sogno che entra prepotentemente nella realtà, si mescola ad essa e alla fine non lo sai più cosa è reale e cosa è metafora della vita. E poi c’è il mare, sempre lui. Ma cosa ci avrà mai fatto per entrarci così tanto dentro? Veramente brava

  4. Il mare, la casa, la crepa, il gocciolare incessante, il verde il rosso… tutte metafore amalgamate perfettamente in un racconto che sa di vita. Ogni lettore può vederci le proprie sofferenze e può pensare al mare nella maniera che preferisce, il senso resta comunque invariato.
    Molto bene, Federica. Ottimo racconto.