Rumore

25 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE.

Iniziativa istituita dall’ONU, nel 1999, in memoria di tre sorelle della Repubblica Dominicana: Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, che il 25 novembre del 1960 furono vittime di violenza. Denunciarono i crimini della dittatura, vennero, perciò, torturate e uccise, e i loro corpi gettati in un dirupo.

 Tutte le famiglie felici sono uguali. Ogni famiglia è infelice a modo suo.” Diceva Tolstoj. Si potrebbe aggiungere, oggi, che le famiglie, molto spesso, sono felici solo in apparenza. Tra le mura domestiche si consumano, con troppa frequenza, abusi e soprusi inimmaginabili. Le famiglie “perbene” dei bravi ragazzi sono tante. La società, invece, appare chiaramente, sempre più insana. Le istituzioni sono spesso in crisi, annaspando in un mare di problemi di vario genere. E la politica: uno specchio di tutto il resto. Anche per questi motivi accadono i fatti per cui, in una giornata come questa, si vorrebbe contribuire – con una più attenta riflessione – a stimolare un maggior impegno, individuale e collettivo, nella prevenzione.

RUMORE

Urla, insulti, porte sbattute: suoni che arrivano, dispersi e muti, nel liquido torbido e mosso, da un feto che si è scosso.

Litigi e parole che feriscono. Mugugni, tensioni e rabbia, dall’estate fino all’inverno, che danno il gusto del fiele, al dolce latte del seno materno.

 Nidi freddi o infuocati; oppure svuotati. Lunghe assenze senza ritorno.Silenzi che fanno rumore e sguardi senza amore, ad alimentare i pasti, davanti allo schermo di un televisore. Pochi sorrisi, molti sbalzi d’umore e una fredda ilarità, non condivisa, per il gelido sarcasmo della comicità.

Parole vuoto a perdere, predicate e poi smentite, con azioni e gesti, nel razzolare per ore, di qualche adulto predicatore.

Minacce o lusinghe, fiori regalati e messaggi segreti: doppiezza e tradimenti che confondono le menti di chi sta nel mezzo.

Lividi profondi, invisibili, che solo talvolta appaiono, segnano e insegnano, quanto il male sia normale.

Quanto tempo negato e attenzioni mancate,  che danno il via all’eterna ricerca di qualcosa che soddisfi il bisogno frustrato.

Sotto la parvenza di un bel tetto, nella notte buia, pianti spenti di rabbia, ingoia l’ ispido guanciale di un letto.

Qualche magra consolazione, nel consumo sfrenato di un oggetto desiderato, che possa colmare il grande vuoto.

Oggetti usa e getta, presto inadeguati, oppure rotti e mai più riparati.

Soldi, soldi, soldi, da guadagnare, da spendere, da investire. Il resto, intorno, solo spiccioli che, trascurati, perdono valore.

Ambizioni smodate e pochi talenti da mostrare a chi, sulle orme, va poi a seguire. Quanti artisti nel manipolare, con pochi scrupoli per arrivare: il modello – poco esemplare – per chi nella vita ha tutto ancora da imparare.

Competere, primeggiare, vietato perdere: l’esempio che rende più dura ogni sconfitta.

Per ogni cosa negata e ogni tappa mancata c’è qualche vita che cresce sentendosi perduta, oppure annientata.

E cresce il malcontento, nell’età del più aspro mutamento. Pene dure da soffocare, a volte nel bicchiere, o nell’ oblio delle sostanze varie.

E poi, un giorno: l’inizio della fine. Pianti, lutti, angosce e domande, sul perché di tanta violenza.

Il bla-bla-bla di chi straparla, giudica e sputa solo sentenze, senza avere capito niente.

“L’educazione dei sentimenti – dicono molti benpensanti – spetta alla scuola, con i suoi insegnamenti. E poi la politica con il Codice Rosso e le condanne a più non posso. Con la certezza della pena ogni famiglia sarà più serena.”

Giusto, vero: c’è la scuola, con le sue buone lezioni, per mettere un cerotto sulla piaga o sulle amputazioni. “Come scrivere parole sulla sabbia” – dice una prof  –  con tristezza, più che con rabbia.

E per l’ennesima storia tetra, scagli pure la prima pietra, chi non ha mai sbagliato, chi crede di non aver peccato, nel presente o nel passato. O chi può dire a cuore aperto: «Non mi riguarda di certo».

Pestano i piedi e urlano in coro, quelli che restano senza di loro. Le sorelle, i fratelli, e i compagni degli anni più belli: tanti giovani amici,  che fanno rumore, uniti nel dolore, per non sentirsi soli e più infelici.

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Discussioni

    1. Grazie Micol, penso che questo annientamento valga per tutto cio` che sta portando l’ umanita`, quella stessa capace di inventare l’ intelligenza artificiale e tutto il resto, a un declino e a un’ involuzione che appare inarrestabile.

  1. Amare invece le considerazioni che, naturalmente, stanno a contrasto con la scelta stilistica. La pacatezza e la dolcezza ti appartengono e traspaiono dal testo. Un mio caro amico, appassionato di diritto naturale, mi insegna che la famiglia è una convenzione. Non so se abbia ragione o meno, se ne potrebbe discutere a lungo. Tuttavia, leggendoti mi chiedo, famiglia, società, comunità, entità astratte. A formarle ci sono gli individui, le persone. Forse ciascuno dovrebbe imparare a partire da se stesso. A strapparla fuori quella poca felicità che la vita ci concede. A stamparlo sulla faccia quel sorriso che fa bene anche agli altri. Ascolto e sono ascoltato solamente se c’è sintonia. C’è sintonia solamente se c’è fiducia. E quella ce la dobbiamo giocare noi, perché non è mai a senso unico. Va in entrambe le direzioni. Chiedere aiuto e saper cogliere la richiesta di aiuto. C’è tanto da fare, ma si parte dal piccolo, dalla persona, appunto. Grazie Maria Luisa per i tanti spunti di riflessione. Scusami per la sbrodolata, ma io parlo con la pancia.

    1. Ciao Cristiana, poco fa, leggendo l’ ultimo di Mauro Corona (Le altalene pag. 69), mi hanno colpito le frasi: “Certe ferite ricevute da piccoli rimangono fino alla tomba. E non si chiudono, non diventano cicatrici, rimangono aperte, vive, pulsanti ai battiti del cuore.” Parole che ricordano il saggio (citato dallo stesso M. Corona), “La ferita dei non amati” di Peter Schellembaum. Quest’ ultimo, nel suo libro – se non ricordo male – era meno drastico. Sosteneva, mi pare, che le ferite possono riaprirsi in certi momenti, se si verificano determinate circostanze che riacutizzano la sofferenza. In tutti i casi, credo o spero, che il karma possa cambiare nel corso della nostra esistenza, per chiunque, se si risolvono certe dinamiche e catene emozionali interrotte, come direbbe J. C. Badard, un mio professore di psicobiologia.
      Nel senso che tutto puo` cambiare e migliorare se chi deve e puo` fara` del suo meglio per contribuire alla causa che, direttamente o indirettamente, riguarda tutti.
      Grazie Cristiana per il tuo commento stimolante.
      A presto.

  2. Interessante la tua scelta stilistica. Parole che suonano e sanno di quel buon italiano che quasi non usiamo più. Le rime mai forzate, bensì delicate che accompagnano. Mi è parso di aprire il libro di lettura di quando eravamo bambini noi. Mi ha colpita e mi è molto piaciuto.

    1. La tecnica formale di scrittura e` stata in parte spontanea e in parte calcolata dall’ esigenza di smorzare i toni dei contenuti sui quali, di proposito, ho calcato la mano, generalizzando, data la gravita` della situazione che stiamo vivendo. Mi rendo conto che non si puo` puntare il dito indistintamente su chiunque; allo stesso tempo – parafrasando una frase utilizzata da De Andre` – anche se pensiamo di essere innocenti e ci crediamo assolti, siamo comunque coinvolti.

  3. Più che ciò che si dice spesso conta il come lo si dice. Ecco che la tua scelta stilistica distingue questo lavoro. Tra le righe di questo racconto in rima di argomenti ce ne sono diversi: il denaro come obiettivo, la competizione come stile di vita, l’alcol e le droghe come terapia contro il malcontento; il ruolo della scuola e quello della politica. In mezzo a tanti giudici e lapidarie conclusioni un pensiero tanto celebre quanto ignorato: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

    1. Oh, meno male, sono riuscita a far passare il messaggio, nel modo in cui speravo. Avevo paura di essere fraintesa, di offendere la sensibilita` dei potenziali lettori. Sottovalutavo il vostro acume, unito alla vostra sensibilita` e integrita` morale, rispetto a chi proprio non ce la fa ad avere alcuna accettazione e rispetto delle scelte di chi non ci appartiene. Perche` ciascuno di noi appartiene solo a se stesso.
      Grazie Francesco.

    1. Ciao Kenj. E gli ultimi saranno i primi vale solo per chi ha fede in un Aldila` di cui nessuno e` certo.
      Grazie per aver letto e per aver condiviso cio` che, volenti o nolenti, abbiamo dovuto sperimentare.

  4. Non sono bravo a commentare né, men che meno, a valutare la poesia. Le parole che ci stai regalando però non rientrano secondo me nella categoria “grottesco” segnalato dal tag. Sono parole profonde che colpiscono forte. Sono in rima sì, ma affilate come una spada. Grazie.

    1. Ciao Giancarlo, grazie a te. Non facile inquadrare queste parole in un genere ben definito. In effetti ero combattuta, ma non mi sembrava un racconto da poter inserire come narrativa. Qualcosa di grottesco c’e`, non tanto perche` generalizzando ho calcato un po` la mano, di proposito; ma soprattutto perche` ispirato da una realta` che ci fa persino orrore.